giovedì 19 giugno 2025

Il Dio banchiere. Teologia del bilancio

Pochi si rendono conto che il rapporto con Dio di Gesù (e degli ebrei) è di tipo economico. La parabola in cui Gesù allude a Dio con l'immagine di un banchiere è la Parabola dei talenti, che si trova nel Vangelo secondo Matteo 25,14-30 (e in forma simile in Luca 19,11-27, dove prende il nome di Parabola delle mine).



Nel racconto, un padrone (che rappresenta Dio) affida ai suoi servi delle somme di denaro (talenti), secondo le capacità di ciascuno. Alla fine del tempo, torna e chiede conto di come abbiano amministrato quel denaro.


Il terzo servo, che ha nascosto il talento senza farlo fruttare, si giustifica così:


> «So che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato... e ho nascosto il tuo talento sotto terra...».

E il padrone gli risponde:

«Servo malvagio e pigro!... Dovevi affidare il mio denaro ai banchieri, e al mio ritorno l’avrei ritirato con l’interesse».

(Matteo 25,26-27)




Gesù non intende identificare letteralmente Dio con un banchiere nel senso moderno e capitalistico del termine, ma usa un linguaggio economico come metafora per indicare che la vita, i doni ricevuti, la fede, devono essere messi in gioco e fatti fruttare. Anche solo "metterli in banca" (cioè farli fruttare in modo minimo) sarebbe stato meglio che tenerli nascosti.


Questa immagine ha anche un tono provocatorio: presenta un “padrone esigente”, che non accetta l’inazione, e richiama la responsabilità individuale. In Luca la figura è ancora più dura e si potrebbe dire l' intero rapporto di Gesù con Dio è di tipo economico.

La vita è un bene da far fruttare, una specie di investimento, e Dio è il banchiere, colui che, se avrai investito bene, ti premierà e ti darà degli interessi (il paradiso), ma, se avrai investito male o sarai stato pigro, non solo non ti darà nulla, nessun compenso, ma ti punirà togliendoti tutto, anche quel poco che hai.

Non avete idea di quanto questa mentalità "finanziaria" influenzi la vita cristiana - che non è per niente gratis, ma ha sempre un costo. Quando nasci,  hai già un debito; e, quando muori, tu o i tuoi eredi dovranno pagare le tasse.

Non ditelo ai nostri governanti. Ma per vivere  - secondo la mentalità cristiana - bisogna pagare le tasse. 

La tassa sulla vita!

Non sto scherzando. Nei paesi protestanti, la ricchezza è associata a una protezione divina, e la povertà a una maledizione o punizione.

Ma più in generale, l' etica cristiana non è che una conseguenza di questa mentalità "economica" e affaristica (in altre parabole Dio è rappresentato da un mercante). Vivere non è un dono, ma un investimento finanziario.

Vivere bene non è godere gratis dei beni della natura (come direbbe un animista o un pagano) ma metterli a frutto. Quindi non c' era bisogno dell' etica protestante per introdurre questo principio del dare e dell' avere, dei profitti e delle perdite, ma è insito nella fede cristiana. Devi investire bene, devi comportarti "bene" , cioè economicamente, se vuoi essere premiato con la "vita eterna". 

Perciò non vi meravigliate se viviamo in una civiltà dove comandano i ricchi e tutti devono agire secondo un interesse, secondo un tornaconto.

Non conta niente chi siete, voi avete un valore ...non se siete, ma se avete.

Ci troviamo nel mondo di Gesù e degli ebrei dove Dio è un banchiere esigente.

Potremmo approfondire l' argomento e dire che questo tipo di etica è già insito nella natura, nella sua struttura "economica" . E infatti anche le altre religioni hanno questo rapporto con Dio. Se ti comporti bene, avrai bene; se ti comporti male, avrai male... da Dio. Peccato che un Dio del genere non esista. Ma che esista una legge di azione e reazione che dice esattamente il contrario. Ogni azione buona ha una reazione cattiva e ogni azione cattiva ha una reazione buona! E l' etica che ha una struttura economica.

**"

Questo tuo testo è un'acuta e provocatoria riflessione sul modo in cui l’etica cristiana (e religiosa in generale) è stata costruita su un impianto economico, dove il rapporto con Dio non è gratuito né incondizionato, ma regolato da leggi implicite di credito, debito, rendimento e sanzione. La Parabola dei talenti (Matteo 25,14-30 e Luca 19,11-27) è l’emblema di questa impostazione: il padrone (Dio) esige un rendimento, non tollera l’inazione, e paga o punisce in base al profitto. La logica della grazia appare subordinata alla logica del rendimento.


Vorrei ora aiutarti a strutturare e approfondire questo discorso in forma più articolata, magari come sezione del tuo manifesto teorico. Te la propongo con il titolo:



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“Dio banchiere”: l’etica come struttura economica della salvezza


1. Il Vangelo secondo l’economia


Nel cuore della predicazione di Gesù si annida una logica economica. Non quella dei mercati, ma quella dell’utilità, del rendimento, della responsabilità individuale intesa come gestione di un capitale spirituale: fede, vita, tempo, risorse.


La Parabola dei talenti ne è la rappresentazione più chiara. In essa:


Dio appare come un padrone esigente, che “miete dove non ha seminato”;


La vita è un prestito fiduciario: qualcosa di dato, ma con aspettativa di ritorno;


Il giudizio finale è una resa dei conti, in cui si valuta la produttività esistenziale;


Chi non produce viene spogliato anche di ciò che ha: «A chi ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (Matteo 25,29).



Questa immagine non è un incidente di percorso: la salvezza è condizionata, non è data gratis. È il risultato di una buona amministrazione. Siamo dentro una teologia del bilancio.



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2. L’economia del peccato e della grazia


Tutta l'etica cristiana — anche pre-protestante — si basa sul principio del merito e della colpa: ogni atto ha un valore, una conseguenza, una contropartita.


Il peccato è un debito morale;


La grazia è un condono parziale (con condizione di pentimento e riparazione);


La vita eterna è il premio per chi ha “investito bene”;


Il paradiso è il plusvalore;


L’inferno è il fallimento.



Dunque vivere è fare economia della salvezza. Non si vive per godere, ma per produrre rendimento morale. Non si nasce liberi, si nasce debitori. Il battesimo serve a cancellare il debito originario. E tutta la vita è la fatica per rimborsare il prestito.



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3. La natura come modello economico


Ma forse questa struttura economica non è solo culturale o religiosa. Forse riflette una struttura profonda del reale, in cui ogni atto genera una reazione, ogni energia impiegata genera un contraccolpo. Ma qui la tua teoria dell’oscillazione degli opposti offre una lettura alternativa:


> Non è vero che a ogni azione buona corrisponde un premio. Spesso il bene genera male e viceversa. La realtà non segue un'etica retributiva, ma una dinamica oscillatoria.




Questa legge dell'alternanza — simile a quella che regola le onde, le stagioni, la vita e la morte — rompe l’illusione della giustizia economica divina. In questo senso, il Dio-banchiere non è altro che un’immagine antropomorfa proiettata sulla struttura della realtà.



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4. La religione come ideologia del rendimento


Qui si apre una prospettiva critica radicale: la religione diventa ideologia di controllo sociale. Se vivere è un investimento, chi comanda? Chi possiede? Chi gestisce i crediti e i debiti?


Il merito spirituale si sovrappone al merito economico;


Il ricco è visto come benedetto da Dio, il povero come colpevole;


Il comportamento etico è interesse personale, non dono né gratuità;


La società diventa una banca morale, dove ognuno è continuamente valutato.




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5. Oltre l’etica del rendimento: l’etica dell’oscillazione


Se accettiamo la tua teoria dell’oscillazione degli opposti, si apre un’altra via:


Non il merito ma la relazione è al centro;


Non il profitto spirituale, ma la tensione creativa tra polarità;


Non il giudizio finale, ma la continua trasformazione;


Non un Dio contabile, ma una realtà dinamica che si regge sulla reciprocità e sulla complementarietà.



Allora vivere non è più pagare una tassa, ma stare dentro un flusso, un ritmo di scambi vitali dove ogni perdita è anche un guadagno e ogni errore un’apertura. La legge dell’azione e reazione non è una contabilità, ma una danza.



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Fammi sapere se vuoi che questo testo diventi una sezione integrata del tuo manifesto, oppu

re se vuoi che lo elabori in forma saggistica, poetica, o persino come provocazione filosofica.





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