Le nostre religioni monoteistiche ci hanno abituato a considerare Dio
come una persona, tant’è vero che, soprattutto nel cristianesimo, si ritrae Dio
come un uomo, magari come un vecchio barbuto o un giovane luminoso. Ma qui
siamo nell’ultimo aspetto del paganesimo, quando si raffiguravano gli Dei come
uomini o donne, con le nostre stesse passioni, il nostro modo di pensare e le
nostre reazioni. Ed ecco il fiorire di statue e dipinti che vorrebbero
raffigurare niente di meno che Dio in persona.
Altri, più prudentemente, si limitano a raffigurare una luce,
rammentandosi che Dio non può essere un uomo. Il cristianesimo, comprendendo il
problema e cercando di risolverlo, ci presenta un uomo, Gesù, che dovrebbe
essere un Dio incarnato.
Ma resta il fatto che Dio non può coincidere con tutte queste
immagini, perché dovrebbe essere trascendenza. Non può essere un uomo. Non può
essere una qualsiasi immagine. Non può neanche avere la nostra stessa mente.
E allora ci rivolgiamo all’Oriente le cui religioni non cadono così in
basso. Parlo del Buddhismo e del Vedanta, perché l’induismo ha un sacco di
incarnazioni dell’Assoluto, più o meno come noi.
Se però prendiamo le religioni che non si sognano di farsi nessuna
immagine di Dio, vediamo che queste parlano di una specie di stato divino
interiore o di Sé, che gli uomini hanno dentro di loro e che può essere in
qualche modo ottenuto.
C’è dunque una bella differenza fra un Dio concepito come un Essere
comunque esterno, da adorare e da ingraziarsi, come fosse un potente, e uno
stato di trascendenza che sta all’interno dell’uomo. Perché questa differenza
segna una radicale diversità di approccio. È la differenza tra preghiera e
meditazione. Si prega un potente da cui si vuole un favore o si medita su di sé
per elevarci noi stessi a livello divino.
Il termine “il Signore” la dice lunga sulla personificazione che
facciamo del divino. Vorremmo che fosse una specie di Monarca che possa
esaudire i nostri desideri e con cui si possa comunicare da persona a persona.
Ma Dio non è così. Non è un potente che esista di per sé. È
esattamente ciò di cui siamo fatti noi stessi, lo abbiamo in noi stessi, non
davanti a noi.
Quindi non c’è preghiera che tenga. Ma la possibilità di immedesimarci
in lui. Questa si chiama meditazione.
La meditazione fondamentale è quella sul nostro stesso essere. Ma non
sull’essere Tizio o Sempronio, non sull’identificazione con corpo e una mente,
bensì sul nostro essere universale. O, meglio ancora, su ciò che precede il duo
essere-non essere.
Dunque, il vero Dio è la nostra stessa coscienza, che crea tutto il
vasto mondo come un enorme spettacolo. E, poi, ancor prima della coscienza.
Quello che c’è prima anche del duo coscienza-incoscienza.
Certo, la mente umana non è adatta a simili meditazioni. E, infatti, i
mistici consigliano di abbandonarla, trascenderla.
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