I credenti
sono tutti d’accordo: Dio esiste ed è solo
amore e bontà.
Ma, stando
così, le cose, non si capisce da dove verrebbe fuori un mondo che è conflitto.
Si dice
che, per dare la libertà agli uomini, bisognava per forza lasciarli sbagliare e
quindi scegliere tra bene e male. Un modo, però, per dire che il male ha la
stessa fonte del bene. E perciò è proprio Dio che lo avrebbe creato.
Il motore
del divenire è proprio il contrasto tra due forze, e, se c’è un Dio che lo ha
creato, lui è il responsabile. Non se ne esce. Concepito Dio e il bene, non può
che esserci anche il Dio del male. Non il Demonio, ma solo l’altra faccia di
Dio.
Dunque,
non un peccato originale dell’uomo, ma un difetto di fabbrica – dell’eventuale
creatore. Un insanabile conflitto.
In
conclusione, comunque la mettiate, Dio non potrebbe essere solo amore e bontà. Dovrebbe essere anche il contrario.
Testimoniato dal fatto che avrebbe creato anche l’inferno, la punizione e la
violenza.
D’altronde,
nei miti stessi degli angeli decaduti o della cacciata dal paradiso terrestre,
si ritrova questo male costituzionale, l’impossibilità che tutto sia bene e
amore.
Anzi,
l’amore non potrebbe nemmeno esistere senza il suo contrario: non ci sarebbe
neanche il concetto.
Senza ciò
che per noi è male, il mondo non potrebbe esserci. Proprio come il polo
positivo dell’elettricità non potrebbe esistere senza il polo negativo.
Lo stesso
per l’attrazione e la repulsione, l’avvicinamento e l’allontanamento, la forza
centripeta e la forza centrifuga…
Noi
vogliamo salvare la totale bontà di Dio, ma, ragionando, ritorniamo alla verità
che il male è altrettanto originario, divino.
Non c’è
niente da fare: la nostra povera mente non può uscire dalla rete di dualismi,
contrapposizioni, dialettiche, schemi, categorie e convinzioni che si è creata
e in base a cui funziona. Ecco perché, quando parla dei massimi problemi – Dio,
anima, morte, aldilà… -, non fa che proiettare i suoi limiti. E quindi non può
conoscere niente di veramente nuovo. Per esempio, quando parla di Dio proietta
le proprie idee di Padre, Padrone, Signore, ecc. e quando parla di aldilà
concepisce un aldiquà solo un poco modificato.
Non ce la
fa a uscire da ciò che ha già sperimentato e conosciuto. Spera sempre in una
sorta di continuità.
Non
capisce la morte perché non riesce a morire essa stessa. Ma la morte è proprio
questo.
La pratica meditativa invita a lasciare andare i pensieri e ad abbandonarsi al Presente. Non spiega nulla, ma svela uno stato completamente nuovo dell'Essere. Forse da qui ci si può avvicinare un po' di più a ciò che realmente è il divino. Non più il mio pensiero, la mia immaginazione, o le forme e le parole tramandate, ma un'esperienza.
RispondiElimina