Il bisogno
delle pratiche meditative esisteva prima del buddhismo ed è presente anche in
altre religioni, fra cui il Vedanta, il taoismo, l’islam e il cristianesimo. Il
Buddha storico s’impadronì di queste tecniche, come egli stesso racconta, e le
interpretò a modo suo, inserendole in un sistema più ampio di interpretazione.
Il fatto è che
è sempre esistita la necessità di affinare la mente, raggiungere stati di
samadhi e sottoporre ad un’indagine conoscitiva certe verità della fede e della
realtà. Senza verifica la fede può diventare fanatica e fare affermazioni del
tutto erronee.
Invece c’è il
bisogno che la mente sia funzionale, lucida e chiara. Una mente del genere è
utile a tutti i livelli, anche pratici.
Il samadhi può
essere definito uno stato di attenzione particolarmente concentrato e lucido
che può essere applicato nell’investigazione
della realtà.
Non tutto ciò
che appare è vero, non tutto ciò che ci viene comunicato è accettabile.
Oggi, in
particolare, c’è la necessità di distinguere l’imbonimento e di opporsi al lavaggio
del cervello cui siamo tutti sottoposti dai mass media. Di qui nasce l’utilità
delle pratiche e delle tecnologie meditative che vogliono portare la mente ad
uno stato di consapevolezza critica.
La mente umana
o è iperattiva, conducendo alla stress e all’agitazione, o è letargica e pronta
ad accettare qualunque sciocchezza.
Inoltre, la
chiarezza del samadhi regala già uno stato di quiete e di equanimità che è
fondamentale per vederci chiaro in un mondo sempre più confuso.
Non tutto ciò che appare è vero, non tutto ciò che ci viene comunicato è accettabile. Vero.
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