domenica 31 maggio 2020

Trovare una tregua



Se dovessimo dire chi siamo veramente, risponderemmo con sicurezza che siamo coloro che hanno quei pensieri, quei sentimenti, quelle emozioni e quei comportamenti – noi siamo “quelli” e non altri. È come la nostra pelle, il nostro corpo – qualcosa che ci aderisce strettamente e che ci identifica.
Ma le cose sono più sottili e profonde. In realtà, noi siamo coloro che percepiscono tutte queste cose. La distinzione è fondamentale. A differenza degli altri animali, noi siamo coscienti (o possiamo esserlo) dei nostri vari stati d’animo, dei nostri pensieri, delle nostre sensazioni, delle nostre reazioni, ecc. In altri termini, per quanto la pelle sia aderente, lascia comunque uno spazio in cui entra una specie di testimone, che può essere più o meno chiaro e distaccato.
Nell’uomo l’adesione non è perfetta, c’è un altro centro, un centro superiore. E lì noi possiamo posizionarci per osservare tutto il resto, fino al punto di vederci agire come degli attori che recitano un copione. È vero, i pensieri e i sentimenti sono “nostri”, ma in un certo senso sono predeterminati dal condizionamento generale, dalla commedia che tutti recitano… e quindi non sono del tutto originali. C’è qualcosa di più originale, di più reale, qualcosa che osserva tutto e se ne distacca.
Questo testimone silenzioso non può essere definito con i normali concetti (condizionati), ma può essere avvertito come una presenza. Non c’è bisogno di fare grandi sforzi. È lì ed è la nostra più antica identità. Ed è anche una posizione di tregua nelle continue tensioni della vita.
Il mondo è un luogo di conflitti, ma esce da una grande pace. E tu puoi recuperarla.

lunedì 25 maggio 2020

Il luogo della pace


C'è chi lotta dall'alba al tramonto per costruirsi una casa, una villa o comunque un rifugio in cui potersi ritirare periodicamente per ritrovare la pace. Ma le cose non sono così semplici; affidare ad un luogo esterno il proprio equilibrio espone a grandi disillusioni. I nostri pensieri, infatti, li portiamo sempre dentro di noi, e così le nostre preoccupazioni, i nostri problemi irrisolti. Non c'è niente da fare: all'esterno di noi non può esserci pace se non per brevi periodi, perché questo mondo è stato costruito sull'instabilità e sul cambiamento continuo, dentro e fuori.
       Pur non sottovalutando il potere dei luoghi e delle persone, la via migliore è cercare di trovare la quiete dentro di noi, riuscendo a vedere quante illusioni nutriamo, riuscendo a calmare la febbre che ci brucia. Come diceva Marco Aurelio, "in nessun altro luogo un uomo si può ritirare trovando più quiete o libertà che nella propria anima." Ma l'anima va ripulita, va purificata, va calmata, altrimenti sarà contaminata dalle stesse ansie che divorano la mente quotidiana; non ci si può staccare di colpo dal mondo esterno e ritrovare un'anima tranquilla. Bisogna prima addestrarsi con varie armi: l'investigazione dell'interiorità, l'osservazione degli stati mentali, il distacco dalla vita quotidiana, l'introduzione della calma. A questo serve la meditazione. Diceva il Buddha: "Coltivando nella mente un calmo pensare si giunge, in verità, in questo stesso mondo al sentiero della pace".    
       Ma il percorso è lungo. Nelle nostre società diamo grande importanza alla coscienza, che ci sembra essere il principio più importante. Non possiamo però nasconderci che anche la coscienza, come il mondo, è destinata alla dissoluzione.
       Se cerchiamo qualcosa di stabile, dobbiamo allora rivolgerci a ciò che è testimone dell’instabilità della stessa coscienza. Questo testimone, che osserva ma non partecipa, appartiene già a un altro mondo. Ed è in esso che dobbiamo insediarci il più a lungo possibile se vogliamo toglierci dal marasma quotidiano.
           

martedì 19 maggio 2020

La mente sognante


Quando ci svegliamo da un sogno, in un attimo ricompare la solita coscienza e noi esclamiamo: “Oh, era solo un sogno!” Pochi però capiscono che il nostro cosiddetto stato di veglia è a sua volta un sogno.
“Un giorno ci sveglieremo” dice Zhuang-zi “e scopriremo che tutto non è stato che un sogno.”
La saggezza consiste nel capirlo, anzi nel percepirlo, proprio qui e ora.
Ma il fatto che le cose siano così inconsistenti ed effimere non vuol dire ancora nulla – infatti ci sono sogni belli e sogni brutti.
Ciò che va capito è che si tratta comunque di proiezioni della coscienza, di giochi fantastici della mente. E che, quando scompare la coscienza, anche le più alte montagne, i pianeti, le stelle e i buchi neri scompaiono in un attimo.

domenica 17 maggio 2020

Cambiare i sogni


Purtroppo non siamo ancora capaci di cambiare un brutto sogno in un bel sogno, anche perché siamo convinti che la nostra “realtà” sia diversa da quella di un sogno. Ma non è così: si tratta comunque di proiezioni della nostra coscienza.
Quando siamo convinti che il mondo sia qualcosa di solido, quando cioè non ne vediamo l’inconsistenza e l’irrealtà, siamo in trappola: non possiamo sfuggirgli. E questo è un guaio, l’origine della nostra sofferenza.
Siamo troppo attaccati al nostro corpo, al nostro io, al nostro senso di essere. E così non ci rendiamo conto che sono le nostre idee a dargli consistenza e una certa persistenza. Siamo così attaccati alle nostre piccole vicende, alle nostre relazioni che non ce la facciamo a liberarci delle emozioni e dei pensieri.
Immersi nei nostri problemi, vorremmo qualcosa per risolverli oggi concretamente e siamo poco interessati alla Realtà ultima. A che ci serve? È come un Dio che non interviene ad aiutarci.
Tuttavia, se capisci la struttura della realtà e la consistenza onirica del mondo attuale sei anche in grado di intervenire tu stesso per cambiare un brutto sogno in un sogno migliore. I sogni, infatti,  hanno sempre un termine. E possiamo risvegliarci.

giovedì 14 maggio 2020

La perfezione



Ci sarebbe da chiedersi perché se prima “esiste” uno stato così perfetto, ci sia mai bisogno di uno stato così imperfetto come quello del nostro attuale piano di realtà.
Ma forse la perfezione, contemplando tutte le possibilità, ha bisogno di un tocco di imperfezione. Siamo noi che siamo stati sfortunati a capitare nella parte negativa, che insieme a quella positiva forma il tutto.

Ciò che non scompare mai


Gli Iddii sono creazioni nostre, tanto che, se non ci fosse la mente umana, non ci sarebbero né i loro altari, né i loro templi, né le loro religioni, né il senso religioso.
Ma ciò che sta prima e dopo la coscienza umana, quello non potrebbe scomparire. E quello è la vera dimora della trascendenza.

Domande senza risposte


Siamo abituati a pensare che ogni domanda abbia una riposta, magari negativa. Ed è così, finché ci riferiamo a questo piano di realtà. Ma, quando ci poniamo domande metafisiche (cosa c’è prima o dopo), non possiamo pretendere che la risposta arrivi attraverso la solita logica. Ogni risposta sarebbe limitata e insufficiente, corrotta dallo stesso linguaggio della domanda.
Ciò che noi siamo veramente non ha niente a che fare con l’attuale campo di coscienza. Dovremmo essere capaci di andare oltre. Ciò che noi siamo prima o dopo non può essere  quello che conosciamo qui e ora.

martedì 12 maggio 2020

"Quello tu sei!"


Se una cosa è nata, ovviamente dovrà morire. Se entra all’interno dello spazio-tempo di questo universo, dovrà uscirne. Ma dove va a finire e che cosa c’era prima? Non possiamo dire che non c’era nulla, perché dal nulla non può nascere nulla. E allora?
Quando pensiamo allo stato prima dell’essere, in effetti non sappiamo più come definirlo. Le nostre parole, i nostri concetti dualistici non ce lo permettono; è al di fuori del linguaggio e del pensiero.
Di solito noi gli diamo un nome (Dio, Brahman, Essere, Assoluto, Eterno, Aldilà, Nirvana, ecc.), ma si tratta di termini convenzionali che non ci spiegano nulla.
In breve il linguaggio è impotente. Dovremmo innanzitutto trascendere tutte le coppie di opposti (Essere-nulla, Assoluto-relativo, Vita-morte, Inizio-fine, ecc.), ma poi capiamo che ci mancano le parole.
Le Upanishad lo indicano come “Quello”. Quando esaurisci tutti i concetti, ciò che rimane è Quello… “e tu stesso  lo sei”.
Ma questo nome non significa niente, non è il nome di un Dio. È lo stato che rimane dopo che hai scartato ogni prodotto del pensiero ed ogni possibile stato.
Se cerchi uno stato che non nasca e non muoia, che non sia né essere né non essere, che non abbia né un inizio né una fine, allora è “Quello”.
Ma, se “Quello” non è pensabile, come facciamo a dire che ci sia? In effetti non possiamo.
Però, poiché noi siamo “Quello”, possiamo percepirlo dentro di noi. Non si tratta di pensarlo come si pensa un oggetto qualsiasi, ma di scoprirlo come un nostro stato, prima dell’essere e del non essere, prima della coscienza stessa, prima della sofferenza e della felicità. Immergiamoci nella nostra sensazione di essere e poi trascendiamola.



domenica 10 maggio 2020

Il sacrificio umano


Nelle guerre, tutti i generali vorrebbero vincere. Ma ci sono due tipi di generali: quelli che vogliono vincere con il minor numero di caduti, e quelli che vogliono vincere costi quel che costi.
Ecco il “generale” che manda avanti la vita è di quest’ultimo tipo. Non gli importa niente quanti siano i caduti; gli importa solo di vincere la guerra.
Il fatto è che, in questo caso, i soldati saranno tutti sacrificati.
Non è un caso che la parola “sacrificio” sia collegata alla parola “sacro”. Siamo tutti soldatini che verranno sacrificati nella lotta per la vita.
Se cerchiamo qualcosa di eterno, dobbiamo guardare altrove.

La difficile ricerca della felicità


Se tutti sono alla ricerca della felicità, vuol dire che sono infelici - o, comunque, insoddisfatti. Questo dovrebbe già metterci sull’avviso quando decidiamo (se lo decidiamo veramente) di mettere al mondo dei figli.
Non li mettiamo in un posto meraviglioso, ma nel mondo del bisogno, del desiderio e della lotta. Si dirà: ma loro potranno essere più felici di noi. Può darsi di sì o può darsi di no. Non possiamo saperlo.
Ma, nonostante tutta la nostra buona volontà, ci dimentichiamo sempre che un dolore dovremo darglielo: assistere al nostro decadimento e alla nostra morte.
Se pensassimo davvero alla felicità, non dovremmo mettere al mondo nuovi esseri. Ma la natura fa in modo che non ci pensiamo troppo. Andiamo avanti condotti dagli istinti.

venerdì 8 maggio 2020

L'essenza sottile che anima tutto


Nella Chandogya Upanishad, un saggio padre, Uddalaka Aruni, vuole spiegare al figlio, Svetaketu, quale sia l’essenza ultima della realtà, l’ “essenza sottile”. Prima cita l’esempio di un grande albero che, benché colpito, continua a vivere. Se però la vita, ossia l’essenza sottile, l’atman lo abbandona, allora si secca completamente e muore.
In effetti ogni cosa è “animata da quella essenza sottile, che è l’unica realtà, che è l’atman. E tu stesso, Svetaketu, lo sei.”
Il discorso poi si ripete con un frutto pieno di semi. Il padre dice al figlio di tagliarlo. “Che cosa ci vedi dentro?” “Tanti piccoli semi.” “Tagliane uno. Che cosa ci vedi dentro?” “Nulla, padre.”
Il padre allora gli dice: “Questa essenza sottile sfugge alla tua percezione, ma è grazie ad essa che questo albero, per quanto grande, si innalza verso il cielo. Credimi, figlio, essa è l’unica realtà, è l’atman. E tu stesso, Svetaketu, lo sei”.
La spiegazione prosegue. Il padre dice al figlio di buttare del sale nell’acqua di un recipiente e di tornare l’indomani. Il giorno dopo il padre gli dice: “Portami ora quel sale che hai buttato nell’acqua”. Il figlio ovviamente non lo vede più perché si è sciolto. “Assapora un po’ quell’acqua prendendola alla superficie. Com’è?” “È salata.” “Ora assaporala prendendola dal basso. Com’è?” “È sempre salata.”
“Così pure, figlio mio, tu non afferri questa essenza. Ma essa è presente dappertutto, è l’atman. E tu stesso lo sei.”
Dunque l’insegnamento è chiaro: primo, ogni cosa, dalla più grande alla più piccola. è espressione di un’unica essenza non percepibile ai sensi esterni, e quindi anche ciascuno di noi è animato da quella energia.. Qui non si tratta di adorare una divinità esterna, ma di ritrovare in sé il principio e la forza della divinità che sta tanto al di fuori quanto dentro di noi.
Questo processo di ritrovamento o riconoscimento noi lo chiamiamo meditazione. Si tratta di raccogliersi, di sentire al nostro interno l’essenza sottile e di lasciarle lo spazio per lavorare dentro di noi.




giovedì 7 maggio 2020

La forza delle convinzioni


Se tu muori convinto che finirai in un paradiso o in inferno, o che rinascerai su questa terra, può darsi che avvenga davvero. Ma sarebbe un’altra illusione, un altro castello di carte, un sogno, un film della tua coscienza, che ti apporterebbe altri dolori e altre morti.
Se invece muori già convinto che vivi in una proiezione della tua mente e che la stessa coscienza e il tuo senso d’essere sono illusioni, e che la realtà sta altrove, al di fuori delle tue rappresentazioni, riuscirai a trascendere l’intero mondo dell’essere con le sue limitazioni.
Questa è la differenza tra chi ha capito e l’ignorante. In tal senso, il nostro destino ultraterreno è un prodotto delle nostre convinzioni ed esperienze più profonde.

martedì 5 maggio 2020

Il seme della meditazione


La meditazione è come un seme che va piantato e che a poco a poco darà i suoi frutti sbocciando in una nuova consapevolezza e capovolgendo il nostro punto di vista sull’esistenza.
Si può infatti inneggiare allo stato di coscienza che ci ha portato a vivere l’attuale esistenza incarnata in un corpo e un ego. Ma resta il fatto che la vita e il mondo sono fondati su una specie di avidità metafisica. Ciò che noi chiamiamo “amore” (per sé, per gli altri e per tutto), ossia il desiderio di vivere e di riprodursi, è in realtà una forma di attaccamento. Non solo vogliamo vivere, ma vogliamo anche perpetuarci in una catena di figli e di opere… disconoscendo il carattere effimero del cosmo.
La vita è desiderio avido di essere, di avere e di possedere, non un principio tanto elevato.
Se meditiamo a fondo, ci rendiamo conto che siamo caduti vittima di un abbaglio, di una drammatica illusione. Cercavamo chissà che, cercavamo gioia e realizzazione, ma abbiamo trovato insoddisfazione e ostacoli di ogni genere.
Forse allora possiamo uscire dall’equivoco scoprendo che c’è un altro modo di giudicare l’esistenza e di ragionare su una identità meno precaria.

domenica 3 maggio 2020

Vita: istruzioni per l'uso


Può nuocere gravemente. Porta sicuramente alla morte.
Trattare con precauzione.
Non è necessaria.
A vostro rischio e pericolo.
Se proprio volete sporcarvi le mani…

Il Dio apofatico


Possiamo parlare di Dio e avere idee del tutto diverse. Il “mio” Dio, per esempio, non ha nulla a che fare con Mosè, Gesù, Maometto, Krishna e compagnia bella.
Di lui non si può dire nemmeno che esista, neppure che è. Di lui non si può dire nemmeno che è un lui. Non è nemmeno altro da te.
Non devi neanche parlarne, neanche pensarlo. Ogni parola, ogni idea è… una bestemmia.
Tienilo solo presente. È una Presenza totale che è sempre in te, che è sempre te.

La conoscenza della verità


Titolo pretenzioso – sarebbe meglio dire “la conoscenza di come stanno le cose”.
Bene, non c’è da conoscere nulla. Semmai c’è da disconoscere tutte le fantasie che vi abbiamo costruito sopra: vedi religioni ed elucubrazioni filosofiche.
Per sapere come stanno veramente le cose, dobbiamo liberarci (non a caso si parla di liberazione) di tutte le idee che ci siamo fatti o che ci hanno inculcato.
Fare piazza pulita.
Quando avremo fatto piazza pulita, quando ci saremo sbarazzati di tanta spazzatura, ci troveremo in uno spazio pulito, aperto e luminoso, dove tutto ci apparirà più chiaro.

La storia delle religioni


Quando siamo piccoli abbiamo bisogno dei genitori dai quali dipendiamo in tutto e per tutto. Ma poi cresciamo e diventiamo sempre più autonomi. A quel punto i ruoli si invertono e sono i genitori che dipendono da noi. E alla fine muoiono.
Vi ho raccontato la storia delle religioni con i loro dei paterni e materni e della nuova presa di coscienza che è necessaria.
Alla fine, non è che dobbiamo sostituirci noi come nuovi re del creato (campa cavallo), ma dobbiamo capire che siamo un tutt’uno.

sabato 2 maggio 2020

Lo scopo della vita


L’universo non è stato creato intenzionalmente da qualcuno. Se lo fosse, avrebbe un senso e uno scopo, seppur limitato. Invece non ce l’ha – e tutti lo percepiamo. È fine a se stesso, ha un carattere illusorio ed è contingente, cioè può essere e può non essere indifferentemente. Appare in un attimo e può scomparire in un attimo.
Si sviluppa in modo deterministico, ma non è capace di autodeterminarsi. Va avanti come una macchina che non sa che cosa fa. È come una meteora casuale che sorge e vaga nel vuoto.
Il mondo e la vita sono come fuochi d’artificio: ooh! Non servono a qualcosa d’altro, non sorgono in base a un lucido disegno, non esistono in vista di e non sono neppure una prova da affrontare per ottenere un premio o un castigo (l’oscena teoria dell’esistenza come esame).
Tutti cercano uno scopo, proiettandosi in avanti. Invece dovrebbero cercare che cosa significhi essere presenti a se stessi qui e ora, per poi trascendere anche questa sensazione. Dovrebbero cercare quale possa essere la nostra identità ultima e prima, al di là dello spazio-tempo e della coscienza stessa - la vera creatrice delle apparenze illusorie “Qual era il tuo volto prima di nascere?”
Se anche l’universo si dissolvesse, questo non cambierebbe nulla nel nostro vero stato. Anzi, il nostro vero libererebbe di un labile sogno.
L’assoluto non ha bisogno nemmeno di un ego, nemmeno di una coscienza, nemmeno di essere.