Siamo tutti
d’accordo che ogni indagine spirituale non può che partire dal “senso di
presenza” che è originario. Noi sentiamo che siamo presenti, che siamo vivi,
che siamo coscienti di essere coscienti. Ma questo senso originario non va
confuso con il “cogito ergo sum” di Cartesio che è invece un concetto,
un’elaborazione secondaria.
No,
dobbiamo realmente tornare al senso, all’intuizione primaria, senza pensieri,
senza ragionamenti, senza distinzioni e divisioni.
Dobbiamo
infatti ricordare che il bambino, appena nato e per qualche mese, non sa né di
essere né di essere un individuo separato. Si formerà questa nozione a poco a
poco, stimolato dai genitori.
Se non si
formasse questa nozione di essere un io indipendente cui corrispondono tanti
altri, rimarrebbe un bambino autistico, gravemente menomato.
Ma ciò che
corrisponde a un’esigenza sociale distorce e vela la vera natura.
In fondo
nessuno chiede di nascere, per il semplice motivo che nello stato originale non
ha mancanze né desideri. Questo ci deve far riflettere sulla grave
responsabilità che ci assumiamo facendo nascere qualcuno: tiriamo fuori da uno
stato di completezza un essere per metterlo in uno stato di bisogno e di
mancanza.
Infatti il
bambino, appena nato, si mette a piangere, perché con quell’atto diventerà un
essere separato e sempre bisognoso: di cibo, di cure, di affetto, di amore.
E che
cos’è l’amore se non un tentativo di risarcimento e di completezza… sempre
fallito?
Ma la
nascita della coscienza e dell’io non è immediata. È un lungo processo di adattamento.
Ancora
adesso la sensazione di essere può essere evocata solo per un istante. Per il
resto del tempo, è solo una sensazione di esserci, di essere una certa persona,
cioè una certa maschera (come dice l’etimologia della parola).
La nascita
della coscienza è in realtà una divisione. Per sapere che siamo e chi siamo,
dobbiamo sdoppiarci in soggetto e oggetto. E, con ciò, abbiamo perduto la
completezza.
È da
presumere che solo con la morte, cioè con la fine del corpo fisico e della
coscienza individuale, si ritorni al punto di partenza. A una consapevolezza
completa. E questo in un andirivieni continuo.
I fisici
cercano di ricostruire lo stato originario dell’universo, di 13 0 14 miliardi
di anni fa, prima che si formassero le galassie, le stelle e i pianeti, uno
stato in cui tutto era riunito in una palla di “materia” superdensa. Esiste
ancora oggi una radiazione cosmica di fondo, dovuto alla prima inflazione.
Ma lo
stesso dobbiamo chiederci noi con la nascita della coscienza. Che cosa c’era
prima che si formassero la presenza mentale e la coscienza duale in certi
esseri viventi?
La
risposta è che c’era una consapevolezza così concentrata da escludere ogni
dualismo, ogni individualismo e ogni separazione. Poi nacquero la coscienza e
la frammentazione. L’ipotesi è suffragata dagli stadi del processo di nascita e
dalla sensazione di presenza ancora oggi rintracciabile negli individui. È da presumere
che in origine ci fosse per così dire un unico individuo (la singolarità) e un’unica
consapevolezza impersonale.
E a questa
ritorniamo quando moriamo.
Ma non
sappiamo ancora se nella dissoluzione del corpo-mente si conserva un certo
ricordo dell’io che siamo stati.
Sarebbe
come quando formattiamo un disco fisso. Le informazioni scompaiono, ma il disco
resta sempre lo stesso (teoria della reincarnazione). Inoltre, con un buon
programma di recupero, qualcosa delle vecchie informazioni si può ritrovare.
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