domenica 6 agosto 2017

La consapevolezza della morte

Che la meditazione assomigli un po’ alla morte è ovvio, dato che si tratta di sospendere le comuni attività mentali. E in tal senso assomiglia anche al sonno senza sogni.
Ci si può addestrare a morire dato che non si tratta di un evento contingente, ma di un evento ineluttabile. Siamo noi che consideriamo la morte con terrore cercando si cancellarla dall’orizzonte dei nostri pensieri. Una strategia fallimentare che ci lascia scoperti e indifesi al momento decisivo. Molto meglio addestrarsi a morire, non con pensieri cupi o con rabbia, ma in piena consapevolezza.
Una prima preparazione consiste nel considerare che tutto è transitorio e impermanente. Tutti possiamo morire in ogni momento: non c’è regola, nessuno ci assicura che vivremo a lungo.
La morte può essere un evento pieno di sofferenza, ma esserci preparati ci aiuterà a renderla più serena. Oltretutto, rimanendo consapevoli, avremo una più chiara visione delle priorità della vita e lasceremo perdere tante sciocchezze, tante perdite di tempo. E il tempo che ci rimane ci sembrerà più prezioso.
Meditando e considerando la morte, ci abitueremo ad alzare la testa da ciò che facciamo e a guardare lontano. Dal piccolo spazio della nostra vita all’immenso spazio della consapevolezza, là dove si stempera ogni angoscia.
Trattenendo il respiro, rimanendo immobili e svuotando la mente, ci addestreremo proprio al morire.

Questo ci spiega l’Oriente. Ma anche in Occidente, Platone ci dice che la filosofia raggiunge il suo scopo quando ci porta a morire con serenità. E, dopo di lui, tanti altri filosofi: Seneca (prima e dopo la morte c’è solo una pace profonda), Epicuro (se c’è la morte non c’è l’io, se c’è l’io non c’è la morte), Montaigne (il saper morire ci libera da ogni sudditanza e costrizione), Pascal (noi ignoriamo di più proprio la morte), Spinoza, ecc., hanno considerato la meditazione sulla morte un fattore di libertà, di autonomia e di saggezza.

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