giovedì 26 febbraio 2015

Il fondo abissale dell'anima

Se potessimo cogliere il sé nella sua totalità, se potessimo non lasciar fuori niente, allora il mondo non avrebbe più un senso nuovo e tutto sarebbe così abituale e prevedibile che diventerebbe monotono e ripetitivo.
Deve quindi rimanere una sorgente sempre nascosta e inafferrabile, una fonte di nuovi sensi e di nuovi concetti, un Oriente che si sottrae sempre alla ricerca di senso.
Voler inseguire questa sorgente è come voler inseguire la propria ombra. È il fondo abissale che non può essere dispiegato razionalmente se non si vuole uccidere ogni novità, che non può essere illuminato se non si vuole che diventi sterile. Questo fondo noi lo abitiamo senza mai poterlo conoscere del tutto, perché è la fonte della conoscenza.
L’essenza dell’uomo, la sua anima, l’anemos mobile come il vento, è questo darsi che si sottrae. Si dà quando si sottrae e si sottrae quando si dà.
Non possiamo conoscere il Fondo abissale perché la luce della ragione lo sconvolgerebbe, facendo dissolvere anche l’io. Ma possiamo abitarlo, o meglio farci abitare da esso, lasciandoci aperti a nuove irruzioni di senso, a rivelazioni, a illuminazioni. E possiamo conoscerne qualcosa.
Non siamo noi che gettiamo un fascio di luce (il che proietterebbe le categorie della ragione), ma è qualcosa che emerge dal buio, un po’ come un pianeta che finora era rimasto nascosto.
È chiaro che per far questo (fin dove possiamo) dobbiamo rallentare l’abituale attività conoscitiva, riflessiva ed ermeneutica.
Comunque, questo nostro atteggiamento, pur escludendo domande, è una forma indiretta di interrogazione. L’attesa cui ci predisponiamo è una forma di ricerca o di agguato. È come andare a caccia: quando metto una trappola, non so quale animale ci cadrà, ma qualcosa sarà intrappolato. Ed è la mia trappola che trasforma un animale libero e spontaneo in un prigioniero chiuso in una gabbia. Sono io che provoco l’evento. Anche le reazioni che provoco nell’animale saranno state decise dalla mia trappola.
Non è dunque facile conoscere se stessi e non è nemmeno del tutto auspicabile. Quando avremo ridotto ogni luogo del pianeta ad una specie di luna park senza più misteri, ci toccherà trasferirci su qualche altro pianeta.

Dunque, dobbiamo avanzare in una terra inesplorata, cercando di non portarci dietro tutte le nostre abitudini, i nostri interessi e i nostri schemi di pensiero. Dobbiamo guardarla, e lasciarla lì indisturbata, come una riserva di senso.

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