Il dualismo
dei principi salta sempre fuori perché ce l’abbiamo nel cervello, nella mente e
nella realtà. Potreste capire da quale emisfero e zona zona del cervello viene
un certo pensiero o un certo sentimento? Non credo proprio. Nessuno ci riesce.
Ci sono le
tecniche di imaging, come ho già spiegato, che a volte riescono a vedere quale
punto del cervello si attiva, ma, data la complessità delle reti neurali, è
difficile trovare la corrispondenza esatta tra un’operazione mentale e un’operazione
cerebrale. Si dice: l’area del linguaggio è quella, ma poi non si trova il punto
preciso di un solo concetto o di una parola. Del resto, sapreste spiegare in
quale punto del computer si trova esattamente una parola che scrivete con un programma di
scrittura? E, se è difficile per il computer che abbiamo costruito noi,
figuriamoci per quella macchina prodigiosa del cervello che non abbiamo
costruito noi.
Ma forse, in
parte, lo abbiamo costruito imparando, conoscendolo, usandolo. Certo, i primi
ominidi non avranno avuto un cervello come il nostro. E quindi neanche la
mente.
Perché, per
quanto casuale possa essere la nascita del cervello, poi è stata l’uso della
mente a modificarlo nel corso dei millenni. Dall’invenzione delle selci alla
costruzione della ruota, dalle tecniche agricole a quelle meccaniche, dalla
scienza al pensiero filosofico, il nostro cervello si è evoluto. E con esso la
nostra mente.
La prima
mente nasce dalle sensazioni, ma poi la mente è stata capace di svilupparsi.
Con che cosa? Con l’uso. È come imparare una lingua o un’arte; si inizia dal
poco, dal limitato e dai tentativi maldestri, ma poi, se si hanno le doti,
riusciamo, provano e riprovando, sbagliando e imparando, ci si perfeziona. E, a
poco a poco, ci si illumina e si amplia mente.
E la cosa
non è finita: va avanti.
Ma è
necessario usare la mente, pensare, riflettere, apprendere, incamerare e
incrociare dati . La mente si dilata e con essa anche il cervello, e viceversa.
Tra il contadino analfabeta e il professore universitario c’è una differenza di
uso e di apprendimento della mente.
Questa è la
via che si è sempre seguita nell’evoluzione. E il vertice di questo
uso-apprendimento si verifica quando la mente osserva se stessa. Non parlo solo
delle neuroscienze, ma anche della riflessione filosofico-psicologica e della
meditazione.
La
meditazione, come osservazione di sé, non è solo una stramberia orientale, ma
un’importante fattore di evoluzione. Uomini come i saggi vedici e upanishadici,
i saggi taoisti, i saggi buddhisti, ecc., hanno fatto scoperte eccezionali e
messo a punto tecniche e idee sofisticate. Le osservazioni dei taoisti hanno
molto in comune con la fisica moderna. Gli studi del Buddha sul funzionamento
della mente sono scoperte “scientifiche”, cui le nostre religioni non si sono
mai dedicate.
E lo stesso
può dirsi in tempi moderni delle scoperte di uomini come Freud e Jung.
Ma, con il
termine “meditazione”, si possono indicare due vie: l’una è quella dell’autoriflessione
e l’altra è quella della consapevolezza.
La
consapevolezza non è tanto un pensare quanto un essere coscienti dell’essere
coscienti. Se ci sforziamo di essere coscienti del nostro essere coscienti,
il nostro essere consapevoli si dilata. Quindi è un modo diretto (non più
indiretto) per sviluppare la coscienza.
Qualche
volta, lasciare la mente “vuota di pensieri e intenzioni”, è un mezzo per uscire
dal linguaggio convenzionale, trovare un equilibrio dentro di sé e farsi venire nuove
idee, vere e proprie illuminazioni. Provate.
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