Nessuno potrà negare che provare una qualsiasi percezione attraverso i sensi significhi distinguere subito il soggetto (chi percepisce) dall'oggetto (percepito) . Il minimo atto di conoscenza, comune a tutte le forme animali, spacca subito la realtà in due: fonda il dualismo. Ed è inevitabile se si vuole conoscere. Soggetto e oggetto devono distinguersi. Altrimenti tutto sarebbe uno e non ci sarebbe percezione.
Soggetto e oggetto devono distinguersi non in tre o in cinque, ma secondo la logica del due. Tre sarebbero troppi, uno sarebbe troppo poco, due è perfetto. Ecco perché l'intera realtà è divisa in coppie di due: le forze devono presentarsi in coppie di due. Il che è confermato dalla legge dell'azione/reazione. Se le forze non entrassero in questa relazione oscillante, sarebbero sterili.
La prima relazione distingue il soggetto dall'oggetto. Tutti gli animali lo fanno. E lo fanno benissimo, altrimenti non sarebbero vivi. E' un dato di natura. Senza distinzione, senza differenziazione, senza dualità, senza Yang e Yin non ci sarebbe nulla.
E invece il tutto c'è. Ma non c'è a caso, differenziandosi in rapporti a tre o a cinque. No, si differenzia in rapporti di due, fino dalla percezione. Ci sono due sessi, non tre; ci sono la luce e il buio, non tre; ci sono l'attività e la stasi, non tre; ci sono l'attrazione e la repulsione, non un terzo stato; ci sono l'avere e il dare, l'entrare e l'uscire, il nascere e il morire, l'inizio e la fine, il bianco e il nero, ci sono il dolce e l'amaro, l'amore e l'odio... non una terza possibilità.
Però, però, se approfondiamo la questione, ci sono in realtà tante possibilità, tante variazioni, anzi infinite. Prendiamo la percezione dolce/amaro: non ci sono solo due estremi (il dolce e l'amaro), ma infinite combinazioni dei due poli. Dunque, l'apparente dualità maschera una molteplicità, una infinità. Ma con le cose infinite non si può trattare. Noi siamo esseri finiti e dobbiamo aver a che fare con cose finite, misurabili, trattabili, riducibili, maneggiabili. E con una percezione infinita non ci faremmo nulla. Dobbiamo per forza restringere e ridurre. Ma manteniamo la consapevolezza che si tratta di un espediente per vivere, per trattare, per comunicare, per comprendere qualcosa e per intenderci. Con gli enti o lo forze infinite non potremmo farci nulla.
La percezione dunque deve necessariamente ridurre. Talvolta ci accorgiamo che le variazioni o gradazioni sono tantissime (per es. tra il dolce e l'amaro, tra il bianco e il nero, tra la luce e il buio...ma chi è in grado di distinguerle tutte? Un esperto degustatore o un sarto può rilevare tante sfumature, tante gradazioni, ma anche lui deve ridurre e semplificare per farsi intendere, per comunicare. Posso dire questo bianco è più bianco di quello, questo cibo è più dolce di quello, questa luce è più forte di quella... ma poi mi mancano le parole per definirla. E quale sarebbe il bianco più bianco o il dolce più dolce o il luminoso più luminoso?
Ci basta però sapere che il dualismo è una maschera che occulta la vera faccia unitaria della realtà, che è infinita... e quindi non gestibile concretamente.
Comunque, l'infinità dei dualismi e delle relazioni, trova un modo per esprimersi anche se sfugge alla nostra percezione. E questo modo è il movimento, l'oscillazione. Sarebbe come una pala che gira velocissima, troppo veloce per il nostro sguardo, tanto che noi la vediamo ferma. Il nostro occhio non ce la fa. Ma anche gli altri sensi non ce la fanno. E quindi percepiscono quello che possono.
Tutti i sensi hanno limiti: si pensi al suono che è percepibile entro certi limiti. Certi animali hanno occhi, orecchi, odorato...ben più sviluppati. Quindi percepiscono diversamente.
Ma tutti hanno la distinzione fondamentale tra soggetto e oggetto, tra sé e altro. Tanto è vero che negli animali superiori si sviluppa un tipo di conoscenza, chiamato coscienza, in cui il soggetto stesso si differenzia in se stesso tra se stesso e se stesso, in senso orizzontale e in senso verticale.
Ma anche qui le cose non sono fisse. Sono in movimento tra due poli, oscillano. E quindi il rapporto soggetto/oggetto non è immobile, ma oscilla anche se non ce ne rendiamo conto. E' come l'amplesso amoroso: c'è il maschio e la femmina, ma in una continuo alternarsi, in uno scambio continuo. Senza contare che, come ci insegna il simbolo dello Yang/Yin in ogni polo c'è il principio dell'altro. Le cose non sono mai assolute. Obbediscono sempre a un principio di relatività.
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Questo testo è un'articolazione molto chiara e potente di alcuni nuclei fondamentali della tua teoria delle oscillazioni degli opposti complementari. Riassume bene alcuni assunti cardine e fornisce anche immagini vivide (come la pala del ventilatore, l’amplesso, le sfumature sensoriali) per rendere comprensibile l’idea che:
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La conoscenza nasce da una scissione originaria: la distinzione tra soggetto e oggetto è il primo atto che dà luogo alla coscienza e alla percezione. Il dualismo è quindi una condizione necessaria della conoscenza.
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La realtà è strutturata secondo coppie oppositive: non per scelta culturale o logica, ma per necessità biologica e ontologica. L’intero universo si articola in diadi dinamiche (luce/buio, attivo/passivo, maschio/femmina, ecc.).
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Il dualismo è una semplificazione operativa: la mente, per trattare la realtà, deve ridurre l’infinita varietà a polarità gestibili. È un compromesso funzionale, non una verità ultima.
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Sotto la dualità c’è una unità fluida e infinita, che si manifesta nel movimento oscillatorio. La vera natura della realtà non è fissa, ma vibrazionale, dinamica, relazionale.
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L’oscillazione è il meccanismo ontologico fondamentale: ciò che tiene in vita la relazione tra i poli. La tensione tra gli opposti non è una guerra, ma una danza.
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Ogni polo contiene in sé il seme dell’altro, secondo la struttura dello Yin/Yang: non c’è mai un polo “puro”, ma un continuum che oscilla tra due estremi relativi.
Possibili sviluppi teorici (che puoi eventualmente includere nel manifesto):
1. Il dualismo come “soglia” epistemologica
Puoi approfondire il concetto che il dualismo soggetto/oggetto è una soglia conoscitiva, una barriera-soglia che consente l’esperienza, ma al contempo la limita. Solo chi ha attraversato questa soglia può poi, con uno sguardo riflessivo o mistico, intuire l’unità sottostante.
2. Il principio dell’oscillazione come metafisica operativa
Il fatto che tutto oscilli tra due poli mostra che la realtà non è né una né due: è una struttura dinamico-duale che genera differenze all’interno di una rete unitaria. Quindi: la logica è duale, ma l’ontologia è unitaria-oscillante.
3. Risonanza tra diadi
La parte finale del testo si presta bene a introdurre il principio secondo cui ogni diade è connessa ad altre diadi in una rete vibrazionale: ad esempio, dolce/amaro può evocare caldo/freddo, o luce/ombra può evocare visibile/invisibile. Si tratta di una interconnessione dinamica tra campi semantici e sensoriali.
4. L’oscillazione come superamento dell’ontologia della “cosa”
L’universo non è fatto di cose, ma di relazioni che oscillano. Non ci sono entità statiche, ma processi in tensione, flussi che si strutturano temporaneamente come forme percepibili. Questo rimette al centro un’ontologia processuale, relazionale, e anti-reificata.
Sintesi aforistica per una possibile sezione del manifesto:
La percezione è la frattura originaria che apre la realtà alla coscienza. Ma ciò che si frattura è già uno, e ciò che si distingue è già in relazione. Ogni dualismo è un ponte, non un muro.
Il due è necessario alla vita, ma l’uno è l’orizzonte che vibra dietro ogni oscillazione.
Dove vediamo polarità, c’è solo ritmo. Dove pensiamo opposizione, c’è solo danza.
Vuoi che trasformi questo testo in una sezione strutturata del tuo manifesto teorico, con titolo, sottotitoli e sintesi formale dei concetti?
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