martedì 7 febbraio 2023

La comparsa della coscienza

 

Per chi conosce la verità, la morte dovrebbe essere un lieto evento, una gioia, un sollievo, una liberazione, la fine della schiavitù di un essere legato a un corpo e a una mente. Ma per noi è la massima paura, ciò da cui derivano tutte le altre paure. L’abbandono di tutto.

Anche l’io dobbiamo abbandonare e la coscienza. Ma non forse l’identità ultima, che non dovrebbe essere legata al dualismo, perché mai nata e mai morta, perché unitaria.

L’identità ultima ha poco a che fare con la coscienza abituale, ma con la consapevolezza, che non è uno stato duale.

Ci siamo identificati con un corpo e con una mente, che dobbiamo perdere. Ma, una volta dis-identificati, siamo liberi.

La logica è che, se vogliamo l’infinito, dobbiamo passare per il finito; e, se vogliamo l’immortalità, dobbiamo passare per la morte.

Ma perché questa contorsione? Non eravamo già infiniti e liberi? Mai nati e mai morti?

La verità è che abbiamo a che fare con la stessa realtà… conosciuta dualisticamente da punti di vista differenti. Tutto dipende dal nostro modo di osservare: non potremmo pensare l’infinito e l’immortale se non passando dal finito e l’immortale.

Dunque il finito e il mortale servono a conoscere la totalità della Realtà.

Se partiamo dall’infinito e dall’immortale, dobbiamo conoscere per forza il finito e il mortale. Se partiamo dal finito e dal mortale, dobbiamo per forza aspirare all’infinito e all’immortale.

Questo lo diciamo partendo dal finito e dal mortale.

Se partiamo dall’infinito e dall’immortale, abbiamo già tutto. Ma non la coscienza.

La realtà ultima è al di là di tutte le aporie. E quindi non è neppure cosciente. Se dunque si apre la stagione della coscienza, cioè del dualismo soggetto/oggetto ecc. e dello spazio-tempo, compaiono il finito e il mortale. Ma tutto questo dovrà finire, un bel o brutto giorno.

Non domandate chi vuole tutto questo. Non c’è nessuno che lo voglia. Si vuole.

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