Nella migliore delle ipotesi, ci troveremmo in un specie di evoluzione infinita, in cui lo stadio attuale sarebbe uno stato intermedio. Qualcosa di molto simile a ciò che avevano intuito in Oriente. Nessuno stadio superiore potrebbe essere capito da quello inferiore, così come la larva della farfalla non può comprendere che cosa sarà quando diventerà un insetto adulto.
In realtà anche questa è un razionalizzazione. L’unica cosa vera è che ci troviamo in un processo che non comprendiamo e di cui siamo semplici strumenti.
Ma noi tentiamo sempre di ridurre la Totalità a qualcosa di piccolo e di familiare.
Se pensiamo alla Totalità, subito la trasformiamo in un Dio, magari chiudendolo nelle chiese e in certe statue o immagini. Un personaggio umanoide.
Non cogliamo il senso della Totalità. Fanno bene gli islamici a vietare l’uso di immagini. Nelle nostre chiese, invece, è un’orgia di pitture e rappresentazioni che vorrebbero dare il senso della trascendenza, ma che sono espressioni e interpretazioni umane. Da noi addirittura Dio è considerato Padre, con un Figlio e una Madre. Siamo nell’antropomorfismo più completo.
Dio è la Totalità di un processo che è aldilà del bene e del male, che è sia dentro sia fuori e che è impersonale. Non un Dio alla stregua degli dei greco-romani, o egizi, o indù, ma la potenza del tutto.
Noi cerchiamo Dio, ma ne facciamo un idolo, perché non riusciamo a trascendere la nostra individualità. Ci sentiamo degli “io” che cercano l’immensità, e così ci separiamo dal tutto fallendo la nostra ricerca.
La comprensione-illuminazione è che l’io è solo un concetto, e non ne siamo separati.
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