Come avevo detto, tutto in questo mondo si trasforma in uno spettacolo. Guardate i funerali della regina Elisabetta - uno spettacolo planetario. Abbiamo bisogno di continui spettacoli per dimenticarci la presenza della morte, che ci guasta ogni festa. E allora dai con le cerimonie, i rituali, i bei discorsi, le musiche, gli applausi, le parate, i costumi e il chiasso per stordirci: l’importate è che tutto vada avanti, che la vita prevalga sulla morte.
Ma è esattamente il contrario - la morte detta l’ultima parola, e dà il suo senso particolare alla vita. Senza la morte, la vita non ci apparirebbe così fragile e preziosa.
“Si vive una volta sola” recita un detto popolare. E dall’aldilà non ci giunge nessuna notizia, come se i due mondi fossero del tutto separati e incomunicabili, o come se non ci fosse nulla.
Siamo dunque tutti terrorizzati, anche se non ce lo diciamo.
La morte diventa innominabile, impensabile. Non ne parliamo mai.
Se ci si pensa bene, è più il tempo che passiamo da morti che quello che passiamo da vivi - una breve parentesi, La vita è un emergere o un’apertura che dura pochissimo.
Lo Zen ci domanda: “Dimmi quale volto avevi prima di nascere?” Quello tornerai ad avere quando morirai. Già, ma non era un volto, era un non-volto. Era qualcosa che non riusciamo a pensare.
Le religioni ci parlano di vita “eterna”. Ma è una contraddizione in termini. La vita è proprio ciò che dura poco. Perciò ciò che dura tanto è una non-vita. Qualunque cosa sia.
Non bisognerebbe chiedersi dove andranno i morti, ma da dove vengono i vivi. Che cosa ha indotto l’universo a configurare questi strani corpi-menti uscendo dalla perfezione originale? Non è quello il peccato originale?
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