sabato 27 novembre 2010

Dubbi e certezze

In meditazione, a differenza che nelle religioni, il dubbio è fondamentale. Bisogna sempre avere dubbi sulle proprie osservazioni e conclusioni, perché il processo stesso dell'osservazione non è affatto imparziale, ma è fortemente influenzato dallo stato d'animo dell'osservatore ed influenza a sua volta lo stato d'animo corrente.


Ci si può domandare: "Ma come si fa a vivere senza certezze?" In realtà si vive benissimo, ed è la condizione normale dell'essere umano. Rende la mente viva, fertile e attenta. Al contrario, le certezze bloccano ogni ricerca e isteriliscono la mente.

Certo, oggi l'umanità, nonostante i progressi della scienza, non sa niente sul senso della vita, così come non sapeva nulla mille o tremila anni fa. Ma si pensi a quanto siano stimolanti l'incertezza e il dubbio, e quanto siano invece raggelanti il credere di sapere. I periodi peggiori della storia umana sono stati quelli in cui la maggioranza delle persone aveva valori e fedi che credeva indubitabili. E ancora oggi è così: i più grandi ostacoli al progresso e alla stessa comprensione fra uomini vengono dalle persone dogmatiche, dai fideisti, dai conservatori, da coloro che s'illudono di sapere.

Il dubbio apre alla ricerca, il dubbio è vita. La certezza invece è l'irrigidimento della morte.

Conoscere se stessi: l'abc della meditazione

La maggior parte delle persone non ha consapevolezza delle attività della propria mente. Non pensa, ma è abitata dai pensieri. Così non è neppure in grado di riconoscere l'origine dei propri stati d'animo e quindi non sa che cosa migliori o peggiori il proprio umore.


Il riconoscimento, la consapevolezza, è dunque il primo passo da compiere. Bisogna porsi in un atteggiamento di osservazione ed esaminare "dall'esterno" ciò che avviene nella propria mente, così come faremmo per un estraneo. Non c'è bisogno di soffermarsi a lungo, basta un attimo di consapevolezza. Che cosa penso? che cosa provo? che cosa provoca questo stato d'animo, a che cosa porta questo stato d'animo?

Ma al di là dell'aspetto spirituale del "conosci te stesso", un simile atteggiamento è una prima forma di psicoterapia, ciò che permette un maggior benessere interiore. Si tenga infatti presente che, senza questa opera di riconoscimento, saremo abitati soprattutto dalla sofferenza, dalla malattia, dalla ripetitività compulsiva e dalla confusione; saremo abitati dai condizionamenti, dagli istinti e dai meccanismi automatici mentali. Perché una mente non coltivata, una mente lasciata a se stessa, si pone inevitabilmente al suo livello più basso e più negativo.

Per essere felici o sereni, occorre lavorare su di sé. Ma il premio è sicuro.

Alle persone che non sappiano compiere questo lavoro su di sé, seppure a un livello minimo, non dovrebbe essere affidato nessun incarico importante e men che meno un incarico pubblico, perché, essendo in balia dei propri stati umorali e dei propri meccanismi automatici, mancherebbero di comprensione, di autocontrollo e sarebbero un pericolo per tutti.

Ogni avanzamento, ogni progresso, ogni scoperta, ogni salto evolutivo - e lo stesso metodo scientifico - sono basati sul metodo dell'osservazione, che è il giudice ultimo di come stanno le cose. In questo campo non ci sono miracoli che tengano, ma solo un lavoro continuo.

Conoscere i propri pensieri, i propri sentimenti e i propri stati d'animo (conoscere senza giudicare) non significa conoscere se stessi, ossia avere un'idea complessiva di come si è. Si tratta solo dei primi mattoni per conoscersi. La conoscenza sintetica arriverà più tardi, quando si sarà in grado di mettere i mattoni insieme; e può darsi che qualcosa sfugga sempre, anche perché alcuni aspetti restano inconsci.

Comunque, anche avere un'idea solo parziale di ciò che avviene in noi in un dato momento è molto importante, perché a lungo andare potremo scoprire che cosa si ripete regolarmente e perciò rilevare impulsi, complessi e meccanismi profondi che vengono da lontano. E a poco a poco correggerli.

E' inutile pregare Dio se non si conosce se stessi.

venerdì 26 novembre 2010

Arroganza clericale

Le associazioni pro-life protestano perché vorrebbero il diritto di replica nella trasmissione di Fazio e Saviano, dove si è difeso il diritto all'eutanasia. Si sentono prevaricate, poverette. Ma la prevaricazione è già avvenuta nei fatti, con le leggi che vietano ai cittadini di scegliersi il fine-vita. Giorni fa tre ministri (pro-life?) hanno ribadito che le scritture private per i testamenti biologici sono carta straccia. In sostanza, i cittadini sono costretti a ubbidire alle leggi dei cattolici, le quali non lasciano mai diritto di scelta. Mentre i cattolici richiedono il diritto all'obiezione di coscienza, gli altri cittadini devono subire la violenza delle leggi clericali. Questa è una delle principali vergogne del nostro paese. Se esiste prevaricazione, è sempre da parte del clericali. Mentre infatti le leggi dello Stato laico lasciano il diritto di scelta al cattolico (per esempio di dire di no al divorzio e all'aborto), le leggi di origine clericale non lasciano nessuna scelta al laico non credente.


Inoltre, se adottassimo un simile criterio bipartisan a tutte le trasmissioni televisive, quante altre trasmissioni di riparazione dovrebbe fare la televisione per compensare gli innumerevoli programmi su santi, madonne, papi, miracoli e compagnia bella, molte della quali chiaramente faziose e antistoriche? E perché ci sono trasmissioni gestite direttamente dalle religioni e nessuna in difesa del laicismo?

domenica 21 novembre 2010

Morte e desiderio

Le religioni ci hanno abituato a pensare che il desiderio sia l'origine di ogni peccato. Ma non è così. Il nome stesso "desiderio", che viene da de-sidera = "dalle stelle", ci indica che è qualcosa che viene dall'alto, dal cielo. E, in effetti, al fondo del desiderio c'è la spinta a superare gli stretti limiti dell'ego per andare verso l'altro-da-sé. Se non ci fosse questo desiderio, ognuno rimarrebbe murato nel proprio ego, senza possibilità di trascendersi. Questa è l'espressione giusta: ogni desiderio è desiderio di trascendenza.


La morte non distrugge solo un corpo, ma anche un ego. Ovvero, l'ego viene dissolto nei suoi confini e si apre alla cosmicità. Non c'è più nessuno che possa dire "io", non c'è più nessuno che possa erigere dei confini rispetto al resto. La vita, racchiusa per qualche decennio in un ego, viene di nuovo liberata e resa disponibile per altre esistenze. A questa esperienza di liberazione (da sé) ci spingono le mistiche, la meditazione e l'amore. E, in ogni caso, la morte.

mercoledì 17 novembre 2010

Vincere la violenza

Non c'è modo di eliminare la violenza nell'uomo, perché sarebbe come una lobotomia, come una devitalizzazione, e l'uomo non sarebbe più in grado di sopravvivere in un mondo che evidentemente è stato concepito nella violenza e che prevede l'uso della violenza.


Ciò che noi chiamiamo violenza è in realtà la carica, la forza, la spinta ad andare avanti. Anche l'amore sarebbe impossibile senza questa forza.

Non si può dunque eliminare la violenza con tutti i suoi addentellati: la rabbia, l'odio, la gelosia, la competitività, ecc. Ma si può incanalarla in modo costruttivo anziché distruttivo. Purché se ne sia consapevoli, purché quando si presenta ci sia un uomo che ne sia cosciente.

In tal senso la meditazione è una forma di auto-psicoterapia, che prima passa attraverso una forma di consapevolezza delle emozioni e degli impulsi più profondi cui siamo soggetti e che poi permette una presa di distanza, un distacco.

Contemplare la violenza, l'amore o qualsiasi altra emozione, sentirla profondamente nostra e poi distaccarsene - ecco un percorso meditativo. Ed è inutile credere che basti l'intervento di qualche Dio per portare la pace nel mondo.

venerdì 12 novembre 2010

Mind wandering

All'università di Harvard sono riusciti a calcolare che la nostra mente passa metà del tempo a pensare ad altro rispetto a ciò che stiamo facendo. Metà del tempo non siamo dunque presenti e seguiamo le nostre fantasticherie. Ci sono solo poche attività in cui le divagazioni scendono al di sotto del 30%: prima di tutto nella sessualità e poi anche nel gioco e nello sport.


Questo signitica che per essere concentrati sul presente ci dev'essere un interesse emotivo e che metà del nostro tempo facciamo cose prive di interesse. Nel 42,50% dei casi, le divagazioni sono piacevoli, nel 26,50% sono spiacevoli e nel 31% sono neutre.

Oltre all'amore, le attività in cui si tende di meno a divagare sono la preghiera e la meditazione. Ecco perché le religioni orientali ci insegnano che la felicità consiste nel vivere nel presente, nel "qui e ora": più si è felici, più si svolgono attività interessanti, e viceversa.

In conclusione, meno siamo in preda a desideri o fantasticherie, più siamo felici. Ma evitare desideri e divagazioni mentali significa già meditare.

Assaporare il presente

Ogni giorno siamo trascinati da desideri, da ambizioni e da aspettative che non solo non ci fanno vivere nel presente, ma che ci fanno anche soffrire, perché sembrano ripeterci che ci manca qualcosa, che dobbiamo ottenere qualcosa, che siamo dunque infelici. E in effetti lo diventiamo, proprio a causa di quei desideri.


E allora fermiamoci per un po' al presente. Esaminiamo la giornata, esaminiamo la vita, esaminiamo la nostra salute. E, se è una bella giornata, se non ci sono guerre e disastri vari, se riusciamo a vivere dignitosamente, se siamo in buona salute - ebbene godiamoci quei momenti, assaporiamoli...e siamo felici! Pensiamo a chi sta veramente male.

Calmiamoci: in verità non dobbiamo arrivare da nessuna parte - ci siamo già! Anche questa è meditazione.

Quando utilizziamo un tranquillante chimico o quando riusciamo a meditare, ci rendiamo conto all'improvviso della tensione con cui di solito viviamo. Il motivo è sempre lo stesso: il desiderio di qualcosa che non abbiamo...e che non avremo mai. Sì, perché il desiderio di essere o di avere in realtà non cessa mai. Cesserà solo con la morte del desiderio, cioè con la nostra stessa morte. In fondo, la vita non è che questo: desiderio.

sabato 6 novembre 2010

Settarismo

Si cerca una setta o una Chiesa perché si vuole restare bambini, perché si vogliono affidare le proprie responsabilità ad altri. E questo è il contrario del principio stesso della meditazione, la quale tende a rendere autonomi, in modo che ognuno sia se stesso e si liberi dai vari condizionamenti.


Restare bambini va bene se si vuole mantenere una mente fresca ed aperta, ma è negativo se non si vuole crescere.

mercoledì 3 novembre 2010

Decidere

La meditazione non vi dirà mai che cosa dovete fare nelle varie situazioni: questo ve lo diranno le religioni, con tutte le loro regole, i loro riti, i loro dogmi e i loro codici morali. La meditazione vi invita a decidere di entrare in contatto con il vostro percorso evolutivo, con il vostro essere più profondo, con le vostre esigenze più autentiche. Che cosa volete fare della vostra vita? Continuare a recitare, a muovervi secondo esigenze altrui, oppure prendere su di voi la responsabilità di seguire una direzione di autenticità? Essere ed esprimere voi stessi oppure essere una marionetta guidata da esigenze altrui?


Questa decisione è il fondamento di una vera vita, di una vita seria, e non può essere tanto rimandata perché il tempo è breve per tutti. Costi quel che costi, bisogna seguire la propria via, vivere la propria vita, e non perdersi dietro a mode, passatempi, nevrosi, pettegolezzi e altre cose senza valore. Decidere di essere autentici e andare diritti. Lasciar perdere le deviazioni, le falsità, le illusioni, le artificialità e le incertezze del cuore e della mente. E non aver paura né delle delusioni né della rabbia che ne può conseguire. Le delusioni sono infatti inevitabili quando si vuole uscire dalle illusioni, e la rabbia è necessaria perché ci dà la spinta propulsiva.

Questa decisione non vi darà una guida sicura, e di volta in volta dovrete decidere che cosa sia meglio per voi. Ma vi darà la spinta e la direzione. A voi spetterà mantenere la rotta, rimanendo in contatto con quel centro profondo di consapevolezza che ha preso la decisione.

Dialettica

Non c'è niente da fare: la gioia non può che nascere dalla sofferenza - è una legge che è inscritta nella natura. Come dicono alcuni versi,




Della vita


l'essenza è questa -


un'alba di sole


dopo una notte di tempesta.





Quando saliamo sulla cima di una montagna e da lassù contempliamo un vastissimo panorama di monti, di valli, di fiumi e di laghi, ci sentiamo prendere da un misto di sgomento e di stupore. Quanto è grande il mondo, quanto piccoli siamo noi! Ma a poco a poco il senso di sgomento scompare e resta un sentimento di vastità e di leggerezza. Le nostre vicende ci sembrano allora piccole e trascurabili, i nostri conflitti sembrano placarsi, le nostre sofferenze si attenuano. E veniamo colti dalla gioia. Il motivo di questo stato di benessere è l'aver ridimensionato il nostro piccolo io, è l'esserci allontanati per un po' dai nostri soffocanti limiti, dalle nostre contorsioni sentimentali e mentali. Anche questa è meditazione.

martedì 2 novembre 2010

La gioia

La gioia come nuova esperienza del mondo, come illuminazione improvvisa, come subitanea liberazione, come un farsi strada tra la confusione, l'oscurità e la sofferenza. La gioia come cessazione delle abituali difficoltà, delle normali limitazioni e mancanze. La gioia come piccola e fugace illuminazione.


Ma anche il dolore è rivelazione improvvisa, benché brutale, della realtà del mondo - e della necessità di superarla.

lunedì 1 novembre 2010

Occasioni di crescita

Quando ci succede qualcosa di importante, non domandiamoci se è un premio o una punizione per i nostri comportamenti, ma chiediamoci quale sarà la sua influenza sulla nostra evoluzione, sul nostro sviluppo spirituale - se cioè ci aiuterà ad andare avanti o ci riporterà indietro. Allora, anche gli eventi negativi possono assumere una loro utile funzione. Però bisogna capirlo.


Certo, nel momento della sofferenza è difficile vedere il vantaggio per la nostra evoluzione. Ma proprio un dolore, se opportunamento meditato, porta ad un affinamento dello spirito e ad un allargamento della consapevolezza.

Al limite, ogni colpo al nostro ego, ogni distruzione della nostra sicurezza, ci porta a vedere con più chiarezza noi stessi e il mondo, come in una limpida mattina spazzata da un vento gelido.