lunedì 30 settembre 2019

Il gioco cosmico


Nessuno vuol rimanere a lungo nel vuoto, nel nulla e nel riposo. Prima o poi nasce il desiderio di essere qualcosa e quindi di divenire. Questa è la spinta alla vita. Ma, una volta provato il divenire con i suoi interminabili conflitti, nasce il desiderio di ritornare alla pace del vuoto. Questa è la spinta alla morte.
In altri termini, quando c’è la pace, vogliamo la novità, il cambiamento e il divenire. Ma, quando c’è troppo movimento, troppo cambiamento e troppo divenire, aneliamo al riposo e all’immobilità.
Questo sembra essere il meccanismo della vita e della morte. Andare e tornare. Andare e tornare… Ma tutto questo andirivieni sembra alla lunga futile, un gioco ripetitivo, come un ping pong.
Quando ci rendiamo conto che le possibilità sono sempre due e che in realtà non facciamo che andare avanti e indietro da uno stato all’altro, incominciamo a percepire una certa noia e a intravedere finalmente una terza possibilità: quella di porsi al di là del vivere per morire e del morire per vivere. Fine dei giochi.

domenica 29 settembre 2019

Allargare la mente


Diciamo "una persona di cuore" per indicare qualcuno che è buono e generoso. Ma non è il cuore che comanda i sentimenti, tant'è vero che il cuore può essere sostituito senza che cambi la qualità dei sentimenti. Dunque, dovremmo dire, anche in questo caso, "una persona di testa".
       I sentimenti sono semplicemente prodotti da una parte diversa del cervello. Ciò che conta è la mente, ossia la parte immateriale del cervello, che governa sia la razionalità sia i sentimenti. È la mente che bisogna addestrare.
       A un individuo con la mente torpida o chiusa, a un individuo inconsapevole non si possono neppure applicare le categorie di buono o di cattivo. È come un animale o una macchina. Ma soprattutto non è in grado avere una visione diversa della vita da quella che gli viene servita dalla cultura circostante, dall’ambiente o dalla religione. Scriveva a questo proposito Albert Einstein:

Un essere umano è parte di un tutto che chiamiamo universo, una parte limitata nel tempo e nello spazio.
Sperimenta se stesso, i pensieri e le sensazioni come qualcosa di separato dal resto, in quella che è una specie di illusione ottica della coscienza.
Questa illusione è una sorte di prigione che ci limita ai nostri desideri personali e all'affetto per le poche persone che ci sono più vicine.
Il nostro compito è quello di liberarci da questa prigione, allargando in centri concentrici la nostra compassione per abbracciare tutte le creature viventi e tutta la natura nella sua bellezza”.                                                       


sabato 28 settembre 2019

Il Padrone divino


Quanto è difficile togliere dalla testa dell'uomo la convinzione che il Divino sia un Padre-Padrone nei confronti del quale dobbiamo solo inchinarci, un Padrone da implorare, da pregare, da blandire, da venerare, un Padrone che può fare tutto e a cui tutto è permesso. La perfetta rappresentazione dei nostri potenti, qui sulla Terra.
       Ma il Divino non è un Essere distaccato che un bel giorno si è svegliato e ha deciso, per bontà, di creare il mondo. Il Divino è esattamente il Tutto, e nel Tutto ci siamo anche noi. E c'è il bene e c'è il male - tutto contemporaneamente.
Quindi non chiedere al Divino di intervenire a tuo favore, ma chiedi a te stesso come puoi intervenire a favore del Divino, cioè di te stesso. Se sei te stesso, sei il Divino. Se cambi te stesso, cambi il Divino. Non è una responsabilità da poco.
       Ma salva la tua dignità. Non ti prostrare davanti a qualche presunta rappresentazione del Divino. Non serve a niente ed è idolatria. Tu sei il Divino che sta emergendo e si sta rafforzando.
       Noi cerchiamo lontano, presso Iddii o mondi immaginari, ciò che invece si trova in noi, nella nostra interiorità. Tutti i problemi dell’uomo, tutta la sofferenza umana, nasce da questo equivoco, ovvero da questa ignoranza, da questa alienazione.
Diamo importanza alle cose esterne, attribuendo loro un valore che non avrebbero. Percorriamo il mondo in lungo e in largo, ignorando che il vero tesoro è dentro di noi. E così ci consegniamo ad autorità terrene, che faranno il loro interesse, ma non il nostro.


Gli ominicchi della politica italiana


Certo la Chiesa cattolica ha ottenuto un successo eccezionale: non c’è italiano che sappia ragionare con la propria testa sui problemi religiosi ed etici. Pensiamo a Giuseppe Conte che ripete a pappagallo le formulette del catechismo: “Ritengo che ci sia un diritto alla vita, ma non un diritto alla morte?” E perché mai? Ci ha mai pensato un momento?
Non un dubbio, non una riflessione personale.
E pensiamo a Matteo Salvini che cerca voti mostrando crocifissi, baciando rosari e affidandosi alla Madonna. Un altro si vergognerebbe. Ma lui conosce bene i suoi polli. E forse ci crede pure! Crede che basti baciare un rosario per saper governare! Intanto ha sbagliato l'ultima mossa o la Madonna non lo ha ispirato bene.
Questi sono i nostri politici: ominicchi che non sono capaci di ragionare con la propria testa. Come volete che possano rinnovare l’Italia? Sono uomini vecchi, con idee vecchie. E hanno venduto il cervello alla Chiesa cattolica, che se ne serve per rafforzare il proprio potere sulle coscienze.

venerdì 27 settembre 2019

Il gran sollievo


Noi abbiamo paura della morte perché la riteniamo la fine della persona o una specie di rendiconto finale con punizioni e premi. E invece dovremmo aver paura della vita, dato che il corpo e la mente sono il vero peso. E, nel momento in cui ce ne libereremo, ci sentiremo enormemente sollevati. Un sollievo che corrisponde alla liberazione.
Abbiamo paura che non rimanga nulla della persona, della nostra identità terrena, come se proprio quella non fosse il peso!
Sarà come lavare una stoffa con colori e disegni che svaniscono nel nulla. Alla fine rimarrà la stoffa completamente bianca: la pura consapevolezza.
Le cose temporanee e contingenti spariscono. Ma restano le cose fondamentali.

Prigioni dell'anima


È stata messa in commercio la bambola gender free, né maschio né femmina, libera cioè dagli stereotipi della sessualità. Buona idea. Perché è certo che il maschile e il femminile sono gabbie che imponiamo ai bambini, fino a costruire caricature del macho prepotente e brutale e della femminuccia tutta smorfie e sottomissione,
Lasciamo i bambini liberi di scegliere non solo la loro sessualità ma anche il modo in cui esercitarla.
Vedrete la guerra che scateneranno i “fascisti dell’anima” (in primo luogo i preti) che vogliono imporre le loro prigioni psicologiche e ideologiche. La stessa guerra che viene ora scatenata contro l’eutanasia.
I fascisti dell’anima vogliono obbligarci a vivere e a morire secondo le loro idee, senza tener conto di quelle degli altri.

giovedì 26 settembre 2019

I padroni della vita e della morte


Finalmente una decisione della Consulta su chi aiuta le persone gravemente malate a morire. Finalmente una decisione positiva sulla fine delle persecuzioni giudiziarie di chi, come Marco Cappato, ha accompagnato qualcuno alla morte. Ma quanta viltà nei nostri parlamentari, quanto sadismo nei nostri preti e quanta volontà di potere nello Stato e nella Chiesa, che vogliono essere loro a decidere se uno deve vivere o morire!
       L’ipocrisia di fondo è che si pretende che sia Dio a decidere che cosa fare. Ma siccome Dio, essendo una creazione della fantasia umana, non si pronuncia, sono sempre gli uomini che devono prendere le decisioni. Ed è la libertà di decidere di sé che uno Stato e una Chiesa, ugualmente autoritari, vorrebbero negare. E' una questione di potere.
       Come se della mia vita il padrone fosse qualcun altro. Il che sarebbe la mia massima soggezione ai potere statali ed ecclesiastici.
       Lottiamo per la libertà. E lasciamo Dio nel mondo dei sogni dei prepotenti.

Trovare l'identità più profonda


Noi andiamo alla ricerca della nostra identità più profonda, sapendo bene che non ci è chiaro chi siamo veramente. Chi sono io? Uno, nessuno, centomila… So dove sono nato, chi sono i miei genitori o fratelli, che cosa ho studiato, che cosa c’è scritto sulla mia carta d’identità, qual è il mio corpo… ma tutto questo non mi definisce con sicurezza, non mi dice che cosa farò, quali comportamenti avrò e quale sarà il mio destino. Chi sono veramente non lo so. Sono sconosciuto a me stesso.
Mi sono identificato con un certo io, dotato di un certo corpo e di una certa mente. Quello sono io, d’accordo. Ma spesso mi sento estraneo a me stesso.
Il corpo può piacermi o non piacermi. Ma è così anche per la mia psicologia, per i miei sentimenti e per i miei pensieri. Alcuni non mi piacciono, li sento estranei o addirittura nemici. Dove sta allora la mia autentica identità? C’è in me una gran confusione, un dissidio continuo e non so chi sono. Non sono in pace. Cerco qualcosa che mi sfugge.
Proviamo allora a compiere il cammino inverso alla nostra identificazione con una certa persona che definiamo “io”. Forse ciò con cui mi sono identificato non è vero o non del tutto vero. Sono cosciente infatti di tutte queste caratteristiche, positive o negative che siano, e quindi ci deve essere un centro più profondo, un Testimone, che, essendo consapevole di tutto ciò, è una mia identità ancora più profonda e per ora inafferrabile.
Incominciamo a trovare che cosa non sono. Non sono il mio corpo, perché, se cambiasse un pezzo alla volta (e in effetti cambia un po’ per volta, giorno dopo giorno), io continuerei a riconoscermi. Ma non sono neppure i miei sentimenti e i miei pensieri, che sono i più diversi, i più inconsistenti e i più variabili.
Che cosa c’è allora in tutti questi processi che si mantenga immutabile e uguale a se stesso? È la consapevolezza che io ho di ciò che sono e non sono. Gli oggetti variano, ma la consapevolezza rimane lì come un perno fisso.
E tuttavia non posso definire questo perno fisso. So che c’è, ma non so chi è.
In questo campo ciò che conta non sono i pensieri, ma l’esperienza. Posso avere esperienza di questa mia consapevolezza, che permane anche quando dormo o tra un pensiero e l’altro. E l’esperienza è l’unica cosa che conti, l’unica prova della sua esistenza.
Devo dunque addestrarmi a dis-identificarmi dagli elementi mutevoli (corpo e mente) e a identificarmi con il Testimone ultimo. Devo chiedermi ad ogni momento: “Chi sono io?”, scartare tutto ciò con cui mi identifico di solito e trovare l’esperienza non di essere questo o quello, ma di essere. Io sono l’ “io sono”, anzi il “sono”, l’essere stesso.
       Questa è la mia identità ultima di cui possa fare esperienza. E se ne faccio esperienza, lo sono.

mercoledì 25 settembre 2019

Essere se stessi


Se sono così, dovevo essere così. Nulla di più, nulla di meno, nulla di diverso.
       Tutte le forze dell'Universo hanno congiurato per farmi essere così. E questo faccio, questo è il mio lavoro (e il mio scopo) di uomo.
       Anche la più (apparentemente) inutile esistenza è prodotta dall'energia divina. Questa è la nobiltà di ogni essere. Ricordiamocelo quando ci sembra di essere delle nullità.
       Non c'è bisogno di essere grandi uomini. Non c'è bisogno di essere Napoleone, Einstein o Obama. Nessuno ti chiederà perché non sei stato Gesù o Buddha. Ti chiederanno piuttosto perché non sei stato te stesso. Anzi, te lo chiederai tu stesso quando ti si allargherà la mente e potrai rivedere tutta la tua vita e capire tante cose che ora ti sono oscure.
       Ma, per capire, la tua mente dovrà subire una trasformazione e abbandonare il dualismo (bene contro male, ecc.) e perfino il principio di non-contraddizione.
La logica divina non è la nostra piccola logica.

Già la fisica quantistica ha dimostrato il principio secondo cui una stessa entità può ammettere due tipi di descrizione e appartenere a due diversi ordini di realtà.


Radici cristiane?


Radici cristiane? Sì, certo. Ci sono anche quelle nella nostra cultura.
       Ma soprattutto radici pagane. Ancora più antiche.
       Il cristianesimo si è innestato su queste antiche radici. E quindi ha dato vita all'ultimo atto del paganesimo.
       Ed eccoli lì, i nostri cattolici, che adorano in processioni santi, papi, statue, uomini in forma di dei e dei in forma di uomini. Paganesimo, appunto.
Tutto esteriorizzato, tutto rappresentato. Poca interiorità.
Per loro Dio sta in cielo, del tutto a parte. E siccome non è conoscibile, ecco arrivare un mediatore – Gesù, che è un uomo. E questo Messia è nato come nascevano tanti dei pagani, da un’unione carnale di Dio (Zeus!) con una donna mortale. Così credono di avere qualcuno da adorare materialmente e da implorare. E, se non funziona lui, ci sono sempre i santi o la Madonna.
L’importante è avere un idolo a cui chiedere aiuto, concretamente.
Nessun sospetto che il divino abiti nella (e sia la) nostra interiorità. Religione dell’alienazione.
      


martedì 24 settembre 2019

Risvegliarsi al reale... e all'irreale


Non ci si può illudere che il risveglio sia un attimo di illuminazione, un'esperienza estatica, in cui si capisce ogni cosa e si risolve ogni problema. Questa è una rappresentazione mitologica. "Illuminazione" significa veder chiaro, ma ogni illuminazione permette di vedere solo una parte della realtà… e dell’irrealtà. Nessuno vede tutto e capisce tutto. Bisogna applicarsi ad ogni campo nel vero… e nel falso; e forse non basta una vita a comprendere tante questioni.
       Alcune cose si possono capire subito, altre no. In realtà il risveglio è un processo che dura tutta la vita e che va ripetuto in vari momenti e in vari campi. È come un faro di luce che va puntato qua e là. Ecco perché ci sono illuminati che capiscono alcune cose, ma sbagliano in altre. I campi di applicazione della visione penetrante sono parecchi: non solo le leggi che regolano la realtà ultima, ma anche quelle (psicologiche) che regolano se stessi e i singoli individui; non solo le leggi che regolano il cosmo, ma anche quelle che regolano la società. E proprio quest'ultimo è un campo spesso trascurato.
       È vero che il mondo, oltre un certo limite, non è redimibile… ed è comunque irreale, una rappresentazione. Ma è comunque migliorabile. E spesso gli illuminati si tirano fuori dalla società umana, lasciando che tutto vada per il suo verso - sbagliato.
       Un campo che non andrebbe trascurato è quello della politica e dell'economia. Un illuminato che colga le leggi cosmiche, ma che non comprenda nulla di politica e di economia, è poco utile all'umanità.
       Sono possibili mille illuminazioni. Capire il carattere degli uomini, capire i meccanismi economici, capire le dinamiche e i comportamenti politici è importante come comprendere le leggi del cosmo. È penoso vedere mistici o santi che colgono qualcosa del divino, ma poi sostengono regimi infami o fanno finta di non vedere i soprusi dei potenti di questo mondo.
       Lo scopo dell'illuminazione è sempre quello di svegliarsi dal sonno della mente , ossia dall'ignoranza. E chi vede con più chiarezza ha il dovere di applicarsi ai problemi del mondo, anche a quelli più concreti, e lottare contro le ingiustizie e le prepotenze che accrescono le sofferenze umane oltre il dovuto.
       Risvegliarsi alla trascendenza, d'accordo; ma risvegliarsi anche al sociale. Se no, si è illuminati a metà.


lunedì 23 settembre 2019

Sacro e profano


Bodhidharma, considerato il fondatore dello zen (chan in cinese), fu un monaco che si recò verso il sesto secolo in Cina a diffondere questa particolare interpretazione del buddhismo. A quel tempo in Cina regnava l'imperatore Wu, che aveva favorito il buddhismo facendo costruire vari monasteri.
       Un giorno l'imperatore fece convocare il monaco e gli domandò: "Con tutto quello che ho fatto, quali meriti ho acquisito per la mia vita futura?"
       Bodhidharma rispose: "Assolutamente nessuno".
       L'imperatore ci rimase male e domandò : "Ma qual è il significato della santa verità?"
       "Vuoto sconfinato. Non c'è proprio nessuna santità."
       Wu si irritò. "E allora chi c'è qui davanti a me?"
       "Non lo so."
       Inutile dire che i due non s'intesero e che Bodhidharma alla fine si spostò altrove, nel monastero di Shaolin, nella Cina settentrionale. Il fatto è che l'imperatore, come tutti i ricchi benefattori, era convinto di ricevere qualcosa in cambio dei suoi finanziamenti. E Bodhidharma gli rispose che, con quella mentalità, con quella intenzione, non avrebbe acquisito mai nessun merito.
       L'imperatore aveva una serie di convinzioni e di aspettative, che poi sono quelle della gente comune, ancora oggi. Credeva di poter in qualche modo "comprarsi" un buon posto o qualche vantaggio nella vita futura. In effetti, in tutte le religioni, chi fa offerte crede di ricevere qualcosa in cambio - in un certo senso, lo pretende. Anche da noi è così. Chi fa offerte alla Chiesa o i ricchi finanziatori sono convinti, inconsapevolmente o consapevolmente, di ottenere dei benefici in cambio. Non è così che vanno le cose in questo mondo? Se vuoi qualcosa, devi dare a tua volta qualcosa. Tutto si compra e tutto si vende.
       Ma Bodhidharma gli ricordò che questa "logica" non funziona con la verità o realtà ultima. Lì non puoi comprare niente, lì non puoi contrattare, lì non puoi mercanteggiare. L'unico valore è ciò che tu hai capito e ciò che veramente sei. Lì si ferma il gioco tutto mondano del comprare e del vendere.
       Anzi, la verità ultima non ha niente a che fare con ciò che noi consideriamo "sacro". Lì niente è sacro, perché niente è profano. Le nostre distinzioni, il nostro dualismo mentale, cessa di colpo e si presenta un'altra dimensione. Che non è più quella economica.
Sì, perché la mentalità economica pervade tutto in questo mondo, anche la religione. Se fai offerte, otterrai questo. Se compi buone azioni, otterrai quest'altro... Dio ti premierà o ti punirà, a seconda di come avrai investito in questa vita. La gente crede che nell'aldilà ci sia una specie di conto profitti e perdite, con tanto di interessi. Dio, il supremo ragioniere, governa in base alla logica economica. Dio è una specie di banchiere in grande. Queste sono le nostre "pie" concezioni.
       Non è finita. L'imperatore si aspettava da Bodhidharma qualche rivelazione stupefacente, qualcosa di grandioso: fiori che piovessero dal cielo, angeli svolazzanti, suoni ultraterreni, comparsa di dei e di demoni... insomma qualche bel film della mente. Perché è questo che la gente si aspetta dall'aldilà o dall'illuminazione. Voleva qualcosa di bello, di meraviglioso. E quel monaco era distaccato e freddo, parlava poco, non gli dava nessuna soddisfazione. Addirittura sosteneva di non sapere neppure chi fosse. Ma come? E l'anima? E il paradiso? E Dio? E i testi sacri? E i rituali?
       Niente, Bodhidharma intendeva tagliar corto con la scolastica e con le cerimonie religiose, e non accettava nessun abbellimento, nessun sentimentalismo. La verità per lui era spoglia, nuda, vuota e "fredda". Lui puntava all'essenza del risveglio, all'essenza universale della coscienza, che non ha più niente di mentale, niente di spettacolare e niente di egoico.
       La verità non è un film hollywoodiano, non è uno starnazzare di galline, non è una messa cantata - ma una calma e limpida visione penetrante, dove scompaiono anche i confini dell'io… e si profila la vastità del Sé impersonale e libero.
       La verità va cercata oltre la logica della mente, con i suoi valori sempre rivolti al rafforzamento degli interessi personali.

Padroni del proprio destino


In tutta la sua vita e negli anni di prigionia, Nelson Mandela faceva riferimento ad una poesia del poeta inglese William Ernest Henley che s'intitola "Invictus", colui che resiste, colui che non si dà per vinto. Gli ultimi versi di questa poesia dicono:

It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.


“Per quanto stretto sia il passaggio,
Per quanto la vita sia piena di castighi,
Io sono il padrone del mio destino,
Io sono il capitano della mia anima.”

Questo è l'uomo che non si arrende mai, per quanto dure siano le sue condizioni. L'uomo che non è disposto a chinare la testa, a fare il servo... né degli uomini né degli dei.
Questo è anche lo spirito del testo buddhista Dhammapada, dove si dice:

"Ognuno è signore di se stesso,
quale altro signore potrebbe esistere?
Dopo aver dominato se stesso non è possibile trovare
un altro signore così difficile da dominare."

Ci sono spiritualità che esaltano l'autonomia e l'emancipazione dell'uomo, e ci sono religioni che invitano alla schiavitù e alla sottomissione. Anche dalla scelta della religione si capisce di che pasta sia fatta una persona.

Trascendenza e trasgressione


Trascendenza e trasgressione sono strettamente imparentate. Indicano entrambe uno spirito che vuole uscire dai limiti convenzionali.
       Non saranno mai i piccoli bigotti, i pretini obbedienti, i monaci sottomessi o i Papi dogmatici ad ottenere l'illuminazione... o il "regno dei cieli".
       I grandi mistici o i fondatori di religioni furono tutti dei trasgressori - se non altro delle tradizioni precedenti. Ecco perché accanto a Gesù, sulla croce, c'erano due malfattori. Quel giorno, tre trasgressori furono messi a morte - secondo l'opinione corrente.
       Conoscete un grande mistico che non sia entrato in rotta di collisione con la religione di provenienza? Gesù non fu un grande trasgressore di alcune leggi della sua religione?
       Mentre il religioso di professione o il fideista è pur sempre un conformista che non ha il coraggio e la capacità di guardare oltre i limiti di ciò che gli è stato insegnato, il mistico spezza (e disprezza) le catene della tradizione, non si accontenta di conoscenze o di fedi di seconda mano, vuole sperimentare in prima persona e parla per autorità propria.
       D'altronde “Dio” – per chi ci crede - dovrebbe essere il creativo per eccellenza, non un grigio burocrate dello spirito. Ha inventato, ha creato ciò che prima non c’era: non ha seguito una tradizione.
       Pecca fortiter!” diceva sant’Agostino. Se proprio devi infrangere le regole, fai una cosa grossa. Sarai più vicino alla trascendenza di tanti ipocriti conformisti.


domenica 22 settembre 2019

Il gran teatro della vita


Inutilmente cerchiamo di prevedere e di programmare la nostra esistenza. Possiamo anche perseguire un disegno o una meta e mettercela tutta. Ma poi dobbiamo fare i conti con potenze e influenze superiori alla nostra. Le nostre belle costruzioni possono essere distrutte in ogni momento. Un incidente, un incontro, un soprassalto della natura, una morte, una malattia… possono in un istante cambiare tutto. E i nostri bei progetti vanno a farsi benedire.
       Possiamo usare ogni precauzione, ma non possiamo annullare la naturale dialettica fra positivo e negativo, tra bene e male, tra vittoria e fallimento. Le proporzioni saranno diverse da individuo a individuo, ma tutti devono conoscere la sconfitta e le avversità.
       Questo teniamolo sempre a mente quando le cose ci vanno bene. Apprezziamo e fortifichiamoci. Durerà quel che durerà. Ma non ci stupiamo, non facciamoci abbattere quando le sventure si abbatteranno su di noi. Dovevamo aspettarcelo, sia che siamo grandi personaggi sia che siamo uomini comuni: tutti verremo colpiti.
Da giovani non ci pensiamo e crediamo che tutto andrà sempre bene, che non verremo mai colpiti dalle sventure che vediamo abbattersi su tanti. Crediamo di essere immuni, che tutto filerà sempre liscio, che la vita ci sorriderà sempre.
Ma non è così. Prima o poi una nuvola nera ci passerà sulla testa e ci oscurerà la luce. E solo se avremo coltivato dentro di noi una luce interiore, potremo resistere.
Il fatto è che non possiamo essere padroni di tutto ciò che accade e l’unica difesa è rimanere ben radicati nel nostro essere. Bene  male, piacere e dolore, fortuna e sfortuna si alternano di continuo. E noi possiamo solo stare saldi al nostro perno mentre tutto il resto ci cambia intorno e anche internamente.
L’unica strategia è osservare distaccati ciò che accade, non identificandoci con gli avvenimenti, i ruoli e neppure con il nostro ego. Ciò che ci accade è come una recita, mentre la vera realtà sta - oltre la coscienza e il teatrino dualistici – nel nostro Testimone impassibile che può riflettere tutto senza esserne influenzato.
Restiamo in pace nel nostro essere più profondo e saremo in pace con il mondo. Per essere liberi nel mondo, dobbiamo essere liberi dal mondo.

sabato 21 settembre 2019

La natura dell'illuminazione


Tutti sappiamo che l'illuminazione è una specie di folgorazione improvvisa che permette di uscire dalla rete delle parole e dei concetti per cogliere quale sia la vera natura delle cose. Poiché il processo concettuale della mente ha bisogno di contrapposizioni, di discriminazioni e di categorie, non è in grado di oltrepassare la dimensione dualistica della conoscenza abituale. Dunque, solo contando sulle proprie capacità intuitive si può arrivare a conoscere quale sia la realtà, al di là  dei concetti.
Nessuna tradizione può pensare di offrire una via sicura alla verità ultima. Ci si arriva non perché si è ligi a qualche religione o sottomessi a qualche regola, a qualche maestro o a qualche Dio, ma perché vi si giunge con un improvviso scatto di senso.
       Per giungere a risvegliarsi, bisogna di colpo cambiare prospettiva, uscire dal senso comune e dalla logica convenzionale. Però questo non significa che non sia necessario un lungo lavoro preparatorio.
       I metodi perciò sono i più vari, talvolta contraddittori. Ma possono essere tutti validi. In Giappone, per esempio, esiste una contrapposizione fra le due scuole maggiori dello zen, la Rinzai e la Soto. La prima sostiene che bisogna utilizzare particolari paradossi verbali e concettuali (i koan) che portino ad uno stallo insuperabile e insopportabile della mente razionale; coltiva quindi il dubbio, la domanda e la parola per poi superarli con un balzo. Dal lavorio della mente su questi problemi o enigmi può venire la folgorazione improvvisa che mette da parte il dualismo mentale e porta a intuire che cosa sia la realtà. La seconda scuola sostiene, invece, che è molto meglio sospendere ogni discorso intellettuale e mettersi seduti (in zazen) cercando di fare, a poco a poco, giorno dopo giorno, il vuoto mentale dei concetti. Quando la mente si libera di ogni pensiero ottiene la concentrazione "senza oggetto" che permette di cogliere l'unità intrinseca di ogni cosa.
       A noi occidentali, queste distinzioni non interessano. È evidente che le due scuole non sono contrapposte, ma solo due metodi che possono essere alternati.
       E perché non utilizzare anche la via del tantrismo, la quale considera che tutto è manifestazione di un'unica energia? Se questa energia, che è la stessa nel macrocosmo e nel microcosmo, viene opportunamente sollecitata e incanalata nell'essere umano, permette un superamento della limitata condizione umana. Il desiderio stesso, che alle tradizioni religiose convenzionali sembra essere l'origine di tutti i mali, è in realtà la pulsione dell'energia creativa che tutto pervade. Non va quindi represso, ma utilizzato al meglio, in modo da abbattere i confini umani... per giungere a illuminarsi.
       Esistono dunque varie strade e vari livelli e tipi di illuminazione. E non è detto che il risveglio sia solo quello metafisico-religioso. Anche nella vita di tutti i giorni ci si deve risvegliare dalle illusioni nostre e dalle truffe e dalle prepotenze perpetrate dagli altri e dalle sedicenti autorità di questo mondo. Non a caso, l'illuminazione si chiama anche "liberazione" - la liberazione dai vari condizionamenti mentali.
      


venerdì 20 settembre 2019

Il nucleo più profondo


Osservatevi in questo momento mentre leggete. La vostra mente è attiva e concentrata, e anche i vostri sensi sono attivi e ricettivi. Tutti sono rivolti verso l’esterno. Tutti rispondono a stimoli e a influenze esterne. E siete coscienti di esistere e di essere. In ogni momento potete dire: “Io sono qui, io sono questo…”
Ma ora vediamo di cambiare il fuoco dell’attenzione. Anziché percepire l’esterno, percepite l’intero meccanismo del percepire e del pensare. Osservate il vostro cervello mentre è attivo. Se lo fate, vi mettete nella posizione dell’osservatore. In tal senso avete compiuto un passo nel profondo: anziché percepire il mondo esterno e i vostri processi interni, osservate l’intera situazione.
Ma non è finita: potete compiere un ulteriore passo. Anziché osservare di fare questo o quello, e di essere questo o quello, potete smettere questi tipi di coscienza. Ora non siete più questo o quello… Siete e basta.
State facendo l’esperienza di essere. Essere e basta.
Non per questo sparite o smettete di funzionare. In realtà siete il testimone di voi stessi e poi del semplice essere.
Questo significa assumere la posizione del testimone. Come abbiamo detto, il testimone è come uno specchio che riflette ogni attività e ogni cambiamento. Vede ogni cosa, accoglie ogni cambiamento. Ma lui rimane immobile e immutabile. È il nucleo di ciò che siete.
Questo vostro nucleo è la vostra più profonda identità, è ciò che siete… al di là delle identità temporanee. Questo centro più profondo è il testimone di tutto, ma resta distaccato, intoccato. Per esempio, non soffre, se “voi” soffrite. È al di là del piacere e del dolore, del tempo e dello spazio e di ogni rivestimento contingente. Da lì il mondo appare completamente diverso, più gioioso, più luminoso, meno coinvolto in tante inutili attività.

Le varie identità che assumiamo abitualmente sono tutte contraddistinte da tensione, stress, sofferenza, perché vengono tenute in vita artificiosamente. Solo il nucleo più profondo sfugge alla costrizione, perché è libertà.

giovedì 19 settembre 2019

Lo sviluppo della consapevolezza


Non so se vi accorgete di quale forza abbia la spinta propulsiva dell’uomo, di quanto sia febbrile la sua attività. Tranne poche eccezioni, non riesce a stare fermo né fisicamente né mentalmente. Deve muoversi continuamente, deve pensare instancabilmente, è sempre affamato di nuove emozioni e sensazioni, deve implacabilmente conoscere, costruire e conquistare.
Tutto bene: si tratta della forza che lo ha reso vincente nel duro percorso dell’evoluzione, facendolo diventare il signore della Terra. Ma questa spinta non è più controllabile. E l’uomo si sta letteralmente divorando il pianeta. Non solo espande le sue mille attività che hanno sempre un costo energetico e una quota di inquinamento, ma non riesce neppure più a moderare la propria spinta riproduttiva.
Il risultato è che oggi la popolazione della Terra è di 7,5 miliardi e nel 2050 arriverà a 9,7 miliardi. È chiaro che il pianeta ha dei limiti e che è necessario ridurre la produzione e la riproduzione, fino a renderla stabile. E in certi paesi questo è già avvenuto. Ma la spinta a “moltiplicarsi e a crescere” è irrazionale e istintiva, e viene spesso accompagnata da esortazioni delle religioni.
I popoli più poveri sono anche quelli che non limitano le nascite. E sono i più ignoranti e i più sottomessi alle religioni.
La sfida quindi è sviluppare una nuova consapevolezza negli esseri umani, i quali devono diventare da sfruttatori a custodi della Terra. Ma come sviluppare la consapevolezza se non superando le vecchie religioni (che spingono solo alla fede acritica) e applicandola intenzionalmente nella vita di tutti i giorni?
Lo sviluppo della consapevolezza è il nostro compito, urgente.

mercoledì 18 settembre 2019

Assumere la posizione del Testimone


Nella nostra esistenza esiste una specie di Testimone simile ad uno specchio su cui si riflettono le immagini della vita. Ma mentre queste immagini, questi spezzoni di film variano di continuo, lo specchio rimane sempre se stesso, non modificato. Il nostro problema è che noi tendiamo a identificarci più con i film che con  questa profonda identità, con questo nucleo d’essere. E quindi ci sentiamo alienati e sempre alla ricerca di un’identità e di una realtà che ci sfuggono di continuo.
Assumere la posizione del Testimone significa guardare ogni cosa come una rappresentazione più o meno artificiale, mantenendo quindi un certo distacco. Dovremmo dirci: “Questa immagine, questa sequenza, questo schema di reazione, questo comportamento, questo pensiero, questo sentimento, questo piacere, questo dolore…” è qualcosa di inventato, di prodotto, poco reale, privo di identità. La prova è che cambia di continuo e può sparire del tutto. Mentre ciò che è reale, la vera identità, è lo specchio in sé, non ciò che vediamo riflesso sulla sua superficie.
In ogni momento della giornata potremmo e dovremmo assumere tale posizione, prendendo le distanze da ciò che sperimentiamo. Questo ci permetterebbe di compiere una distinzione fra ciò che è reale e ciò che è rappresentazione, immaginazione, finzione o spettacolo.
La presenza del Testimone traspare ogni tanto, e può essere dedotta, ma non può essere conosciuta – possiamo solo esserla. La conoscenza e la coscienza infatti sono sempre dualistiche: ci dev’essere un soggetto da una parte e un oggetto dall’altra, mentre il Testimone sta al di là di entrambi.
Quando dormiamo, la nostra coscienza non è attiva. Ma qualcosa ci permette di risvegliarci e di riprendere la precedente identità. C’è dunque qualcosa che controlla tutto e che conserva il ricordo. Inoltre la coscienza è discontinua ed esistono intervalli, quasi inavvertibili, tra un pensiero e l’altro, tra un sentimento e l’altro, tra una sensazione e l’altra, ecc. Ma non per questo ci smarriamo: c’è qualcosa mantiene unita la trama. Se potessimo introdurci in questi intervalli, scopriremmo la presenza del Testimone.
Ma dobbiamo ripetere che più che conoscere il Testimone, dobbiamo assumerlo, esserlo. Perché è esattamente ciò che siamo a livello più profondo e trascende ogni dualismo, tra quelli di essere-non essere e piacere-dolore.
Assumere la posizione del Testimone ci permette di disidentificarci dalle false identità, dai falsi io, sempre coinvolti in un mondo febbrile e sostanzialmente infelice, e puntare verso il vero Sé.



martedì 17 settembre 2019

Il "nobile" silenzio


Un giorno fu chiesto al Buddha: "Venerabile Gotama, esiste un'anima?"
       Il Buddha rimase in silenzio.
       "Allora, venerabile Gotama, non esiste un'anima?"
       Il Buddha rimase in silenzio.
       Essendo convinto che non esistesse un Sé eterno, il Buddha non rispose la prima volta; e questo ci pare logico. Ma perché non rispose la seconda volta?
       Il fatto è che le due domande erano concepite da qualcuno che, come tutti noi, ragionava in maniera condizionata, e pretendeva che le cose fossero in un modo o al contrario. Si chiama mente dualistica - una ragione che opera contrapponendo nettamente i concetti: bianco o nero, alto o basso, bene o male, essere, non-essere, vita e morte, sì o no, ecc. Ma la realtà ultima, quella cui accennava la domanda, non è qualcosa di cui possa darsi il contrario.
       Questo significa che la nostra mente non è in grado di concepire niente che non sia limitato dalle categorie antinomiche. Parlare di un'esistenza o non-esistenza di un'anima o di Dio significa porre la domanda in modo sbagliato. Quando parliamo di questi problemi, dovremmo dismettere la solita mente razionale, che divide tutto in due parti distinte e contrapposte.
       Ogni volta che facciamo un'affermazione in un senso, ecco che si affaccia il senso opposto. Non siamo capaci di vedere le due cose insieme. Ecco perché smettere di parlare sarebbe la soluzione migliore. Questo tipo di silenzio sarebbe comunque più vicino alla realtà di quanto non siano le risposte antinomiche.
       Ma allora dobbiamo smettere di porci il problema? No, dobbiamo smettere di darci le solite risposte. E lasciare uno spazio in cui si possa introdurre un po' di luce.
       I teologi non lo hanno mai capito e sono migliaia di anni che arzigogolano sugli attributi di Dio - la rana in fondo al pozzo che vorrebbe discutere del mare. Quando san Tommaso ebbe un’illuminazione verso la fine della sua vita, disse: “Tutto ciò che ho pensato non è che paglia!”
Nicolò Cusano, nel quindicesimo secolo, sosteneva che nell'Assoluto si verifica la coincidentia oppositorum, la coincidenza degli opposti. Di questa realtà non si può dire né che è né che non è. Dunque, meglio il nobile silenzio.
       Tra essere e non essere non esiste una netta contrapposizione, e l'una cosa può esistere insieme con l'altra. Si chiama complementarità. Riuscire a vederlo significa acquisire una visione trascendente.



lunedì 16 settembre 2019

Il superconscio



Il superconscio
Possiamo dire che trascorriamo buona parte della nostra vita dormendo. Questa frase può essere interpretata in due sensi: uno negativo e uno positivo. Dormiamo in modo negativo quando, nella vita quotidiana, non siamo consapevoli di ciò che facciamo o pensiamo. Ma dormiamo in modo positivo - e necessario - quando ci riposiamo, quando ci distendiamo, quando lasciamo andare lo stress dell'esistenza e quando, la notte, ci addormentiamo.
       Quando dormiamo di notte, entriamo in un altro mondo: un mondo in cui prevalgono le forze dell'inconscio, su cui non abbiamo nessun controllo. Se abbiamo la necessità di dormire tutti i giorni, vuol dire che la natura non è soltanto quella che conosciamo, ma qualcosa di ben più vasto e profondo, in cui si aprono passaggi sconosciuti e forze immense. Noi proveniamo da un mondo del genere e, alla fine della vita, ci ripiombiamo dentro.
       Questo mondo inconscio è ciò che dirige anche il mondo conscio, che se ne sia consapevoli o meno.
       Ecco perché consigliamo di familiarizzarsi con esso, adottando una forma di meditazione che segua il percorso del processo di addormentamento fino ad un certo punto: la distensione fisica, la diminuzione dei pensieri, il rallentamento del respiro, il calo della pressione (fisica e mentale), il distacco, ecc. Insomma predisporsi ad una specie di sonnellino.
       Questo metodo può essere utilizzato per far emergere materiali e messaggi dell'inconscio. Recenti ricerche di psicologia hanno dimostrato, per esempio, che il nostro inconscio ci dice chiaramente se il nostro rapporto di coppia finirà bene o male, se ci sono difficoltà. Si tratta di sensazioni "di pancia", di intuizioni, cui però non sempre prestiamo attenzione.
       Se invece ci allenassimo ad "ascoltare" simili messaggi, capiremmo tante più cose su noi stessi e sul nostro rapporto con gli altri. D'altronde, già nel buddhismo zen, ci si addestra a respirare e a concentrarsi sul "tandem", ossia sulla zona tra pancia e addome, su cui si scaricano tante tensioni, in cui esiste per così dire un "secondo cervello". Se solo prestassimo attenzione a queste sensazioni, a queste emozioni, riusciremmo a captare i messaggi provenienti non dalla mente razionale, ma da quella inconscia. Che - lo ripeto - è ciò da cui proveniamo e cui torneremo.
       L'inconscio è una funzione sempre attiva, non solo di notte ma anche quando siamo desti. E diminuendo le difese e le tensioni diurne, adottando le tecniche di meditazione già dette, rilassandosi, riposandosi e concentrandosi sulla zona del respiro e del "tandem", possiamo arrivare a percepirne i messaggi... con enormi benefici, psicofisici e spirituali.
       Non esiste soltanto un conscio, un subconscio e un inconscio, ma esiste anche un superconscio, uno stato di grande chiarezza e luminosità che si ottiene proprio attraverso la meditazione.


La meditazione può essere vista come un'evoluzione concentrata e rapida dell'essere, un'evoluzione che lasciata ai soli mezzi della natura richiederebbe tempi lunghissimi e parecchie vite. Ma non è possibile introdurre di colpo una coscienza nuova in una mente abituata a pensare e a sentire in un certo modo. Per un certo periodo bisogna dunque svolgere un'opera di "purificazione" dedicandosi allo smascheramento di tre generi di falsità: le falsità dei sensi (adorazione di immagini, dualismo della sensazioni, ecc.), le falsità del cuore (desideri inutili, passioni fasulle, ambivalenza dei sentimenti, ecc.) e le falsità del pensiero (affermazioni o negazioni perentorie, pregiudizi, dogmi, fedi infondate, concentrazioni su aspetti parziali del divino).
       Bisogna insomma sgombrare il campo dalla maggior parte dei condizionamenti sensuali, sentimentali e mentali per ottenere uno stato di chiara coscienza.


Il Tao e Dio


Il Tao nutre e sostiene tutti gli esseri, ma non si pone come loro Signore né tanto meno come loro Giudice.
       Che differenza rispetto alle religioni monoteistiche che concepiscono un Dio che è Padrone, Giudice e Signore!
       La personificazione di Dio ha ridotto la Forza originaria ad una caricatura dell' "uomo potente", che odia, ama, parteggia, interviene e fa una gran confusione nella sua stessa creazione.

La democrazia universale


Il “Signore”, il “Regno dei cieli”, il “Re dei re”… decisamente i Vangeli ci danno un’idea monarchica della realtà. Ma perché mai l’universo non potrebbe essere democratico – una realtà in cui ognuno porta il su mattoncino, e ne è responsabile per costruire il tutto.
Inutile dire che questa idea non piace ai dittatori e ai vari “signori” del mondo.

La funzione dell'uomo


Si può sostenere che in noi non ci sia niente di divino o di trascendente, e che siamo pezzi di materia che hanno sviluppato la capacità di pensare e di essere coscienti. E si può anche dire che non c’è né un’anima né uno spirito.
Ma dobbiamo ammettere che senza di noi l’universo non sarebbe cosciente di se stesso. E quindi svolgiamo una funzione fondamentale – in quanto esseri coscienti in cui l’universo rispecchia se stesso.
Attraverso di noi, il tutto sa di essere. E non è poco per definire l’essere umano.
Resta il problema che non tutti hanno sviluppato appieno questa consapevolezza universale e si limitano a utilizzare la coscienza per la pura sopravvivenza.

domenica 15 settembre 2019

Il problema dell'aldilà


Di solito il problema dell'aldilà viene posto in termini secchi: o si crede in qualche religione che ce lo promette o si pensa che tutto finisca con la morte. Il presupposto di queste posizioni estreme è ritenere che l'esistenza di un io, di una coscienza, di un'anima, sia il bene massimo - quello a cui tutti aspiriamo. Chi non vorrebbe continuare a vivere in un altro pianeta o in un'altra dimensione?
       C'è solo il buddhismo che mette in discussione questo assunto. La prima cosa che dice è che non esiste un'anima, un ego autonomo, a sé stante, perché tutti gli enti sono interdipendenti. Cioè, esistono non di per sé, ma come parti di un tutto. Non esiste un io permanente.
       Ma allora dopo la morte c'è il nulla? No, dice il Buddha, perché rimangono tendenze e predisposizioni karmiche che, affamate di vita come sono, finiscono per reincarnarsi. Insomma, anche se non c'è un ioé permanente, esiste qualcosa che si reincarna. Dunque, l’io non è eterno, ma permane a lungo, attraverso varie esistenze.
       Il problema per il Buddha è che questo io non eterno, ma a lungo permanente, è sostanziato di sofferenza. Che lui vorrebbe eliminare. Perché solo eliminando l’io, si elimina la sofferenza.
       Ma eliminare la sofferenza non significa buttar via il bambino con l'acqua sporca? Certo, se non c'è l’io, non ci sarà dolore. Ma a che serve, se finisce tutto? Non è meglio vivere con il dolore anziché non vivere affatto?
       Però, attenzione: il Buddha è contrario tanto al nichilismo quanto all'eternalismo, che vede come ideologia contrapposte ed altrettanto sbagliate. Perché il Nirvana, da lui cercato, non è certo il nulla: rimane qualcosa. Che cosa? Qualcosa che la nostra mente non può concepire, perché "non è né un venire, né un andare, né uno star fermi, né un recedere, né uno scendere, né un salire". E comunque è qualcosa di "non-nato, non-divenuto, non-creato, non composto". Che cosa è?
       Non si può dire, non si può pensare. Ma esiste.
       Dunque, chi dice che dopo la vita non c'è nulla o che la fine dell’io significa sparire nel nulla, o viceversa chi dice che tutto è eterno, si limitano a non capire il problema. E continuano ad applicare categorie mentali duali, contrapposte. Dovrebbero rendersi conto che è meglio lasciar perdere queste contrapposizioni di una logica che non è in grado di comprendere l'aldilà. Sbaglia tanto chi dice che la vita è eterna, quanto chi dice che dopo la morte non c'è nulla. Meglio sospendere i giudizi e riorientare il problema a livello mentale.
       La verità è che è sbagliata o insufficiente l'impostazione antinomica della domanda - e quindi le risposte sono sbagliate o insufficienti.
       L’Advaita Vedanta, a lungo contrapposto al buddhismo, sostiene che esiste qualcosa di eterno e di immortale, il Sé, che non coincide con l’io terreno, ma che è piuttosto qualcosa di universale. È un riunirsi con la consapevolezza cosmica. Il Dio che è in tutti, anche se sotto forme diverse.
Non sembra che le due posizioni siano tanto diverse. Ma come credere a queste affermazioni? Ritorniamo alla fede? La differenza è che l’Oriente dice che è possibile “capire” e sperimentare queste realtà già in questa vita, attraverso la meditazione.
Per l'Occidente, invece, è tutta una questione di fede e la meditazione non assume questa importanza decisiva. Tutto dipende da un Dio esterno e non c’è nessuna possibilità di fusione. L’Occidente è la terra della divisione inconciliabile.





sabato 14 settembre 2019

La ricerca del maestro


Inutilmente cerchiamo maestri che ci illuminino: non ci sono più persone tanto eccezionali. Esistono però i loro libri, i loro pensieri, che possono essere consultati per ispirazione. Anche se certe verità sono oltre le parole.
Più in generale, dobbiamo dire che nessuno può infonderci la luce. Al massimo i maestri possono indicarci la via, ma poi ognuno deve percorrerla da solo, perché ogni strada è personale. Il maestro zen Ikkyu Sojun (1394-1481) scriveva in una sua poesia:

"Dal principio del mondo
la verità non ha avuto maestri:
la si coglie da soli
per un guizzo spontaneo del cuore."  [traduzione di Ornella Civardi]

       Il Buddha stesso paragonava la sua dottrina ad una zattera che si utilizza quando si deve attraversare un fiume. Una volta giunti al di là, bisogna lasciarla perdere. In tal senso le tradizioni e i maestri, se rimaniamo ad attaccati ad essi, sono grandi trappole. Linji diceva: "Se incontri sulla tua strada il Buddha, uccidilo!" Anche Freud sarebbe stato d'accordo: per ottenere l'emancipazione, bisogna superare il legame di dipendenza dal padre.
       Oltretutto le strade non sono uguali per tutti. C’è posto per nuovi metodi. Ognuno deve cercare il suo. Finché cercheremo la verità altrove, non scopriremo mai che essa è in nostro potere.
       Chiunque vede la propria natura e la natura del mondo è un illuminato. Ma, per far questo, è necessario unire ad una grande ricettività una sana diffidenza per le fedi rivelate e per le tradizioni tramandate e piovute dall'alto.
       La capacità di vedere oltre gli ingannevoli aspetti fenomenici e le ideologie è sia una capacità intellettuale quanto una forza che nasce dall'introspezione, dall'intuizione e da una forte concentrazione sulla propria realtà interiore, al di là dei dualismi mentali e dei concetti pietrificati.
Il vero maestro è il nostro stesso Sé, di cui il mastro esteriore può solo essere un pallido riflesso. Dobbiamo dunque cercare la guida interiore, quella massima consapevolezza che si palesa quando si mette in sospensione la mente duale ed egocentrica e ci si concentra sul senso dell’essere, che non è personale ma universale.


venerdì 13 settembre 2019

La meditazione divina


Con il concetto di "meditazione" indichiamo un processo di sviluppo mentale che è in realtà lo sviluppo dell'essere umano, della sua esperienza e della sua consapevolezza. Tutto questo che può prendere l'intera vita di un individuo e innumerevoli vite umane. Insomma, l'evoluzione dell'uomo non è cosa da poco e non è racchiudibile in formule schematiche.
La meditazione vuol essere un sistema sintetico, abbreviato e concentrato di evoluzione. Risvegliarsi è uscire dal proprio bozzolo per diventare un'altra persona, talvolta un altro essere. Ecco perché non sempre è possibile giungere a risultati immediati e tangibili. La strada può essere lunga. Ma, una volta compiuto il primo passo, il seme è stato gettato; e prima o poi germoglierà. In questa vita o in altre.
       Comunque, sentire l'esigenza di meditare è già il primo segno del risveglio, perché è sentire la limitazione del proprio stato di partenza, è avvertire la necessità di procedere oltre.
       Parlo di uscire dal "bozzolo" perché mi riferisco al passaggio dalla pupa alla farfalla. La farfalla è l'evoluzione della pupa. Che cosa avrà provato al momento di trasformarsi? Che cosa avrà provato il primo pesce che ha sentito la necessità di uscire dall'acqua per trasformarsi in un anfibio? Che cosa prova ognuno di noi quando passa dall'infanzia all'adolescenza?
       Questo processo inarrestabile è il motore della vita, il "motore di Dio". In tal senso, il "conservatore" è colui che più di tutti si oppone al movimento di evoluzione. Se Dio fosse stato un conservatore, l'essere non si sarebbe mai messo in divenire.
       L’idea di evoluzione è intuitiva e antica, ed è legata a quella di trasmigrazione, di reincarnazione e di karma. Non solo è presente nelle solo filosofie orientali, ma anche in quelle occidentali:

"Un tempo io fui già fanciullo e fanciulla,
arbusto, uccello e muto pesce che salta fuori dal mare"
                      Empedocle

       Semmai, in Oriente, è nata anche l’idea di approntare un sistema di evoluzione sintetico. Non bisogna insomma limitarsi ad aspettare i tempi lunghi dell’evoluzione naturale, ma è possibile impegnarsi fin da ora ad abbreviarli in ciò che noi chiamiamo meditazione.




giovedì 12 settembre 2019

Scalare la montagna


Non dobbiamo seguire una strada già tracciata da altri. Dobbiamo cercarne una nostra.
       Al massimo possiamo utilizzare qualche chiodo, già lasciato dai precedenti scalatori, e a nostra volta possiamo aggiungerne di nuovi. Ma, alla fin fine, ognuno deve scalarsi la montagna da solo - e rischiare.

Paure immaginarie


Quando ci risveglieremo, sapremo che tutte le cose che ci terrorizzavano sono fondamentalmente vuote, immagini della nostra mente o semplici riflessi. Ricordiamoci l'aneddoto indiano dell'uomo cui parve di vedere, tra le ombre della sua camera, un serpente. Rimase tutta la notte sveglio, in preda al terrore. Poi, la mattina, alle prime luci dell'alba, si accorse che si trattava di una corda.
       In Cina si racconta la storia dell'uomo che si recò a cena da un uomo potente. Al momento del brindisi gli parve di vedere nella sua coppa un serpente velenoso. Non avendo il coraggio di non brindare, bevve il vino. Poi tornò a casa e si sentì male: gli sembrò di essere stato avvelenato. Si sentiva ormai in fin di vita quando venne a fargli visita l'uomo potente che, saputo dell'accaduto, gli disse: "Ti sei sbagliato: non era un serpente, ma il riflesso di un arco appeso alla parete".
       Il poveretto guarì all'istante.
       Il problema è che noi abbiamo una visione distorta della realtà. Crediamo a cose che non esistono, cose che ci vengono semplicemente riferite o raccontate, immagini, leggende, miti, credenze varie… Niente di reale, niente di verificato personalmente.
Ora il risveglio consiste proprio in questo: nello scoprire che il mondo è una nostra rappresentazione e nella volontà di vederci chiaro (non a caso si chiama anche “illuminazione”).
Poniamoci le domande: “Ma questo è vero o no?... questo è reale o no?... che cosa posso verificare?... e l’idea che ho di me stesso e del mondo è reale o no?”
Ed ecco il vero senso della religione: non adorare qualche Dio mitologico, ma scoprire il senso della realtà.
E il senso della realtà dobbiamo scoprircelo da soli, non è ciò che ci viene tramandato.
       Anzi, le religioni e le filosofie che si mettono in mezzo e che pretendono di servircene uno già confezionato, ci impediscono la nostra ricerca personale.
       Si parte dunque dal senso d’irrealtà o di sofferenza ineliminabile che prima o poi ci colpisce. Quello è il segnale che vogliamo incominciare a vedere con i nostri occhi, non con gli occhi della tradizione.
       Il mondo che ci viene presentato da genitori, insegnanti, preti, politici, pubblicitari, ecc., è ampiamente interpretato e falsificato. Perfino l’immagine che abbiamo di noi stessi non è quella reale.
Il nostro compito è diffidare delle interpretazioni altrui, più o meno interessate, e guardare con i nostri occhi.
Scopriremo che non solo le paure ma anche i nostri fini sono in gran parte condizionati e non veri.

mercoledì 11 settembre 2019

Allargare la visione


La gente deve muoversi, va avanti e indietro, si sposta da un luogo all'altro: è un bisogno fisico che dà l'illusione di cambiare. È vero che, spostandosi e cambiando ambiente, può cambiare anche il nostro stato d’animo. Ma si rimane sempre nell’ambito di emozioni precostituite, convenzionali.
       Quando si tratta di spiritualità o di religione, che senso ha recarsi in "luoghi santi", fare un pellegrinaggio verso questa o quella chiesa, verso questo o quel convento, percorrere questo o quel cammino? Si cercano soltanto emozioni e si rimane sempre alla superficie delle cose.
       In questo campo, l'unico valido pellegrinaggio è quello verso la propria “caverna del cuore”.
       Gesù a un certo punto, indicando il magnifico Tempio di Gerusalemme, dice: "Verrà un tempo in cui di tutto questo non rimarrà nemmeno una pietra!"
       Allora dobbiamo dire la stessa cosa di tutte le chiese, di tutti i luoghi ritenuti sacri, per esempio della basilica di san Pietro. Verrà un tempo...
       Siamo pronti ad accettare questa verità e a non cercare il sacro in edifici costruiti dagli uomini, ma nell'unico vero tempio - la nostra interiorità?
Più che chiese, oggetti o ambienti fisici, ci vorrebbero esercizi di consapevolezza.
Mettetevi davanti ad una finestra e osservate come lo spazio che vedete sia inquadrato e limitato da una cornice. Al di là non potete vedere nulla. Ma lo stesso avviene con i nostri occhi: il nostro campo visivo è circoscritto e moltissime cose restano fuori.
Non basta neppure spostarsi alla nostra vista interiore, perché anch’essa è limitata. Possiamo vedere solo ciò per cui la nostra mente è stata costruita. È come utilizzare un binocolo: potete vedere solo ciò che le sue lenti vi permettono di vedere. Che si tratti di lenti materiali o di lenti mentali, non cambia nulla. Anche la nostra mente è stata fatta per “vedere” solo determinate cose.
Per andare al di là, occorre un ulteriore passo in avanti: guardare la mente come la produttrice del mondo in cui viviamo, come una cornice, una lente o una finestra. Ciò che sta oltre non lo vediamo.
Dobbiamo allora allargare la mente, rinunciando alle sue categorie condizionanti. Le grandi scoperte degli uomini sono state fatte in base a questo superamento. Qualcuno ha guardato oltre il noto e il consueto. Ha cercato ai margini della conoscenza precostituita.
Ma, prima di farlo, è stato necessario capire che ciò che vedevamo era convenzionale, una convenzione accettata da tutti. Ma che c’era ben altro da vedere.
Ancora oggi è così. È necessario allenarsi ad allargare la visione. Questa è la meditazione.