Se la vita è in
gran parte sofferenza, sarebbe logico tentare di limitarla. E, infatti, il
buddhismo, che crede nella reincarnazione, consiglia a tutti di uscire
definitivamente dal ciclo vita-morte.
Ma noi non
crediamo alla reincarnazione e diciamo che nell’esistenza ci sono anche piaceri
e cose positive, per cui, facendo un bilancio dei beni e dei mali, concludiamo
che vale la pena venire al mondo, invecchiare e morire. Potrebbe essere un
inganno dei sensi che ci illudono che il bilancio sia alla fin fine positivo o
potrebbe essere la verità. Chissà mai.
Resta il fatto
che niente è stabile e che il bilancio è qualcosa di individuale. Forse
qualcuno, con un buon carattere o con un buon karma, riesce ad avere più
esperienze positive che esperienze negative. Chissà mai. È difficile generalizzare.
Però la nostra
vita è effettivamente un alternarsi di gioie e dolori, e noi ne siamo ben poco
consapevoli.
Come tanti
muli, tiriamo avanti il carretto senza domandarci se ne valga davvero la pena.
Un po’ di meditazione e di riflessione non ci farebbe male.
E lasciamo
perdere l’idea che ci sia un Dio che ci aspetta. Sembra un’idea consolatoria,
ma questo dio sarebbe lì anche per punirci. E quindi per molti dovrebbe
iniziare un nuovo ciclo, una nuova vita.
Insomma,
paradossalmente, sembra che le cose non finiscano mai.
Diciamo che
nell’Oriente si crede a nuove rinascite nell’aldiqua, mentre in Occidente si
crede a nuove vite nell’aldilà.
Dunque, è
difficile liberarsi della vita ed entrare in un vero nirvana.
O, forse, sono
tutte nostre fantasie, e, dopo questa esistenza, non c’è nulla.
Ma un nulla del
genere preluderebbe sempre a un qualcosa d’altro, seppure in una forma diversa.
E quindi liberarsi veramente della vita. Ho paura che, essendo in ballo,
dobbiamo ballare.
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