mercoledì 28 giugno 2023

Il simbolo del patibolo

 

Finalmente qualcuno ha messo in discussione l’assurda abitudine italiana di piantare croci sulla cima di ogni montagna.

È un segno d’inciviltà che deturpa la natura.

È un simbolo di “volontà di potere” di una religione che vuol mettere il suo segno di dominazione dappertutto.

E poi che cos’è una croce, se non un patibolo?

Che brutto simbolo!

Non c’è bisogno del simbolo del patibolo per ricordarci che l’esistenza non è una festa, come credono tanti ingenui, ma una condanna – una condanna al patibolo.

La magnifica illusione

 

Una massima dei Padri del cristianesimo orientale afferma che “Dio si è fatto uomo perché l’uomo si facesse Dio”. E questo ce la dice lunga sulle ambizioni dell’uomo, che si ritiene prima di tutto di essere di poco inferiore a Dio e poi meritevole di un’attenzione salvatrice (o danzatrice!) di questo stesso Dio, che è considerato un Essere onnipotente e onnipresente.

Queste ambizioni mi sembrano un po’ esagerate, tenuto conto che l’uomo è una scimmia un poco più evoluta. Volete che, sopra di lui nella scala gerarchica, ci sia già Dio? È più probabile che la scala gerarchica sia molto più lunga e che i gradini siano tanti.

Tenete presente che l’uomo non è in grado di concepire niente oltre la sua dimensione dualistica, e quindi è molto indietro. Vedrei più logica una progressione più lunga.

Ma noi siamo dei poveracci che, quando si trovano in guai seri, non sanno più a chi rivolgersi per aiuto. E allora pregano Dio. Ma vi sembra che Dio accorra sollecito? Sarebbe bello. Ma nessuno accorre ad aiutarci.

Dunque, vedrei meglio un appello rivolto a “tutte le forze dell’universo” sperando che le forze che ci hanno generato, qualunque esse siano, possano anche aiutarci nei momenti più difficili. Ma dubito che l’universo si curi dei singoli individui al punto di cambiare ciò che di male ha già fatto. Sarebbe troppo comodo, e allora ecco intervenire, nel cristianesimo e altrove, l’idea che la sofferenza sia utile – un’idea che rivela l’impossibilità di interventi esterni.

Restano quindi gli interventi interni, che per ora consistono nel rafforzarsi caratterialmente e spiritualmente, ma che cambiano, più che i fatti, la nostra reazione ai fatti. Come dire: se ti muore una persona cara, non puoi certo riportarla in vita, ma puoi aumentare la tua resilienza al dolore. Tutto lì.

Esiste un’altra via, quella del vuoto. Come dice il noto fisico Guido Tonelli, “tutto, ma proprio tutto, non è altro che una forma di vuoto”. Naturalmente si parla di vuoto quantistico, gremito di particelle virtuali “che ininterrottamente si generano e si annichilano in un grande gioco a somma zero”. Da una di queste fluttuazioni sarebbe nato l’ universo.

Così, nella fisica più avanzata, la materia sembra dissolversi e si apre la possibilità, per ora solo teorica, di intervenire noi stessi.

Per esempio, certe forme di meditazione ricorrono proprio al tentativo di svuotarsi per agire su cose che non sono che pacchetti di vuoto. Possiamo ritornare al vuoto per cambiare quelle configurazioni di vuoto?

Se l’universo non è che un sogno, possiamo entrare nei sogni per indirizzarli diversamente? Sì, qualche volta capita.

sabato 24 giugno 2023

Materialismo cristiano

 

I cristiani sono i più grandi materialisti (o ingenui) della storia. Per loro, morire diventa essere assunti, col corpo, in cielo, tanto è vero che i primi cristiani si meravigliavano che i fedeli morissero veramente.

Per loro, la carne e il corpo del Cristo devono essere contenuti concretamente nell’ostia che assumono.

Per loro, l’utero cosmico cui accennavo in un post precedente deve essere l’utero concreto di una donna.

Per loro, essere figli di Dio significa che ci deve essere un Figlio di Dio concreto.

A proposito, in un tempo in cui si condanna l’utero in affitto, come definire quello della Vergine Maria? Non era in affitto, era gratis? Non è stata neanche pagata.

Un delitto universale, quello del Padreterno.

Ciò che manca ai cristiani è la spiritualità. Infatti, la figura dello  Spirito Santo è rimasto nel vago: non si può vedere, non si può mangiare, non si può raffigurare. Allora, cos’è?

Svuotarsi

 

Abbiamo detto che la parola “vacanza” viene dal latino vacare, che significa essere libero di, mancare di, essere vuoto, avere tempo a disposizione, mancare, ecc, tutti termini che derivano da vaccuum. Quindi, andare in vacanza significa svuotarsi di tutte le incombenze abituali, di tutte le responsabilità comuni, di tutte le abitudini, di tutti i soliti condizionamenti, di tutti i comportamenti coercitivi e ripetivivi.

Noi, poi, noi abbiamo travisato e abbiamo stabilito che dobbiamo fare qualcosa di divertente, come andare a ballare o viaggiare. Ma questo è divertimento, non vacanza.

La vera vacanza è invece svuotarsi. E non ha bisogno di luoghi di vacanza: può essere fatta anche dove ci troviamo.

In realtà non dobbiamo “fare” proprio nulla: è un non-fare. Se me ne sto sotto l’ombrellone a guardare i passanti o se vado in montagna a contemplare il paesaggio, questa è già più vacanza, nel senso che non faccio nulla ma guardo solo, dimentico di tutto, dei soliti pensieri e perfino di me stesso.

Chi guarda? Nessuno. C’è un guardare senza un io.

In tal senso, la vacanza è più simile a una contemplazione che a un fare qualcosa. Guardo, non faccio.

Come capite, siamo nel campo della meditazione. E non è singolare che tutti abbiano questa esigenza. Meditare nel senso di svuotarsi è una necessità di tutti, come il dormire, qualcosa di naturale e spontaneo per ritrovare il senso di essere (senza io), la propria energia di base.

Andiamo dunque tutti in vacanza, anche senza muoverci, ritrovando noi stessi, ossia il Sé che di solito è perduto nei ruoli e nelle esigenze della vita pratica. Svestiamoci dei ruoli abituali. Rimaniamo nudi.

mercoledì 21 giugno 2023

Vivi e lascia vivere!

 

È questo un proverbio della massima saggezza. Se vuoi vivere senza aggressività, devi lasciare che le persone siano autonome e diverse l’una dall’altra. O dovrai ingaggiare una guerra costante contro chi non riceve la tua approvazione. E perché mai?

Gli altri non hanno il diritto di essere diversi da te? Sei tu il modello di tutte le cose?

Purtroppo, il governo attuale ha intrapreso questa crociata contro i diversi, che siano gay, bambini di coppie omogenitoriali o donne che affittano il loro utero. Perché non dovrebbero farlo? Perché non piace a te? Perché non seguono determinati canoni, stabiliti da chi?

Addirittura si parla di “reato universale”. Mi pare che un reato universale sia la guerra, la prevaricazione, l’autoritarismo, non un utero che vuole donarsi.

Questo è il difetto delle ideologie autoritarie, che pretendono che il mondo si conformi a un certo modello, che non amano la libertà degli individui, che vogliono regolare e imbrigliare tutto.

È il conformismo di massa, per cui tutti dovrebbero seguire certe regole. Ma occupatevi dei fatti vostri, dei poveri, dei disoccupati, delle abissali differenze economiche, e lasciate che la gente usi il sesso come vuole.

Mi sembra un pericoloso ritorno al moralismo cattolico, che pretende di imporre regole nei letti delle persone.

Vivi e lascia vivere!

Il silenzio

 

Abbiamo creato tanti concetti e tante parole, al punto che, se un fenomeno non ha la sua etichetta, non lo riconosciamo: è come se non esistesse. Ma questo riguarda solo la nostra realtà convenzionale. Quando ci occupiamo di trascendenza, i concetti e le parole non servono più a nulla: rivelano i loro limiti.

In altri termini, la nostra mente, abituata a definire e a circoscrivere, si trova impotente, piena di contraddizioni e paradossi. Questo vale per le religioni e per la spiritualità… ma anche per la scienza quando cerca di descrivere lo spazio-tempo, l’unità del tutto, il mondo delle particelle o l’origine dell’universo.

Quando per esempio si parla di Big Bang e a quel c’era prima, ci riferiamo ancora alle antiche mitologie.

Le nostre teologie sono giochi per bambini. Come fare a descrivere un’eventuale Dio, l’anima, la realtà ultima? Ci limitiamo a balbettare, a usare metafore e concetti inadeguati.

Perfino quando definiamo il nostro io, ci riferiamo a un concetto. Ma la nostra esperienza di quell’io è tutta un’altra cosa.

Come fare a definire ciò che c’era prima della coscienza? Il fatto che non c’era coscienza, non vuol dire che non esistesse: ma come parlarne?

È proprio il parlare (cioè il pensare) il problema.

Allora che cosa rimane? Il silenzio.

Qui però dobbiamo intenderci. Conoscere non dev’essere un acquisire, un conquistare, un violentare, ma un osservare intimamente, da vicino: un meditare.

Ma, soprattutto, poiché le cose nascono dal vuoto, il silenzio è il miglior metodo per acquisire energie.

Ricordiamocene adesso che andiamo in vacanza per ritrovare le nostre energie. Non per nulla, la parola vacanza significa proprio vuoto.

sabato 17 giugno 2023

L'utero cosmico

 

Sappiamo che esistono diversi tipi di energia (atomica, elettromagnetica, fisica, psicologica, ecc.) e sappiamo che la materia non è che energia solidificata. Un tempo si credeva che esistesse una divisione netta tra materia e spirito. Ma lo spirito che cos’è se non un altro tipo di energia?

Studiando i vari tipi di energia, si scoprì che la sorgente delle energie non è nient’altro che… il vuoto. Le cose, anche quelle più materiali, non sono che pacchetti di vuoto!

Ad un certo punto, circa 13,8 miliardi fa l’universo era incredibilmente caldo, incredibilmente piccolo (delle dimensioni di una pesca) e incredibilmente confuso: un brodo caldo che, in un battito di ciglia, ebbe un’incredibile espansione (almeno 1052). In pochi minuti, si formarono i primi elementi: quark e gluoni. E, in una dozzina di minuti, il brodo si raffreddò e diede origine ai protoni e neutroni, e quindi all’idrogeno e all’elio che, in miliardi di anni, formarono le stelle e le galassie.

Ma il tutto ebbe origine dal nulla, dal vuoto che si è per così dire “condensato”.

Che tutto abbia origine dal vuoto è evidente: infatti il vuoto è ancora il fondamento di tutto e traspare continuamente.  Inoltre, tutte le cose, compiuto il loro percorso (breve o lungo) riaffondano nel vuoto o nel nulla. Questa è la morte.

Poiché, però, da questo vuoto è emerso tutto ciò che conosciamo, non dobbiamo considerare il nulla come la fine, ma come un grembo fertilissimo da cui le cose rinascono. Ecco un argomento di meditazione e di speranza.

In conclusione, non dalla vita ci viene la speranza - ma dalla morte stessa.

venerdì 16 giugno 2023

Il miraggio della felicità

 

Quando moriamo, non c’è né paradiso né inferno. L’io e la coscienza di esistere si dissolvono e  passano da essere personali e limitati a essere universali e illimitati.

Lo dico perché, se potessero esistere paradiso e inferno, dovrebbe conservarsi una parvenza di io e quindi del dualismo sofferenza/gioia, piacere/dispiacere, tempo e spazio. Il che potrebbe anche essere possibile, ma sarebbe ancora temporaneo, un livello da superare.

Noi invece ci riferiamo a persone che hanno capito e che sono ormai all’ultimo livello, quello che non ha più bisogno di esperienze.

La morte è allora come disperdere l’acqua di un bicchiere nel mare. Perde la sua forma, è vero, ma quella forma era solo un limite temporaneo e del tutto artificiale: l’acqua non ha forma.

Il contenimento temporaneo nell’io e in un corpo è dovuto a un’illusione: il miraggio della felicità, la speranza di poter essere felici per sempre. Ma, se c’è talvolta felicità, ci deve essere anche il suo contrario: l’infelicità, la sofferenza. Noi ci dimentichiamo di questa legge.

Ma chiedete in giro: chi è veramente e stabilmente felice? Chi, se non lo scemo del villaggio senza consapevolezza? Perché non c’è via d’uscita: la coscienza di essere è quasi sempre infelice.

Dunque, gli uomini sono degli illusi, sempre alla ricerca di qualcosa e sempre delusi.

Certo, si può scegliere un atteggiamento coraggioso e stoico. Ma anche questo atteggiamento non nasconde la disfatta dell’essere vivente.

giovedì 15 giugno 2023

Giustizia e vendetta

 

Tutte le persone offese dicono: “Voglio giustizia, non vendetta!” Ma che differenza c’è? La prima sembra impersonale, la seconda troppo personale.

E così, se non si ha il coraggio di vendicarsi personalmente, ci si affida alla giustizia. Ma la sostanza non cambia: si tratta sempre di vendicare un torto subìto. E quindi ci vuole una certa dose di violenza e di cattiveria.

Ecco perché, nella giustizia divina, non c’è posto né per il paradiso né per l’inferno. Non c’è nessuno che giudica. Tutti perdono la coscienza individuale con i suoi torti e i suoi pregi e quindi tutti assurgono al livello che gli compete.

 

I ricchi e i potenti si costruiscono tombe faraoniche e si organizzano funerali sontuosi, sperando di essere trattati nell’aldilà con il dovuto riguardo. Ma non sarà così. La morte è democratica e riduce tutti a nulla. I corpi si sgretolano, le coscienze si spengono e l’io svanisce come quando si immerge un bicchiere d’acqua nel vasto mare.

Anche se avevate la coscienza di esistere, ora quella coscienza non esiste più. Che cosa rimarrà? Rimarrà “quello” che siete sempre stati, ancor prima di nascere.

Tempo di cortigiani

 

“Berlusconi, santo subito!” sembra intonare il suo popolo che, finalmente, attraverso la televisione di Stato, conquistata dagli uomini e dalle donne di destra, può dare libero sfogo al suo amore per il Capo.

Funerali di Stato, messa nel Duomo di Milano, lutto nazionale, parlamento chiuso, Chiesa osannante (come un tempo), televisioni e mass media che parlano solo di lui, Vespa che imperversa ad ogni ora ricordando il suo antico amore, presentatori che piangono in diretta, giornalisti inginocchiati di fronte alla figura dell’Autorità… si capisce da quale parte sta il governo.

Io non ho paura del nuovo autoritarismo e del culto della personalità, ma del servilismo degli italioti. Senza questo servilismo, a quanto pare innato nel Bel Paese, come avrebbero potuto svilupparsi il culto del Papi e il culto del Papa?

Adesso che l’uomo è morto, noi ci immaginiamo che andrà in cielo a incontrare Craxi (che gli fece le leggi su misura), Andreotti, legioni di belle ragazze, la “nipote di Mubarak”, dell’Utri e uomini della mafia. Ma, con la morte, muoiono l’io e la memoria e ci si ricongiunge con l’Uno, che non sa più niente del mondo. È questa la giustizia divina, che non è, come pensiamo, una specie di esame o di processo, ma il rientro nell’armonia universale, l'oblio della dimensione terrena con le sue differenze e i suoi gradi di giudizio.

I giudizi, il bene e il male, la vendetta e l'aggressività non escono da questo "opaco atomo del male".

domenica 11 giugno 2023

Femminicidio

 

Sembra che il femminicidio sia stato inventato oggi: invece è sempre esistito.

Fa parte della contesa generale o, se vogliamo, della guerra di tutti contro tutti. La guerra dei sessi.

Fin da quando è incominciata l’espansione dell’universo e quindi la formazione delle stelle, dei pianeti e delle galassie, è iniziata anche la contesa e di conseguenza la lotta fra maschi e femmine.

“Tutto accade secondo contesa e necessità” diceva Eraclito. “Polemos (la guerra) è padre di tutte le cose.

E questo si sapeva prima che arrivassero le dolciastre religioni con il loro Dio solo buono.

Il maschio e la femmina sono fatti per amarsi – e quindi per odiarsi. Tra la psicologia maschile e quella femminile c’è un’incomprensione profonda, ineliminabile. Ciononostante devono stare insieme.

Se fossero uguali, non si attrarrebbero. Ma la comprensione resta impossibile.

Ciò che la gente ignorante nega è che gli opposti sconfinino l’uno nell’altro e si sostengano a vicenda.

Dunque, la pace resta un’utopia o, se vogliamo, una meta che non sarà mai raggiunta.

giovedì 8 giugno 2023

La nascita come apparenza

 

Dobbiamo chiederci a chi è successa la nascita. Chi è il soggetto o lo stato che a un certo punto nasce?

Perché noi diamo per scontato che ci sia una creazione dal nulla, ad opera di un Essere superiore che di colpo ci porta in vita. Come in un soffio miracoloso: prima non c’era nulla ed ora ecco che appare qualcosa e/o qualcuno.

Ma, se ci pensate bene, la cosa è abbastanza inverosimile. Dal nulla non può nascere nulla. Più logico pensare che “prima” ci fosse qualcosa che assume una nuova forma, uno stato che assume un altro stato.

Poiché non ricordiamo nulla e nessuno ci ha chiesto niente, dobbiamo dedurre che lo stato precedente fosse privo di memoria e di coscienza.

Ciò che nasce è un pezzo di materia che prende vita da altri due pezzi di materia: gli elementi generativi del maschio e della femmina.

Ma ciò che veramente nasce non è solo un corpo, bensì una coscienza di esistere. Che si forma a poco a poco.

Quando nasciamo, siamo semplici pezzi di materia che si devono auto-organizzare per diventare consapevoli di esistere. E questo è un processo lento, che ripercorrere la nascita della coscienza sulla Terra. Mentre riconosciamo noi stessi, riconosciamo anche gli altri.

Quindi, la nascita della coscienza forma un mondo dualistico di enti che si contrappongono, a partire della contrapposizione fondamentale fra chi conosce e chi è conosciuto.

Come si vede, lo stato costitutivo della coscienza porta in sé una divisione e una differenziazione. E così nasce il mondo, con il suo spazio-tempo.

A questo punto, non possiamo più ricostruire quello che c’era prima. Sappiamo solo che era uno stato unitario senza spazio-tempo.

Questo è più verosimile di un atto di creazione dal nulla, che non ha nessun riscontro nella nostra esperienza. Prima non c’era “nulla di questo corpo-coscienza” e poi eccolo lì. Per volontà di qualcuno (Dio?) o per differenziazione spontanea?

Il primo è un concetto mitologico, il secondo è logico.

Il fatto è che l’universo funziona da solo e non c’è bisogno, per spiegarne l’origine, di nessun apporto esterno: il deus ex machina appunto.

È come il pulsare di una stella. Non c’è un Dio che l’accende e la spegne.

Allora, a chi è successa la nascita?

Non è successa a nessuno, nel senso che la nascita è un semplice concetto di una realtà che non ha le caratteristiche del nascere e del finire, ma c’è sempre. In altri termini, la nascita (come la morte) è un semplice concetto che appartiene alla nostra mente, ma non esiste in sé: è una falsità o un’illusione.

E' tutta apparenza (l'apparire, appunto), una commedia, un gioco delle parti.

martedì 6 giugno 2023

Il sogno della vita

 

È più il tempo che passiamo da “morti” di quello che passiamo da vivi. Ma non ce ne preoccupiamo: la nostra attenzione e la nostra coscienza sono tutte concentrate sul breve lasso di tempo di questa vita. Strana alienazione. È come se uno si occupasse tanto di dieci euro che ha in tasca e si dimenticasse i dieci milioni che ha in banca. Voi direste che soffre di qualche malattia della memoria.

In effetti, è proprio così. Soffriamo di una malattia della memoria, ci siamo dimenticati della nostra vera vita. Eppure lo sappiamo che questo stato è transitorio; cioè, dura poco e poi sparisce.  

Ora, se un’esperienza è transitoria, non può essere qualcosa di definitivo. È come se abitassimo tutti in una casa che deve essere demolita e non pensassimo alla casa definitiva che ci attende.

Ricordarsi queste cose dovrebbe essere il compito della meditazione. Ma chi medita correttamente? Tutt’al più ci si limita a pregare qualche divinità e a immaginare un aldilà fanciullesco dove continueremo a vivere più o meno come prima, con le nostre vecchie identità.

Eppure siamo consapevoli che non solo il corpo, ma anche la mente, la coscienza e l’attuale io scompariranno. Non per gioco, ma per sempre.

Quelli che dicono che morire è come cambiare vestito (Bhagavad Gita) o che recupereremo, alla fine dei tempi, il nostro corpo (cristiani) non tengono conto della definitività della morte.

Domandiamoci allora che cosa resterà.

Resterà ciò da cui siamo usciti per un breve momento: questa è la verità-realtà. Lo stato precedente alla vita, che è molto più lungo della breve esistenza. Qualcuno dice che è eterno.

Comunque sia, è questo lo stato in cui ci ritroveremo, non un facsimile della Terra.

Quando una cosa è reale? Quando non svanisce come un sogno.

Ma è proprio questa la caratteristica della vita: appare come un sogno e svanisce come un sogno. Dunque, non è lei la realtà.

Il fatto poi che dobbiamo lottare e faticare per ottenere qualsiasi cosa e quindi essere sempre stressati, vuol dire che il sogno non è dei migliori. È più spesso un incubo che un sogno meraviglioso.

Ma si può cambiare un sogno? In effetti, talvolta, può capitare di rendersi conto che si sta sognando e allora ci si può divertire indirizzando il sogno. Ma capita di rado. Il più delle volte, il sogno ci sembra terribilmente serio, per non dire tragico.

In ogni caso, è tutta una questione di consapevolezza.

 

domenica 4 giugno 2023

Il Verbo

 

Nel Texas, Stato ultraconservatore, il governatore ha deciso di insegnare nelle scuole pubbliche la Bibbia e i dieci comandamenti (ma non di controllare le armi). In un distretto dello Utah, Stato mormone, è stata vietata la Bibbia perché “pornografica, violenta e volgare”. In California, si è scatenata una rissa fra genitori per un libro Lgbt+. E via così la guerra sui libri, più o meno “sacri”.

Resta il fatto che  nella Bibbia c’è di tutto: si parla di scambisti e di mamme bambine (Sara e Agar, Lea e Rachele e le loro rispettive schiave ecc.). Si racconta di persone che vanno a letto con il padre, la madre, la sorella e altri parenti. Numerose sono le descrizioni di rapporti incestuosi che coinvolgono patriarchi e matriarche: Abramo e la sorellastra Sara, Isacco e la cugina Rebecca, Giacobbe e le due sorelle Lia e Rachele, Ruben e la concubina del padre Bila, Amnon e la sorellastra Tamar (vittima di stupro), Lot con le due figlie (Gen 19,30-38), eccetera eccetera.

Come si vede, qualcuno, molto ignorante, vorrebbe ancora considerare “sacri” certi libri, come se Dio scrivesse o ispirasse opere scritte. E lasciamo stare quelle delle altre religioni.

Un vangelo afferma addirittura che “in principio era il Verbo”.

Per carità, all’inizio non c’era nessun Verbo!

Quando nacque il Verbo, nacque il mondo - con i suoi orrori.

Il peccato originale (di Dio)

 

È così stressante stare al mondo ed essere coscienti che, ogni giorno, è necessario mettere a tacere la coscienza scivolando nell’unico sonno ristoratore: il sonno profondo senza sogni. Senza questo sonno, moriremo presto.

E, in effetti, moriamo  per stress, che assume varie forme di malattie.

Rientriamo nello stato da cui eravamo usciti il giorno della nostra nascita, senza l’inutile dualismo di questo tipo di coscienza.

È vero che, con l’apparire della coscienza, lo stato originale (Dio) diventa consapevole di esistere. Ma, così facendo, crea il mondo dei contrasti. E se ne ritrae subito, riconoscendo che è un errore.

 

sabato 3 giugno 2023

Le colpe dei genitori

 

Ho letto che una TikToker, Kass Theaz, ha citato in tribunale i genitori perché l’hanno fatta nascere senza il suo consenso, senza averla prima interpellata in qualche modo, magari attraverso una medium! La notizia è scherzosa, ma si presta a riflessioni profonde. Ciò che ha fatto Kass Theaz dovremmo farlo tutti. Quando i miei genitori mi rimproveravano per qualcosa, io rispondevo: "Colpa vostra, che mi avete fatto nascere! Io non ve l’ho mai chiesto!”

Ed è proprio così. Nessuno ci ha mai interpellato. Ci hanno fatto venire al mondo senza chiederci nulla. Io, per esempio, avrei risposto di no. Consapevole che vivere è soffrire, avrei detto: “Grazie, ma preferisco di no.”

Sono i nostri genitori che ci fanno nascere, per il loro piacere, non per il nostro. Siccome fare figli è un godimento, i due si sono congiunti e, chissà quanto consapevolmente, ci hanno concepiti.

Per la loro libidine, ci hanno messi al mondo. Dovremmo essere loro grati? Nient’affatto! Hanno commesso un misfatto.

Io, per esempio, sapendo quanto l’esistenza sia dolorosa, sono stato ben attento a non mettere al mondo figli. Credo di essere un benemerito.

Poiché, per concepire un figlio bisogna essere in due, la vita che nascerà sarà sempre duale, tormentata dal desiderio e dalla divisione, esteriore ed interiore. Ed ecco il mondo, sempre spaccato in due, sempre in contrasto, sempre in guerra, sempre violento.

Nascere è una violenza e morire è un’altra violenza… più tutto il resto. Sempre alla ricerca della felicità perché siamo infelici. È una malattia, una condanna.

Sì, la vita è una condanna a morte!

Per fortuna, noi possiamo essere consapevoli di tutto questo, perché siamo dotati di coscienza (non in tutti allo stesso livello). Ma anche la coscienza è tormentata dal dualismo. Per essere coscienti, per conoscere, ci deve essere una certa distanza fra conoscente e conosciuto. E questa è una malattia mortale, l’origine di ogni sofferenza.

Comunque, possiamo liberarci da questo stato di schiavitù, prima essendone coscienti e secondo aspettando che la morte ci riporti al nostro stato originario, quello pre-vita, beatamente oltre la piccola coscienza e inconsapevole di piacere e dolore.

Come quando siamo immersi in un sonno profondo.

venerdì 2 giugno 2023

Dobbiamo illuminarci, non pregare e umiliarci

 

Se dovessimo illuminare una stanza, accenderemmo la luce, non ci metteremmo a pregare in ginocchio perché un dio faccia il miracolo.

Il nostro scopo nella vita è illuminarci, non pregare qualcuno.

Abbiamo inventato paradisi e reincarnazioni pur di continuare a vivere dopo la morte. Siamo disposti anche a finire all’inferno piuttosto che finire nel nulla. A tutto siamo disposti pur di continuare a vivere, anche a rinunciare alla nostra dignità e pregare un potente, il presunto onnipotente, perché ci conceda l’immortalità. Ma nessun potente ha in mano l’immortalità. Chi ha detto che gli dei sono immortali? Anche loro muoiono.

Dobbiamo pensare, invece, che rinunciare all’io è un allargarsi, non un finire.

Ma noi abbiamo paura: siamo come l’uomo ricco che ha paura di perdere dieci centesimi.

La nostra natura è vasta e illimitata, non è la piccola coscienza che abbiamo ora!

Siamo noi che, nascendo, ci autolimitiamo introducendo spazio, tempo, io e coscienza… tutti pervasi da “timore e tremore”:

L'illusione primaria

 

A volte posso sembrare pessimista perché dico che la nascita della vita è un errore cosmico che è  meglio interrompere. Ma so benissimo che parlo al vento. Gli uomini amano la vita e intendono godersela, costi quel che costi.

Questa è proprio l’illusione primaria. Credere che la vita ci possa risparmiare dolori o darcene il meno possibile; e amare qualcosa sperando che ci ricambi. In realtà la vita ci vuole solo come riproduttori e poi non sa che farsene di noi. È come una donna che vuole avere un figlio e poi non ne vuole più sapere. O come certi ragni, la cui femmina uccide e divora i compagni dopo aver fatto sesso riproduttivo.

L’amore per la vita si beve con il latte materno e si mescola indelebilmente con la consapevolezza di vivere. Gli uomini sono degli illusi incorreggibili, credendo in un Dio solo buono, di essere protetti dai mali peggiori e nella possibilità di un paradiso, di conservare la propria identità attuale, magari di rivivere e di recuperare il loro corpo (come promette il cristianesimo, che, come tutte le religioni, è maestro di inganni).

La televisione e i mass media, servi sempre di qualche potere, fanno a gara per far pubblicità alla vita. Infatti, per venderci certi prodotti, devono venderci la vita come una cosa meravigliosa. Vediamo continuamente immagini di gente felice, di personaggi famosi, potenti e ricchi, “i divi”… Ma, appunto, sono immagini. In realtà anche loro devono soffrire, se non altro perché invecchieranno, si ammaleranno e moriranno.

Non c’è scampo sulla Terra. Si potrà essere più o meno infelici, ma, alla fine, tutti dovranno bere il calice amaro.

La vita è quella cosa che finisce male, per tutti.

giovedì 1 giugno 2023

Tu sei Quello

 

Quando i saggi ci dicono che la nostra vera natura non è quella del corpo, ci sentiamo spiazzati. Perché ci siamo sempre identificati con il corpo che abbiamo, bello o brutto, alto o basso, magro o grasso, sano o malato..,

A dir la verità, già sappiamo che la nostra vera natura dovrebbe essere cercata più nel carattere o nella coscienza, ossia in qualcosa di immateriale, più che nel semplice corpo.

L’anima e il corpo non sempre coincidono: può darsi che, in corpo sgraziato, ci sia un’anima sopraffina, o viceversa.

Certe qualità come l’essere generoso o avaro, meschino o altruista, introverso o estroverso, intelligente o ottuso, profondo o superficiale… non hanno niente a che fare con la forma corporea. Hanno più a che fare con il carattere o con l’anima di ciascuno.

Ma anche l’anima può cambiare, quasi quanto il corpo. Non è qualcosa di completamente immobile o stabile. Insomma, quale anima, di quale età? Forgiata da quali esperienze?

Dovremmo trovare l’essenza dell’anima, quella che ci contraddistingue veramente, al variare di tutti gli altri fattori. Che non dovrebbe coincidere neppure con la coscienza, perché anche la coscienza può mancare, mentre la nostra vera natura non può non essere.

Quando per esempio eravamo nel ventre di nostra madre, per mesi dopo essere nati, quando dormiamo o siamo sotto anestesia, la coscienza scompare. Eppure noi rimaniamo vivi.

C’è dunque qualcosa, al di là del corpo, dell’io, della coscienza e della mente, che sopravvive alla scomparsa di tutto, anche alla morte. Anzi, è precedente a tutte queste entità.

È ciò che è diventato cosciente, ma prima non lo era, perché è al di là dell’essere o del non essere. È qualcosa che passa indifferentemente dalla coscienza all’incoscienza e dall’incoscienza alla coscienza, rimanendo se stesso. Non gli do un nome perché sarebbero tutti insufficienti. Chiamiamolo “Quello” come nelle Upanishad. Le quali affermano: “Tu sei Quello”.

Quello è la nostra vera identità. Senza nascita e senza morte.