Guardarsi dentro
Meditare dovrebbe essere una forma di introspezione, un osservarsi dentro, un cogliere con attenzione tutti i fenomeni che vengono da fuori e dall’interno per rendersi conto di quanto siano aleatori e variabili. Sorgono e svaniscono in continuazione,
Ci sediamo o ci stendiamo e diventiamo consapevoli di tutto ciò che si manifesta.
Nelle parole di Kee Nanayon, dovrebbe essere un “conoscere non coinvolto e stabilmente rivolto all’interno.” Ma se questo è facile in una caverna o in una foresta, lo è molto meno nella nostra vita attuale, che è continuamente bersagliata da stimoli di ogni tipo. Inoltre, se la cosa è piuttosto facile per le sensazioni (suoni, visioni, odori, ecc.) diventa difficile per le nostre stesse costruzioni mentali (rabbia, odio, stress, paura, ecc.)
Eppure è proprio questo che è importante. Osservare i nostri stessi stati d’animo per renderci conto che sono altrettanto instabili e mutevoli degli stimoli esterni.
Se io soffro d’angoscia, per esempio, mi riesce difficile prenderne coscienza per distaccarmene, per rendermi conto che è un fenomeno temporaneo. Dovrei essere in grado di vederlo oggettivamente, come se non appartenesse a me.
Ma è diffcile e ci vorrebbero ore di introspezione che non abbiamo a disposizione.
Qui fallisce la nostra meditazione che dovrebbe concentrsrsi sul dissolversi.
Alla fine bisogna essere consapevoli che i fenomeni sorgono, permangono per un po’ e si dissolvono.
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