giovedì 3 settembre 2020

Il terrore di perderci

 

La nostra massima paura è perdere ciò che ci contraddistingue: il nostro io, la nostra individualità, la nostra identità. Per noi questa è la morte. Anche se rimanessimo in vita, ma perdessimo la coscienza, sarebbe comunque la morte.

       Siamo così attaccati alla nostra identità che il successo delle religioni dipende dal fatto che ci promettono la sopravvivenza individuale dopo la morte.

       Però dall’Oriente ci viene un’altra idea: che la fine dell’individualità non sia la fine di tutto, ma l’acquisizione di una libertà priva di vincoli. In tal senso si parla di liberazione.

       La nostra coscienza, liberata da speranze, desideri e paure, cioè dal senso dell’io, si allarga all’infinito e contiene il mondo intero.

Contrariamente all’etimologia comune (individuus = non diviso), l’individuo è diviso sia dagli altri sia al proprio interno - è il regno della dualità, tanto che il contrario dell’individualità è la non-dualità. In ognuno di noi alberga non un’identità fissa e unica, ma una molteplicità cangiante. L’io è sempre diviso ed è un campo di impulsi contrari.

Il problema è che ciò che noi conosciamo non è ciò che conosce: abbiamo sempre un’idea sbagliata della nostra identità. Colui che conosce non è l’io che crediamo di conoscere, ma il testimone a priori. Quella è la nostra vera identità, qualcosa che non sta affatto entro i limiti del conosciuto. Ed è con lei che dovremmo familiarizzarci.

 

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