lunedì 1 settembre 2014

L'identità profonda

Ci sono persone delle nostre società occidentali (europee e americana) che, dopo essere state allevate ed educate nei nostri paesi, riscoprono le loro origini musulmane (o si convertono all’Islam) e, presi dalla propaganda religiosa, partono per i luoghi in cui si combatte una guerra sanguinosa con cui certi gruppi musulmani vorrebbero istituire un Califfato, ossia uno Stato dominato da una spietata legge coranica, che ha  in odio la democrazia e vuole una dittatura religiosa. Un po’ come se in Italia si volesse istituire uno Stato cattolico governato non da leggi civili e laiche, ma da leggi religiose.
Che cosa scatta in certi individui? Certo, un malessere profondo che segna evidentemente un fallimento delle democrazie occidentali, un fallimento dei processi d’integrazione. Certo, un odio contro la democrazia e una voglia di fare la guerra, di uccidere. Ma, soprattutto, scatta un antico riflesso – quello religioso, che sembra essere un richiamo più forte di ogni altro valore. Un po’ come quando un uomo scopre di essere un ebreo e, da quel momento, sente che la propria patria è Israele e non più il paese in cui è cresciuto.
Non si tratta di un fenomeno nuovo. È la riscoperta delle proprie radici, che esercitano un’attrazione incredibile. Queste persone infatti credono in tal modo di poter acquisire un senso di appartenenza che evidentemente avevano perduto. Ma il problema è che sono incapaci di trovare la loro vera identità, che è certo più profonda di quella religiosa; così si illudono di trovare nel passato ciò che li farà sentire realizzati e integrati.
Trovare la propria identità in una religione è un’illusione, per il semplice motivo che una religione è una sovrastruttura ideologica, più o meno posticcia come tutte le altre.

La nostra identità non ha niente a che fare con le radici religiose e neppure con quelle etniche. Anzi, è ciò che si scopre quando si cancellano tutte le identità sovrastrutturali e ci si vede nudi.

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