lunedì 17 agosto 2015

L'uomo essenziale

Nello zen si dice che, finché desideriamo diventare qualcuno, siamo sulla strada sbagliata. Imbocchiamo invece la strada giusta quando incominciamo a considerarci “niente di speciale”.
Tutta la vita cerchiamo di essere qualcuno o qualcosa: ricchi, potenti, rispettati, sapienti… Studiamo e lavoriamo per essere qualcuno, per farci una posizione, per acquisire titoli e ruoli.
Ci sentiamo realizzati quando otteniamo prima una laurea e poi un lavoro prestigioso, quando guadagniamo tanto ed otteniamo un elevato status sociale, riconosciuto da tutti e ricco di privilegi.
Questo significa diventare qualcuno, per la società, per gli altri. Ma per noi?
Più che realizzare noi stessi, tendiamo ad essere superiori agli altri, ad ottenere importanza e reputazione.
Non che questo sia sbagliato in sé: se mettiamo a frutto le nostre capacità, i nostri talenti, non c’è niente di male, anzi.
Ma dobbiamo evitare la trappola di considerare lo status sociale qualcosa che possa risolvere i nostri problemi interiori: paura, ansia, insicurezza…
In altri termini, possiamo ottenere potere, soldi e reputazione, e raggiungere una condizione di privilegio, senza aver risolto i nostri problemi interiori.
Dobbiamo perciò distinguere tra l’uomo interiore e l’uomo sociale, tra essenza e ruoli. I due possono vivere su piani diversi, e le realizzazioni dell’uno possono non essere le realizzazioni dell’altro. Anzi, spesso le realizzazioni dell’uno servono a nascondere le mancanze dell’altro.
Dobbiamo capire e sentire che cosa ci sia di essenziale in noi stessi, dobbiamo comprendere quali siano le esigenze dell’uomo interiore, quello che sta sotto tutti i rivestimenti sociali.
È la realizzazione di questo uomo basico, il sé, che deciderà alla fine che cosa siamo veramente e se ci siamo liberati dai più comuni condizionamenti.


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