mercoledì 23 dicembre 2015

Il protocollo meditativo

In un buon percorso meditativo ci dovrebbero essere determinate fasi. La prima è la ricerca di uno stato di tranquillità: samadhi o shamata. Di solito ci si arriva concentrandosi sul respiro e in genere sul corpo.
Si registra lo stato fisico-emozionale: agitato, nervoso, reattivo, rabbioso, pauroso, ecc., cercando di rilassare i punti e gli organi del corpo che appaiono tesi. Calmando il respiro, si cerca di distendere questi punti.
Tranquillità, calma, distensione sono i fondamenti della pratica, prima a livello fisico e poi psichico. Uno dei metodi più usati per ottenere il rilassamento è seguire il respiro, in modo da osservarne le caratteristiche (lungo, corto, affrettato, lento, veloce, agitato, ecc.) e riportandolo ad uno stato di pace. Naturalmente esistono vari altri metodi, che devono essere scelti in base alle preferenze individuali. Ciò che conta è che l’organismo fisico sia del tutto calmo e distaccato.
Dobbiamo arrivare al punto in cui ci sia solo la respirazione, ma non un soggetto che respira.
Si possono anche seguire lezioni registrate che ci aiutino a rilassarci. Per esempio, https://www.youtube.com/watch?v=Fx4qxH6NiVQ .
La seconda fase consiste nel portare alla calma anche le sensazioni, i pensieri e in genere tutti gli stati mentali. A questo scopo occorre sviluppare l’osservazione di ciò che ci passa nella mente e considerarlo quasi staccato da noi. I pensieri, le sensazioni e le formazioni mentali transitano in un flusso continuo su cui abbiamo uno scarso controllo. Ma la cosa importante non è tanto interromperle ed arrestarle quanto prenderne le distanze. In altri termini, non dobbiamo identificarci con tutto ciò che ci passa per la mente: noi non siamo i nostri pensieri.
Le formazioni mentali, nelle loro varie configurazioni (sensazioni, desideri, recriminazioni, speranze, emozioni, fantasie, ricordi, ecc.) sfilano davanti a noi come in una parata militare o in uno spettacolo teatrale, ma noi non ci attacchiamo a nessuna di esse. Non ci attacchiamo neppure all’idea che abbiamo di noi stessi, del nostro io, perché si tratta di una semplice idea o di un’etichetta.
In realtà, quanto più osserviamo distaccati e portiamo tutto il flusso mentale alla calma, tanto meno ci identifichiamo con un soggetto. Come prima arrivavamo ad essere un tutt’uno con il respiro, dimenticandoci di “chi” conducesse il respiro, così ora ci rendiamo conto che noi siamo coscienza, non un io che è cosciente.
C’è il respiro, ma dov’è il soggetto del respiro?
C’è la consapevolezza, ma dov’è l’io che è consapevole?
Risvegliarsi è proprio questo: scoprire che i nostri problemi nascevano tutti da una falsa identificazione con un io. Vivevamo in un sogno ad occhi aperti. Attribuivamo ad un’immagine un nucleo sostanziale, restringendo le nostre esperienze a piccole cose.
Mentre ora scopriamo uno spazio e una profondità che neppure sospettavamo.

La liberazione è esattamente questo. Non un’identificazione, una chiusura tra le pareti di un io, ma il suo contrario: l'abbattimento delle barriere.

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