Come ho
detto, noi non sappiamo se siamo vivi o morti, però per convenzione diciamo che
siamo vivi. Ma potremmo anche essere morti e sognare di essere vivi, questo
potrebbe essere un purgatorio. In fondo, quando sogniamo, siamo convinti che
quella è la realtà… salvo poi svegliarci.
Alla base
di tutto si trova la nostra coscienza di essere vivi, di essere presenti.
Se non avessimo quella coscienza, come
quando siamo svenuti o in un sonno profondo, non ci sarebbe niente.
Dunque,
alla base di tutto, alla base di ogni investigazione, c’è la coscienza. Ma la
coscienza è uno stato duale, diviso e non certifica nulla. Non è un pensiero, è
una sensazione. E che cosa c’è di più fallace di una sensazione? Se fossimo in
preda a droghe (e lo siamo – gli ormoni!), magari avremmo la sensazione di
volare, saremmo coscienti di volare. Ci butteremmo giù dal balcone e solo alla
fine, con lo schianto, cambierebbe la nostra sensazione… e la nostra realtà, la
nostra illusione.
Quindi la
coscienza non dimostra nulla. Ci dice solo che questo è il nostro sogno
attuale. E che il sogno deve finire… con una morte.
Ma si
tratta di un linguaggio convenzionale. In realtà questo potrebbe essere uno
stato di morte e la “morte” potrebbe essere una nascita.
La
coscienza vorrebbe trovare la verità-realtà. Ma la cerca come troverebbe un
oggetto qualsiasi. E dunque non sarebbe la verità, perché mancherebbe il
soggetto. E invece è proprio il soggetto che noi vorremmo conoscere.
Ma come
fare a conoscerlo se fa parte del sogno?
Sarebbe
come se un’ombra volesse trovare la sostanza di cui è il riflesso.
La
situazione è confusa. Noi vorremmo conoscere ciò che conosce. Ma dovremmo
essere fuori dal sogno, fuori dalla coscienza condizionata e legata al corpo.
In parole povere, dovremmo sapere chi siamo prima di nascere o dopo la morte.
Ma chi ce
lo dice? Non certo la coscienza attuale limitata.
Insomma,
sappiamo intuitivamente che viviamo in una specie di sogno che chiamiamo vita e
sappiamo che moriremo. Davvero poco. Tutto il resto sono pensieri, idee, miti,
figure immaginarie, fantasie, dogmi, convinzioni, illusioni, teorie,racconti…
ma niente di accertato.
L’io di
cui andiamo fieri è anch’esso un prodotto mentale, perché è qualcosa di
mutevole. Non lo vediamo mai. Pensiamo di esserlo. Ma a dieci anni è diverso di
quando lo percepiamo a trenta o settanta. Cambia tutto, non solo l’aspetto
fisico, ma anche la scrittura.
Ciò che
rimane è la sensazione di essere, ma non di essere un io definito e immutabile.
E il mondo è ciò che appare nei limiti di questa sensazione. Potrebbe essere –
e lo è – una impressione momentanea o un’apparizione temporanea.
Quanto
alla morte, non possiamo mai sperimentarla.
L’argomento
di Cartesio (“Penso, dunque sono”) non è completo. Perché, se io penso, ciò che
conoscerò sarà soltanto un concetto, non la realtà… che non può essere pensata,
ma solo esperita… con l’attuale coscienza. Però anche la coscienza è legata a
un corpo e dunque sparirà.
Ciò che
realmente sono non è pensabile (oggettivabile) ma neppure fatto oggetto di
coscienza. Prima di nascere e dopo la morte, prima dello spazio-tempo e del
dualismo di soggetto-oggetto, che cosa c’era? Evidentemente c’era qualcosa, una
totalità, perché abbiamo visto che dal niente non può nascere niente. E quella
eravamo.
Eravamo il
niente o il tutto: scegliete voi. Neppure coscienza. Perché in realtà lo stato
anteriore alla coscienza non è una supercoscienza, ma uno stato che è libero da
ogni dualismo, anche quello della coscienza.
Quindi, non sappiamo se siamo vivi o morti, perché
siamo come quelle stelle che vediamo in cielo ma che sono in realtà morte da
anni luce. Le vediamo apparire, ma loro in realtà non ci sono più.
Ma qual è
il punto di riferimento assoluto in base al quale diciamo che una cosa è viva o
morta, c’è o non c’è? Dove ci poniamo? Quando?
La verità
è che questo punto di riferimento assoluto – come ci insegna la relatività –
non esiste. E quindi le cose possono essere vive o morte in base al nostro
punto di riferimento assoluto. Se ci poniamo vicini, sono vive; se ci poniamo
lontani, sono morte.
Però, in
sé sono vive o sono morte?
Purtroppo
l’ “in sé” non esiste, perché dobbiamo porci comunque da un certo punto di
vista. L’ “in sé” esisterebbe se non ci fosse lo spazio-tempo. Ma noi viviamo
sempre in certo spazio-tempo.
Come
potremmo, allora, guardare o pensare al di fuori dallo spazio-tempo e dal
pensiero duale che ne esce? Come potremmo pensare ed esperire qualcosa senza
ricorrere ai mezzi conoscitivi abituali, razionali ed emozionali duali:
prima-dopo, alto-basso, io-tu, nato-morto, dolce-amaro, ecc.?
Un bel
problema…
Ma
qualcosa ci aiuta a concepire un’esperienza del genere. Per esempio, la musica.
Provate a descrivere l’Adagio di
Albinoni o la Toccata e Fuga in re minore di Bach? Potreste
usare montagne di parole e concetti, ma non ci riuscirete. Questo è un esempio
di linguaggio-esperienza non legato a concetti duali o linguaggi razionali.
Dunque, il linguaggio della realtà-verità potrebbe più essere simile alla
musica che a un ragionamento logico. Ipotesi suggestiva. Ma anche la musica si
esprime nel tempo! Anzi si basa sul tempo.
Comunque,
abbiamo capito che i linguaggi sono tutti condizionati, settoriali, troppo
limitati per esprimere lo stato originale, la verità-realtà ultima o prima.
Allora dovremmo
ricorrere a qualcosa che esprime la totalità dell’esperienza non conscia,
pre-conscia, aldilà dello spazio-tempo. Ne riparleremo.
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