lunedì 10 agosto 2015

Fare il bene

Ci sono molti individui “religiosi”, nelle varie tradizioni, che credono che il modo per cambiare se stessi e il mondo sia essere buoni, essere morali, non essere violenti, non “peccare” più, aiutare gli altri, ecc. Ma, per quanto qualcuno possa essere “buono”, il mondo naturale non cambierà. Perché tutti dovrebbero essere così.
Lo pensavano Gesù, Buddha, Mahavira, Maometto, ecc. Non solo, però, tutti non saranno mai buoni, ma ognuno avrà un’idea diversa della bontà e dell’amore.
Per i jainisti, per esempio, significa non nuocere ad alcun essere vivente, comprese le zanzare.
Ma perché tutte queste religioni hanno fallito? Perché non sono riuscite a cambiare la natura umana… di tutti?
Perché ci vuole un cambiamento collettivo, un vero e proprio salto evolutivo. Per ora, gli uomini rimangono rozzi e primitivi come le loro religioni.
La verità è che la natura umana (e la natura in genere) non è né buona né cattiva, o è sia buona sia cattiva. Ed essere solo buoni (ammesso e non concesso che sia possibile) sarebbe del tutto innaturale e non aiuterebbe a sopravvivere. Essere solo buoni trasforma inevitabilmente in vittime (come dimostra la storia di Gesù).
Il male, la violenza, l’odio, la contrapposizione sono necessari come i loro contrari e concorrono alla salute generale.
Siamo convinti che, se diventassimo tutti vegetariani e salvassimo le zanzare, il mondo sarebbe migliore. Oltretutto, le zanzare, i leoni, i batteri, i virus e le cellule maligne non sono cattive: si limitano a sopravvivere e a riprodursi come tutti.
In realtà, nella volontà di vivere e di riprodursi c’è sia il bene sia il male. Non possiamo sfuggire a questo paradosso. Perfino nella volontà di cambiare il mondo c’è una dose di violenza. E certo hanno fatto più bene Pasteur o Sabin, con i loro vaccini, che migliaia di preti con le loro giaculatorie.
In un attimo il bene può trasformarsi nel male.
Se, per esempio, ci troviamo su una zattera e imbarchiamo per bontà d’animo altri naufraghi, tutti caleremo a picco.
Insomma, non basta avere un cuore tenero, non basta il sentimentalismo. Occorre calcolo, riflessione, misura, tecnica e organizzazione.
La meditazione non può affidarsi al solo cuore buono. È lei che, attraverso lo sviluppo della consapevolezza, può far capire quale sia la scelta migliore nelle varie situazioni. Migliore, non buona in assoluto. Il che implica avere anche un cuore duro.

Nessuno può impunemente e incoscientemente applicare il bene.

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