Esistono differenze fondamentali tra pregare e meditare. Si prega
sempre un presunto dio, usando parole precise. Quando invece si medita, non ci
si rivolge a nessun dio esteriore, ma a se sessi, a se stessi in quanto sé che
fa parte del divino, in quanto sostanza ultima. E, per far questo non si usano
parole, ma si cerca di retrocedere prima della parola, oltre la parola. Là dove
si trova un oceano sconfinato di silenzio.
Per la nostra mente esistono l’essere e il non essere, il cosciente e
l’incosciente, la vita e la morte, il bene e il male, il piacere e il dolore.
Ma in meditazione si va là, dove non esiste il dualismo e la contrapposizione.
Con la mente comune, non possiamo conoscere che cosa ci sia in questo cosmo
e come si possa esserne consapevoli. Ma possiamo e dobbiamo dedurlo proprio
dalle nostre esperienze duali.
Presupponiamo che all’origine ci sia qualcosa che sfugge a ogni nostra
definizione, La mente gira in tondo se pensa che all’origine ci sia un non
essere o un super essere. È una soluzione troppo elementare, addirittura
infantile, che non risolve il dualismo. Così non può cogliere la fonte di
tutto, che sfugge invece a ogni nostra classificazione perché è trascendente.
Parliamo di trascendenza rispetto alla nostra mente limitata,
Allora si tratta di una semplice supposizione? In un certo senso è
così. Se non vogliamo rifugiarci in mitologie e religioni senza veri
fondamenti.
Trascendere la mente usando la mente sembra impossibile… se non fosse per
certi elementi.
Innanzitutto la mente, consapevole di se stessa e della propria
incapacità, aspira naturalmente ad
andare al di là di se stessa. E poi ha un funzionamento discontinuo che lascia spesso
spazio ad un vuoto (di pensieri) che sembra indicare una via di trascendenza.
Quando si usa la penetrazione meditativa del “reale,” si vede bene che
sotto c’è un altro stato o strato. Il pensiero si arresta e si apre un varco
come in un fertile buco nero.
Infine, esiste uno stato di sonno profondo in cui la mente, con i suoi
contenuti, sembra sparire. E temporaneamente fa sparire anche la coscienza e la
sensazione dell’ “io sono”. Ma qualcosa mantiene il senso d’identità.
Di solito, per avvertire tale stato, ci vuole una situazione di quiete
e silenzio, sia sensuale sia mentale. Ma può avvenire anche in situazioni di
particolare concitazione, per esempio nell’orgasmo sessuale, in cui si verifica
un’intensificazione della consapevolezza priva dell’ “io sono”.
Tutto procede secondo natura, una natura libera di autodeterminarsi in
base alla legge di azione-reazione. L’ordine non è imposto da nessuno. Non c’è
bisogno di un architetto, di un poliziotto o di un giudice. Tutto avviene da sé.
Il problema è che la natura si occupa della specie, non
dell’individuo. Dell’individuo deve occuparsi l’individuo.
Poiché la coscienza è discontinua, ci deve essere qualcos’altro che
mantiene il senso d’identità. E non può che essere qualcosa che supera la
coscienza, che è al di là.
Si può perdere il senso dell’identità costituito dalla coscienza “io
sono”, ossia dalla coscienza di essere una determinata persona delimitata dal
tempo e dallo spazio, ma non il senso dell’identità non condizionata. Questo ci
fa ben sperare per la morte.
Quando dici o pensi “io sono”, ti rendi conto che quell’io è solo una
parte di te. Ammetti la scissione. Questa è la coscienza. Il conoscitore non è
l’io conosciuto, è qualcos’altro.
Il conoscitore, il Sé, è al di là delle parole e dei pensieri, e ne è
consapevole.
Questa consapevolezza di base è dunque confermata. Ma non può essere
conosciuta con i normali mezzi. È il conoscitore stesso.
Ma che cos’è questa consapevolezza che non può essere indagata? È
qualcosa che non è diviso, dissociato, che non conosce la normale dialettica
dei contrari, che è al fuori dello spazio-tempo. In tal senso, non nasce e non
muore.
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