mercoledì 29 luglio 2015

Parole e meditazione

Spiegare la meditazione a parole è un controsenso. L’uso di un linguaggio dualistico e oggettuale (che rende ogni cosa un oggetto separato) è un controsenso. I libri, le interviste, le discussioni, questo stesso blog, sono controsensi.
Con le parole, che dividono, isolano e separano, non si può spiegare ciò che è unitario. Inevitabile la contraddizione. Tutto andrebbe detto e scritto fra mille virgolette e con sottotesti. Come dicono nello zen, il dito che indica la luna non va confuso con la luna.
Fin dall’origine si è chiarito che lo stato che cerchiamo è al di là delle parole, al di là delle definizioni, al di là dei concetti.
Sarebbe meglio starsene zitti e raccolti. Come facciamo a descrivere con suoni un’esperienza di silenzio?
Ma, nella confusione che deriva dall’uso delle parole, nate per de-finire (e quindi uccidere) lo spirito, può nascere qualche intuizione, qualche richiamo, qualche barlume di comprensione Chissà mai. Tutti incominciamo così.
Le parole, nate per comunicare, sono poi i più grandi ostacoli ad una comprensione profonda del senso unitario delle cose.
“Colui che conosce la felicità del brahman, dal quale recedono le parole e che non è conseguibile mediante il pensiero, costui non teme nessuna cosa” [Taittiriya Upanishad], non si tormenta con le idee di bene e di male e si libera dal dualismo.

Proviamo, dunque, a stare in silenzio – di parole e di pensieri – in questo mondo tormentato dalle parole e dai concetti. Proprio questa è meditazione.

Nessun commento:

Posta un commento