lunedì 2 giugno 2014

La rabbia in corpo, ovvero il perdono facile

Incalcolabili sono gli effetti negativi della cultura cattolica sul popolo italiano, che, dopo aver adottato il cristianesimo nel quarto secolo, si è trasformato da un popolo di conquistatori in un popolo di pecore, pronte a chinare il capo di fronte a qualsiasi sopruso. In questi giorni si parla a vanvera di perdono e i mass media statali ci invitano a perdonare… così, genericamente.
Ora, se ci vuole forza a perdonare, ci vuole molta più forza a non perdonare, a trattenere dentro di sé la rabbia e a cercare ad ogni costo la giustizia. Il debole è sempre pronto a perdonare, perché non vuole aver a che fare con la propria coscienza.
Ma chi dobbiamo perdonare? Dobbiamo perdonare i mafiosi che hanno sciolto nell’acido i bambini o che hanno assassinato i giudici? Dobbiamo perdonare i criminali di guerra? Dobbiamo perdonare i terroristi che hanno messo le bombe sui treni, nelle piazze e nelle banche? Dobbiamo perdonare gli schiavisti e i razzisti? Dobbiamo perdonare i finanzieri che con le loro speculazioni hanno messo sul lastrico intere popolazioni e indotto qualcuno a suicidarsi? Dobbiamo perdonare il cardinale che fece uccidere Giordano Bruno?...
Ma sì, perdoniamoli, perdoniamoli tutti!
Però domandiamoci: sarà un caso che i paesi cattolici siano quelli in cui dominano i mafiosi e i violenti?
Oppure è proprio l’effetto della cultura del perdonismo e del porgere l’altra guancia?
Bisogna imparare a trasformare la rabbia in energia e l’energia in azione di giustizia.

Perdonare per principio può essere solo viltà. E rimettere la giustizia nelle mani di Dio può essere un modo per non farla qui sulla terra.

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