È noto
che, quando cerchiamo di sapere chi siamo, abbiamo solo brandelli di verità e
che ci manca il quadro complessivo. Il problema è che, quando cerchiamo di
cogliere la nostra intera soggettività, non possiamo farlo, perché trasformiamo
la nostra conoscenza in qualcosa di oggettivo, qualcosa che viene allontanato
da noi… e che non è più “noi”, ma un concetto, un’interpretazione del nostro
vero noi.
Però
qualcosa possiamo intuire, perché il vero noi, l’io più vasto, è sempre attivo,
è sempre presente. Non possiamo coglierlo, non possiamo conoscerlo se non
dividendoci in due (soggetto e oggetto), e quindi trasformando il soggetto in
un oggetto (di conoscenza) e mancandolo clamorosamente.
Perché il
soggetto deve sempre rimanere tale, è ciò che ci sfugge.
Quando cerchiamo
di farne un oggetto di conoscenza-esperienza, si allontana di nuovo. Adesso è
ciò che conosce, ma non ciò che è conosciuto.
Per uscire
da questo infinito inseguimento, non resta che fermarci e assumere un
atteggiamento contemplativo. Cioè un atteggiamento in cui mettiamo tra
parentesi la mente calcolante, la mente pragmatica, e lasciamo spazio alla
mente meditativa.
Così
possono sorgere grandi o piccole illuminazioni.
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