C’è qualcosa che usiamo
continuamente, tutti i giorni e tutto il giorno, ma che non sappiamo cosa sia. È la nostra coscienza. Da una parte, è certamente una
funzione del cervello, e dunque qualcosa che nasce da un pezzo di materia (il
cervello) specializzata, ma dall’altra parte ha una caratteristica unica, che
sembra al di là della materia.
Benché le scienze e le filosofie abbiano cercato di definire
la coscienza e la sua origine, non ci sono ancora riuscite. Si tratta di uno
speciale riconoscimento di noi stessi che gli altri animali non possiedono. Se
mettete un cane o un gatto davanti a uno specchio, i due non riconosceranno se
stessi, ma penseranno che sia un altro cane o un altro gatto.
Pare
che solo poche scimmie superiori riescano a riconoscersi. E naturalmente gli
uomini.
La
metafora dello specchio ci dice che si tratta di un riconoscimento di sé. E non
c’è bisogno di uno specchio. Lo specchio è proprio la coscienza. Noi sappiamo
di essere, e di essere un io particolare con un corpo particolare. “Quello sono
io!” “Io so di essere un io!”
Non
sappiamo come un pezzo di materia giunga a sapere di essere. Ma sappiamo che
dalla materia può nascere l’autoconsapevolezza, la coscienza di sé. Noi stessi
ne siamo la prova.
È
questa coscienza che fa nascere l’arte, la filosofia, la scienza e la
religione, cioè il meglio dell’umanità. Anche se il riconoscimento di essere un
io è certamente un’operazione riduzionistica (noi siamo un insieme più vasto),
è questa funzione che dobbiamo sviluppare. E la meditazione è lo strumento più
indicato.
Anzi,
possiamo dire che l’essenza della meditazione consista proprio nel porsi questa
domanda: “Chi sono io?” e nel cercare di rispondere non con parole ma con una
ripetizione costante dell’essere consapevoli. Più siamo consapevoli di essere
coscienti, più possiamo elevare questa nobile funzione.
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