Quando cercate di conoscere voi stessi, vi trovate di fronte al
paradosso che ciò che conoscete non è mai colui che conosce. Perché ciò che
conoscete è comunque un oggetto della vostra conoscenza-esperienza e non il
soggetto conoscente. Però voi volete conoscere proprio il soggetto conoscente.
Dovete allora chiedervi chi è consapevole di questo paradosso, perché
voi siete quello: il testimone che si rende conto del paradosso.
E dovete concludere che quel testimone è oltre la coscienza stessa, è al di là dello spazio-tempo.
All’origine del mondo, con le sue miriadi di forme e di apparenze, c’è
la coscienza. Ma la coscienza, con il suo corpo, dura poco: dura quanto il
corpo e la vita.
La coscienza può immaginarsi e rendere credibile ogni sua
immaginazione, al punto che, quando sogniamo, riteniamo vero anche il sogno.
Salvo poi svegliarci.
È il risveglio che ci fa render conto che anche la vita è un sogno.
Ma c’è sempre un testimone che ci fa accorgere che si tratta di
potenti immagini della mente. Se non ci fosse il testimone, chi potrebbe
svegliarsi?
Coscienza significa tempo, coscienza significa io, coscienza significa
senso di esserci.
Il che significa che il testimone è
al di fuori del tempo, dell’io e del senso di esseri. C’era prima di
tutto questo, prima della coscienza.
Qui è l’eternità, qualcosa che non nasce e non muore, al di là del
dualismo della coscienza.
Non resta che stabilizzarsi in tale stato. Questa è meditazione.
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