domenica 24 maggio 2015

Sull'amore di sé e degli altri

Non prestate ascolto a chi ti invita ad amare gli altri disprezzando te stesso. È sbagliatissimo.
Prima amare se stessi e poi gli altri; prima avere compassione di sé e poi degli altri. O comunque contemporaneamente. Ma l’una cosa non esclude l’altra. Tutt’altro, l’una cosa è complementare all’altra e la rafforza.
Chi non ama se stesso non può amare gli altri; lo farà come un dovere. Chi non ha compassione di sé, come può aver compassione degli altri? In realtà, nel profondo, li odierà.
Si tratta di una legge naturale, di un fondamento psicologico.
Se ami gli altri ma non ami te stesso – o perché odi te stesso -, non andrai lontano: resterai un essere malato.
Se hai compassione degli altri, ma tratti male te stesso, ti giudichi male e ti riempi di improperi, stai sbagliando. Dal momento che sei in vita, devi vivere.
Così sbagliano tutti quei “religiosi” che, per dedicarsi agli altri, non si curano di sé. In realtà soffrono di problemi irrisolti nella formazione del sé. Non è vero che, per amare il prossimo o Dio, uno non debba provvedere alle proprie esigenze. Chi ti spinge a farlo, è qualcuno o qualche istituzione che vuole appropriarsi di te, che vuole possederti, farti schiavo.
La “rinuncia al sé” di cui si parla nelle spiritualità è semplicemente la rinuncia all’egoismo, che è il contrario del soddisfare le proprie esigenze naturali di amore. L’egoista, infatti, è un uomo avaro – anche di sé. Mentre la natura, e dunque Dio, vuole che tu viva a pieno, non a metà.

La vita è preziosa. E non ti chiede mai di rinunciare. Se rinunci alla vita piena, non puoi essere un individuo (“non diviso”) completo. Sei un fallito. Sei uno che ha sprecato l’occasione che gli è stata data.

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