Il senso di essere appare all’improvviso, non si sa come; nessuno l’ha
chiesto, se non i genitori. Con esso appare la coscienza. Con la coscienza
appaiono il mondo e l’io. E con essi appare il dualismo di vero-falso,
bene-male, conoscente-conosciuto, piacere-sofferenza, ecc.
Ma che cosa c’era prima?
Dobbiamo presumere che non ci fosse né essere né non-essere, né
coscienza né incoscienza, né sapere né ignoranza – uno stato unitario. E
nessuno sentiva mancanze, anche perché tutti erano uniti.
Invece adesso ci sono dei genitori che sentono una mancanza: quella di
essere individui finiti e di aver bisogno di figli che proseguano la vita.
Dunque la vita, attraverso gli individui, difende se stessa. E di conseguenza
affonda nel dualismo delle emozioni e dei pensieri.
Se però ci identifichiamo nel e col senso di essere, sappiamo che lo
perderemo, con la morte.
Ma la nostra vera identità è quella del testimone di questo senso di
essere, perché ciò che dice “io sono” deve essere prima del senso di essere. È
quello che non nasce e non muore.
Se ci identifichiamo con il corpo, con la mente, con il senso di
essere e con la coscienza che fa apparire il mondo, è certo che perderemo
tutto.
Le cose che hanno un inizio nel tempo, avranno una fine.
Ma se ci identifichiamo con il testimone di tutto, non lo perderemo.
Siamo a casa.
Ma, per farlo, occorre immergersi nella meditazione, insediarsi
stabilmente nel Sé e liberarsi di tutti i condizionamenti e tutte le idee
false.
Purtroppo le religioni vivono di riti, di tradizioni, di libri sacri,
di comandamenti e di devozione a Iddi immaginari. E così, impediscono la
concentrazione sull’unico vero essere, che è dentro di noi, in noi, che è noi,
non sugli altari o nelle chiese.
Voi siete Dio, non l’idoletto esterno che venerate.
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