Ci sono momenti di massima intensità
percettiva, nel bene e nel male, in cui usciamo dal nostro comodo rifugio e quasi
non ci riconosciamo più. Ci domandiamo: “Ma sono proprio io? Queste cose
capitano proprio a me?”
Proviamo un senso di estraneità, perché ciò che
succede supera i limiti di ciò che conoscevamo. Chi è quell’io che è sottoposto
a simili condizioni? La verità è che usciamo dai limiti dell’abitudine e tutto
è nuovo. Può essere un’esperienza terrificante o può essere un’esperienza di
beatitudine. Allora ci domandiamo chi siamo noi, qual è il nostro vero sé.
Eravamo abituati a qualcosa e ora appare
qualcosa di nuovo.
Non c’è mai una risposta a questa domanda. Noi
non ci conosciamo affatto. Quello che conoscevamo era un io o un sé sottoposto
a certe condizioni. Ma ora le condizioni sono cambiate. E non ci riconosciamo
più.
Dobbiamo concludere che in realtà noi siamo un
campo di reazioni che possono variare in ogni istante e che quello che crediamo
di essere è un’abitudine. Per un certo periodo questo campo di reazioni sembra
mantenersi uguale a se stesso, dando l’illusione che ci sia qualcosa di permanente.
Ma a lungo andare e comunque in condizioni estreme, ci accorgiamo che il campo
non si mantiene affatto stabile.
Allora l’io si sente estraneo a se stesso, e
capisce che la cosiddetta anima è una semplice idea ripetitiva che, al mutare
delle condizioni, muta anch’essa.
Ciò che capisce tutto questo è l’universo, la
nostra vera identità.
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