venerdì 19 settembre 2014

La prigione degli uomini

Già Pascal aveva scritto che gli uomini, per non percepire la propria infelicità, si dedicano ad ogni tipo di passatempo, di divertimento e di passione. Senza queste attività che li impegnino, si sentono angosciati, perché sono messi di fronte al proprio vuoto interiore. Non essendo capaci di starsene un’ora tranquilli in una stanza, cercano di stordirsi con ogni genere di impegno, di trambusto, di rumore, di spettacolo e di compagnia. Per loro, la prigione è esattamente il luogo dove regnano il silenzio, la solitudine e l’inattività.
Per la maggior parte degli individui, come aveva fatto notare anche Kierkegaard, lo stare soli viene considerato un castigo, una punizione. Di conseguenza rifuggono dal riposo e cercano affannosamente distrazioni, affanni, agitazioni e occupazioni.
Il problema è dunque l’incapacità degli uomini di essere messi di fronte a se stessi.

Nella meditazione prendiamo il toro per le corna e diciamo che, finché l’individuo cercherà di evitare se stesso, sarà infelice e alienato. È proprio lì il punto: non fuggire, e addestrarsi ad affrontare se stesso. 

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