L’essere umano, da quando nasce a quando muore, è in preda a due
tendenze opposte. La prima è individuarsi, diventare un io distinto e autonomo,
e deve compiere per questo un lungo percorso: dal distacco dalla madre
all’affermazione di sé, con una propria coscienza, il proprio corpo e le
proprie opinioni. Deve differenziarsi dall’ambiente, dalla famiglia e nella
società.
Ma la seconda tendenza è proprio il contrario. Deve ritrovare l’unione
con gli altri e con sé. Deve ogni notte cancellare la propria identità nel
sonno profondo. Aspira a dismettere la fatica di essere una singola coscienza.
Chi la vincerà fra queste due opposte pulsioni?
Chi vorrebbe conservarsi ad ogni costo l’io, spera in un’altra vita,
qui o altrove, che mantenga intatta la coscienza individuale. Vorrebbe
ritrovare se stesso, gli amanti e gli amici. E sono la maggioranza.
Dalle fantasie sull’aldilà o sulla reincarnazione emerge proprio
questo desiderio. Riuscire ad essere separati e distinti anche dopo la morte e
contro ogni logica.
Però, con l’avanzare dell’età e la perdita di tante persone e
illusioni, la seconda tendenza si fa sempre più prepotente.
C’è un meccanismo infernale che stritola tutto e tutti, e ad esso non
possiamo sfuggire. Non abbiamo voluto nascere, non desideriamo morire, ma non
possiamo tirarci fuori dal piano inclinato su cui scivoliamo inesorabilmente.
Non possiamo certo dire che siamo liberi. Tutto avviene senza che lo abbiamo
deciso. Siamo marionette o semplici attori di un dramma.
Questa consapevolezza ci fa pensare a qualche Autore che non siamo
noi. O potremmo essere stati anche noi, in un esperimento che ci è andato male,
come novelli apprendisti stregoni. In ogni caso, siamo alienati, non padroni di
noi stessi. Qualcosa è andato storto.
C’è sempre un senso di fallimento in queste ipotesi. Siamo forse
contenti di vivere, ma non accettiamo di morire. Vorremmo che il nostro io, la
nostra personalità, sopravvivesse anche dopo la morte. Non ci piace l’idea che
saremo annullati.
Ma, se ci pensiamo bene, un nulla assoluto non può esistere: qualcosa
esiste sempre. Altrimenti non ci sarebbe neppure il nulla. È un paradosso
logico.
Tuttavia non possiamo neppure pensare che possa sopravvivere un io
cosciente, così come lo conosciamo noi. Infatti vediamo morire non solo il
corpo ma anche la coscienza.
La verità è che anche la coscienza è destinata a diventare non
coscienza. Che cosa rimane allora? Qualcosa che non ha bisogno, per “essere”,
di essere cosciente, qualcosa che è al là tanto della coscienza quanto
della non coscienza.
Non ci dimentichiamo che il mondo, il tempo e il senso dell’io appaiono con l’apparire della coscienza. Lo scorrere del tempo che ci trascina
è lo scorrere della pellicola coscienziale.
Noi crediamo di essere nati e di aver vissuto certi eventi. Ma è solo
una pellicola mentale. È il film che ci facciamo, qualcosa di simile a un
sogno.
Quando scompare il film-sogno, scompare anche l’io. Lo sappiamo
talmente bene che, quando uno muore, diciamo: “È scomparso!”
Scompare il sogno-film e rimane colui che era stato il testimone di
tutto questo. Che non era nato, perché non può morire.
Il testimone non è un soggetto come quelli che conosciamo, divisi e
separati - l’io. Ma è un tutto, che rientra in Sé.
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