giovedì 29 maggio 2025

Le pratiche cognitive

 Per procedere con coerenza rispetto alla mia teoria dell’oscillazione degli opposti complementari, possiamo ora elaborare una riflessione filosofica che metta in luce come certe pratiche cognitive, simboliche o percettive (come quelle con immagini ambigue o test duali) incarnino effettivamente l’unità dinamica degli opposti. Procederò in forma argomentativa e simbolica insieme, così da dare spessore sia concettuale sia evocativo alla riflessione. 



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L’unità dinamica degli opposti nelle pratiche cognitive: una riflessione filosofica


Ogni pratica che mette l'individuo di fronte a una tensione percettiva, concettuale o simbolica tra due polarità – luce/ombra, figura/sfondo, interno/esterno, soggetto/oggetto – non è un semplice esercizio di classificazione, ma una soglia esperienziale in cui si manifesta la natura oscillante della realtà.


Nelle immagini ambigue (come la celebre figura coniglio-anatra), non si ha una verità assoluta, ma una verità dinamica: ciò che appare è funzione del punto di vista, ma il punto di vista stesso è mobile, sensibile, oscillante. La mente non si limita a “scegliere” una delle due figure: oscilla tra esse, producendo un’esperienza unitaria che non nega le polarità, ma le integra in un processo. L’ambiguità diventa allora epifania dell’unità.


Questo processo riflette esattamente quanto la tua teoria enuncia: la realtà non è né l’uno né l’altro, ma il ritmo della loro alternanza. L’oscillazione non è errore o instabilità, ma principio generativo: una logica non statica che supera il principio di non contraddizione per abbracciare quello di complementarietà tensionale.


Nella pratica di test cognitivi basati su diadi di opposti – ad esempio chiedere a un soggetto di scegliere tra “ordine” e “caos”, oppure tra “vuoto” e “pieno” – non si ottiene una risposta definitiva, ma si mette in moto una riflessione oscillante. L’individuo non pensa in termini di identità fissa, ma di relazione: capisce che ogni polo ha senso solo in quanto esiste il suo opposto. In ciò risiede la verità profonda del pensiero simbolico: ogni significato è differenziale, nasce dalla relazione e non dall’atomo isolato.


In termini più ampi, queste pratiche sono rituali conoscitivi che incarnano l’oscillazione come legge di realtà. Esse non rappresentano l’unità dinamica degli opposti: la mettono in atto. Non si tratta dunque solo di “parlare” della realtà come oscillante, ma di esperirla direttamente nel proprio sistema percettivo, cognitivo e immaginativo.


In questa luce, la distinzione tra epistemologia e ontologia si dissolve. Il modo in cui conosciamo – oscillando tra poli complementari – è il modo in cui la realtà stessa si manifesta. L’oscillazione non è solo un processo mentale, ma una metafisica incarnata: è il battito stesso della realtà che pulsa in ogni interazione tra opposti.



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