Di solito noi abbiamo paura di perdere, con la morte, il corpo, la
mente, la coscienza e l’identità. E tutto questo è evidente, perché un morto
sembra perdere ogni contatto con noi e con la sua vecchia identità.
Per reagire a questa paura, ci inventiamo paradisi/inferni e un Dio e
compia l’operazione di salvare la nostra anima. Insomma la vita dovrebbe
proseguire sotto qualche forma. Perché non sopportiamo l’idea di scomparire
definitivamente e di non rivedere più nessuno. L’idea ci terrorizza.
Ma dobbiamo riflettere sul fatto che l’attuale identità è quanto mai
incerta e labile. Sappiamo di essere fatti in qualche modo, però non ci
conosciamo bene. Come se avessimo una
visione sfocata, quasi vivessimo in una specie di sogno, di recita o di incubo.
Come diceva Pirandello nei sei personaggi in cerca di un autore-soggetto.
Già, qual è il nostro vero soggetto? È definito. Sa da dove viene? Ha
una sostanza, un’anima?
Il fatto è che l’anima è il cercatore. E in un mondo dove tutto è
duale, il soggetto, per essere conosciuto, deve diventare oggetto. Quindi non
può essere conosciuto.
È per questo motivo che ci sentiamo sempre orfani di realtà: è come se
ci mancasse qualcosa.
Possiamo esserlo, non conoscerlo. È questa l’alienazione di base.
Dobbiamo sempre essere altro: non possiamo conoscere noi stessi.
La situazione è disperante. Dovremmo fare a meno della mente
conoscitiva. La nostra attuale identità è scissa.
Dunque, dobbiamo ammettere che la nostra vera identità ci sarà chiara
solo con la fine della mente. Cioè, con la morte.
La morte, lungi dal cancellare la nostra identità, ce la rivelerà.
Questo è il potere liberatorio della morte.
Il problema che tutto questo è il frutto di un ragionamento, ossia di
quella mente che non può cogliere la realtà ultima. Sappiamo ciò che non siamo,
ma non ciò che siamo. Se non in maniera confusa. È un po’ la situazione di chi
vorrebbe vedere chiaramente qualcosa, ma non può togliersi degli occhiali che
ne distorcono la visione. Può solo cercare di intuire, indovinare, perché
qualcosa comunque vede. Come scrive san Paolo, “ora vediamo come in uno
specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo a faccia a faccia”.
Non si tratta però di vedere qualcuno, ma di reintegrarsi nella
propria vera natura. E questa natura è comunque in noi, anche adesso.
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