Esistono varie forme
di meditazione, ma una prima distinzione riguarda la possibilità di
concentrarsi su un unico oggetto o la possibilità di cogliere il quadro d’insieme,
il maggior numero possibile di dati sensoriali o mentali. La prima è una forma
di riduzione degli input, la seconda è una forma di espansione.
Nel primo caso,
ci si assorbe in uno stato che provoca gioia e tranquillità, secondo livelli
che sono sempre più rarefatti. Nel secondo caso, si sviluppa una presa di coscienza
dell’insoddisfazione, dell’impermanenza e della insostanzialità di tutte le
cose.
La prima forma
di meditazione porta a una momentanea liberazione dalla sofferenza, ma, passato
quel momento, tutto ritorna come prima. Solo con la seconda forma, può esserci
una liberazione definitiva, a patto però di accettare un distacco totale dall’esistenza.
In realtà le
due forme sono due momenti di uno stesso processo di meditazione, che prima
cerca un temporaneo sollievo dalle sofferenze della vita e poi cerca come
rimedio definitivo una ristrutturazione totale della psiche per affrontare l’esistenza
in un modo totalmente diverso.
Archiviata l’ingenua
illusione di mettersi al di fuori della vita e di isolarsi in un fortino dove
ci sia solo pace, ci si apre ad ogni evenienza, ad ogni elemento esterno o
interno, piacevole o spiacevole, e si cerca di conoscere la realtà e i propri
processi mentali in modo da modificarli.
Non è detto
comunque che le due forme o i due momenti di meditazione siano ordinatamente
consecutivi, e molto spesso nella pratica si alternano. In certi momenti si
cerca la pace mentale, l’interruzione delle preoccupazioni e in altri momenti
si cerca il senso duraturo delle cose e
del sé.
Non c’è da
meravigliarsi di questa alternanza. La vita è troppo complicata per essere
ordinata in chiari processi di meditazione.
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