Quando
qualcuno crede in Dio, cerca di dargli una definizione o di farsene una
rappresentazione. Tra le più comuni c’è quella di Dio come amore. Ma avete mai
visto un sentimento che se ne va in giro da solo? Ci vuole qualcos’altro.
Allora
si dice che Dio è il bene. Ma dove sarebbe uscito il male?
Si
dice che sia la luce, ma dove sarebbe uscito il buio?
Si
dice che sia la quiete. Ma da dove sarebbe uscito il caos?
Si
dice che la pace. Ma da dove sarebbe uscita la guerra?
Si
dice sia energia. Ma da dove sarebbero uscite l’inerzia e la stasi? Eccetera,
eccetera…
In
sostanza noi ci limitiamo a scegliere le qualità che ci piacciono attribuendole
a Dio e lasciando nell’ombra i loro contrari. Così abbiamo un Dio dimezzato.
Ma
lo stesso accade all’idea che abbiamo del nostro io. Di solito gli attribuiamo
solo qualità postive nascondendo accuratamente i difetti e le mancanze. Chi
direbbe: “Sono un egoista… sono un avaro… sono un invidioso… sono un arrogante,
ecc.”?
Dunque,
come è falso il nostro Dio, così è falso il nostro io. Ci facciamo di entrambi idee
parziali, incomplete, idealizzate, perdendo la visione d’insieme e nutrendoci
di abbagli. Il quinto esagramma del libro cinese I Ching, dice: “Solo quando abbiamo il coraggio di affrontare la
realtà per quel che è, abbandonando autoinganni e illusioni, gli eventi ci
indicheranno quale sia la strada che dobbiamo seguire”.
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