domenica 23 luglio 2017

Il percorso meditativo

Il percorso meditativo ha regole e fasi. Parte da uno stato di concentrazione o assorbimento (jhana). Si tratta di guardare intensamente un “oggetto”, che può essere materiale o immateriale.
Se come oggetto prendiamo il respiro, dobbiamo prima di tutto calmarlo, rasserenarlo e renderlo sempre più interiore, sempre più “sottile”, in modo da vedere la sua essenza immateriale, spirituale.
Quando riusciamo nell’operazione, proviamo un senso di leggerezza e di soddisfazione (piti). Insistendo senza perdere concentrazione, la soddisfazione si trasforma in gioia (sukha).
Questo processo va ripetuto di continuo, finché non ne diventiamo padroni.
Talvolta, l’acquietamento avviene per caso, a causa di qualche stato d’animo favorevole. Si tratta di casi fortunati che possiamo tener presenti per capire a quale risultato puntiamo. Quella è la via.
È chiaro che un risultato del genere è temporaneo, in quanto tutto è impermanente e si trasforma. Ma proprio per questo va ripetuto ed esteso a tutte le situazioni della vita. Anzi, serve particolarmente quando siamo agitati, per trovare la calma.
Utilizzando la tecnica descritta o un caso favorevole, ci troviamo al primo livello di accesso (jhana) della meditazione. Ora dobbiamo svilupparlo in una condizione più stabile o duratura. Dobbiamo cioè ripetere di continuo i primi passi: respirazione, acquietamento, piacevole concentrazione, ecc.
Ma siamo solo all’inizio: senza uscire dallo stato di concentrazione, dobbiamo arrivare ad una visione più profonda (vipassana) scandagliando il carattere illusorio della realtà, la sua impermanenza e la sua insufficienza.

La conclusione è il distacco da tutte le cose e l’aspirazione ad uscire dal ciclo condizionato delle nascite e delle morti, da questa realtà così limitata.

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