mercoledì 31 gennaio 2024

La "ducetta" di casa nostra

 

Ma come? La ducetta di casa nostra, tanto patriota e tanto amica di Orban, con cui si abbracciava e baciava, accetta che una cittadina italiana, Ilaria Salis, sia sta messa in galera e condotta al processo in catene in Ungheria? Eppure l’Ungheria fa parte dell’Europa ed è una specie di modello cui le sorelle Meloni si ispirano.

Uno stato illiberale e antidemocratico. Che cosa avrebbe fatto poi questa maestra italiana? Avrebbe preso parte a uno scontro contro elementi neonazisti, che piacciono tanto a Orban. Altrove sarebbe stata liberata dopo due giorni. Ma in Ungheria toccare i nazisti è un grave reato. Se la manifestazione fosse avvenuta contro elementi di sinistra, le avrebbero dato un premio.

Adesso la Meloni e il cognato Lollobrigida sono in imbarazzo. Ilaria Salis è cittadina italiana, ma è chiaramente antifascista. Come difenderla?

Salvini, che è più rozzo e meno diplomatico, ha subito detto: "Spero che sia innocente, ma se è colpevole non può più fare la maestra!".

Tra fascisti, ci si intende.

Non so se avete notato che la televisione di Stato, asservita alla destra, ci trasmette ogni sera un film o uno sceneggiato di carattere patriottico o di rievocazione del ventennio fascista. Ci vogliono di nuovo far piombare in un’atmosfera nazionalistica, mentre il nostro problema è riuscire a pagare bollette e spesa, per ridurre le quali il governo non fa nulla di serio.

E poi c’è l’esaltazione continua degli italiani vincitori. Sinner è stato ricevuto dalla Meloni, che lo ha preso a esempio e ha proclamato; “È L’Italia che ci piace, che sa reagire e vincere”: Peccato che Sinner sia un altoatesino che risiede a Montecarlo e che sia stato esaltato nella sua regione come un campione del Sudtirol tedesco. Inconvenienti dell’autonomia già differenziata.

La Meloni vuole distrarre gli italiani con l’idea del premierato e dell’autonomia differenziata delle regioni, una nuova “porcata” del leghista Calderoli. Insomma questa patriota “de’ noialtri” vuole distruggere l’unità dell’Italia, che è costata tanto sangue ai veri patrioti.

E gli italiani? Dormono come sempre, sperando che tutto passi in fretta.

Nessun Dio creatore

 

La scienza attuale afferma che non c’è bisogno di nessun Dio creatore, in quanto l’universo si genera dal vuoto quantico.

Io direi che era inevitabile arrivare a questa conclusione, perché, per la legge delle antinomie, il tutto non può che originarsi dal nulla, il pieno dal vuoto.

Non c’è dunque bisogno di nessun Primo Motore o Ente soprannaturale esterno. L’universo nasce spontaneamente.

Non crediamo ancora a questa affermazione perché siamo abituati a pensare che tutto proceda da un’Autorità. Invece la cooperazione armoniosa e contrapposta fra tutti gli enti non deriva da un’autorità esterna, ma dai dettami interni della loro natura. In altre parole, tutto nasce spontaneamente, naturalmente, dalla struttura stessa delle cose, dalla loro interrelazione, dalla loro coerenza interna.

Non c’è niente di innaturale, ma tutto è natura.

Dobbiamo rivalutare il concetto di spontaneità come contrapposto a quello di forzosità. Finora abbiamo pensato a un universo forzoso, voluto da una volontà esterna a se stesso.

Invece tutto si è costituito da sé, liberamente. Non c’è nessuno che ci abbia creati o voluti. Ma il tutto avviene per una necessità interna.

Ogni cosa è connessa a ogni cosa secondo una coerenza interna, data da questa interdipendenza, e nessuna parte è fondamentale o privilegiata.

Le  cose si adattano spontaneamente l’una all’altra.

Oltretutto, se ci fosse un Dio creatore, ce la potremmo prendere con Lui per le cose che ci vanno male. E invece le cose ci vanno male perché, in altre occasioni, ci vanno bene.

La forza generativa delle cose

 

“Un'antinomia, in filosofia, è una contraddizione tra due affermazioni o principi opposti che sembrano entrambi validi e veritieri, ma che non possono coesistere o essere conciliati. In altre parole, un'antinomia rappresenta una situazione in cui due proposizioni valide si contraddicono a vicenda. Le antinomie possono presentarsi in vari ambiti della filosofia, come ad esempio nella logica, nell'epistemologia o nell'etica.”

Ecco che cosa l’intelligenza artificiale ritiene essere un’antinomia. Ed è l’opinione corrente. Peccato che sia superata. Lo sbaglio sta nell’affermazione dei “principi opposti” che “non possono coesistere o essere conciliati”.

La definizione giusta è che i due principi non solo coesistono, ma si giustificano e si sostengono a vicenda.

Senza antinomie, ci sarebbe solo un mondo di oggetti separati e immobili, e noi saremmo come animali che vivono di percezioni. Invece le antinomie permettono il dinamismo del mondo e della mente. Il mondo è antinomico, auto-contradditorio e ambivalente per assicurare l’interdipendenza dinamica di tutte le cose, senza distinzione fra fuori e dentro.

Insomma per conoscere un fenomeno, dovremmo conoscere l’influenza di tutti gli altri, il che è impossibile. Ma possiamo isolare nella massa processi antinomici particolari, dei quali stiamo parlando. Non si tratta solo di fenomeni mentali, perché sono verificabili dall’esperienza. Per esempio, se respiro attraverso due moti opposti (inspirazione/espirazione o dentro/fuori), questo è dovuto a un’antinomia, a forze antinomiche.

Se spiegare una forza significherebbe in definitiva mostrare come sia connessa con tutte le altre, possiamo comunque accontentarci di isolarla nel suo accoppiamento con la forza contraria. Anziché mostrare la sua unità con il tutto, mostriamo e sperimentiamo la sua unità con il polo opposto. Questo isola determinati fenomeni auto-contraddittori o ambivalenti che, mentre uno dei poli lotta contro il suo opposti, ne confermano l’esistenza.

Per esempio, l’amore prova l’esistenza dell’odio, la vita della morte, la mortalità dell’immortalità. Nei primi due casi, possiamo provare l’esistenza del polo opposto; nel terzo, conoscendo il primo polo (la mortalità), possiamo inferire l’esistenza dell’opposto (l’immortalità). L’importante è la conoscenza del primo polo e la giustezza logica del polo antinomico.

In un certo modo, questo è un processo creativo, in quanto fa essere l’opposto.

Siamo dunque alla forza generativa delle cose.

lunedì 29 gennaio 2024

La varietà delle antinomie

 

Conoscendo questa legge dell’oscillazione complementare, è possibile intervenire per influenzarla a nostro favore? Prendiamo per esempio l’antinomia agitazione/calma. Noi sappiamo che esistono entrambe e che sono collegate. Ma possiamo intervenire sull’agitazione per indurre la calma? Certamente sì: sia perché dopo l’agitazione si produrrà comunque la calma sia perché, conoscendo la legge dell’oscillazione, possiamo passare più velocemente dall’una all’altra, senza aspettare il ritmo naturale. La presa di coscienza mi aiuta. Lo stesso per il dolore: posso trasformarlo in piacere? Certamente sì, perché i due poli sono strettamente collegati, come ben sanno tanti sadici o masochisti.

Come non possiamo evitare la morte, così non possiamo evitare la vita. Riflettiamo su questo pensiero. Questo vuol dire che siamo sottoposti a un ciclo continuo di nascita/morte, perché non possiamo sfuggire al pendolo delle antinomie. La buona notizia è che l’aldiqua è antinomico all’aldilà, che così resta dimostrato.

Impossibile, però, dire come sarà questo aldilà. Sappiamo che deve esistere, perché conosciamo e sperimentiamo l’aldiqua, il mondo.

Attenti comunque alle false antinomie: uno dei due poli dev’essere ben sperimentato e conosciuto, senza ombra di dubbio. Se per esempio prendo l’antinomia dio/diavolo, nessuno dei due è sperimentabile e, di conseguenza, è più probabile che appartengano al mondo dei concetti mitologici, astratti o teorici.

Anche certe antinomie come bene/male non sono obiettive perché sono giudizi umani. In realtà, per la natura, esiste solo l’utile o l’inutile, il funzionale o il disfunzionale, l’adattato o il disadattato. Quindi l’utile, il funzionale e l’adattato sono bene. Il resto è un insuccesso e quindi male o superfluo. Quindi anche la distruzione, il conflitto, la malattia, l’invecchiamento o la morte sono bene. Noi, invece, adottiamo una scala di valori diversa, antropomorfa, e non possiamo pretendere che sia oggettivamente valida.

Ci sono antinomie che hanno un senso solo per noi, ma sono prive di senso per la natura. Sopra/sotto, alto/basso, centro/periferia, uguale/diverso, ecc. hanno un’applicazione puramente convenzionale, ma non universale. Su scala universale non significano niente. Siamo nel mondo del relativo.

Invece altre antinomie, come caldo/freddo, maschio/femmina, piacere/dolore o vita/morte, valgono qui come in qualunque parte dell’universo. Se ti pianto un chiodo in una mano, ti farà male anche in un’altra galassia. Se ti porto sul ghiaccio, avrai freddo dappertutto. Se ti porto in una stella di fuoco, avrai caldo, ovunque tu sia. Nascita e morte sono universali. Il maschile e il femminile sono validi ovunque vi sia una riproduzione sessuale.

Altre antinomie appartengono al mondo dei sentimenti o delle emozioni e quindi sono reali solo nel mondo interiore o in quello delle relazioni. C’è però l’antinomia amore/odio che può essere vista come un aspetto particolare dell’antinomia universale attrazione/repulsione.

Insomma le antinomie sono molto diverse, ma funzionano tutte allo stesso modo, dinamico, oscillatorio, complementare e creativo. Sono creative nel senso che una polarità dà vita all’altra e resta indissolubilmente legata. E non puoi avere l’una senza l’altra.

In realtà è come una strada che si biforca come una “Y”; per quanto le biforcazioni siano due, hanno un’origine comune. Come nel mito di Platone, sono una sfera che è stata divisa in due parti, che si cercano e si determinano a vicenda. Al punto che se sei sicuro che c’è l’una, sei sicuro che c’è altra.

Quello che voglio dire è che, in tanti casi, non si tratta di un gioco di parole, ma di un gioco della vita/morte, la nostra realtà.

domenica 28 gennaio 2024

Dimostrare l'immortalità

 

Abbiamo detto che le forze fondamentali della natura (fisiche e mentali) vanno a due a due e sono complementari, il che ci fa desumere che in origine facciano parte di una stessa unità. È come se, a un certo punto, la strada che seguiamo si biforchi e prenda due direzioni diverse. Per quanto la strada si biforchi, in realtà parte da una stessa origine e ne mantiene lo stigma. Se poi le biforcazioni si dividono a loro volta in altre biforcazioni, abbiamo presto una rete che ha un’origine unitaria. Questa rete la troviamo sia nel nostro cervello, con i neuroni e i filamenti che li connettono, sia nell’universo con i corpi celesti che sono collegati. È stata più volte osservata questa analogia, che corrisponde anche nel numero: un centinaio di miliardi.

In questo modo, tutto è collegato in una reciproca dipendenza e si è evoluto in un generale coadattamento. Quindi, se da una parte troviamo antinomie, dall’altra troviamo che sono tutte interdipendenti.

Non tutte però sono reali: alcune sono solo mentali perché non è possibile constatarne la veridicità. Per esempio, se parlo dell’antinomia Dio/Diavolo, non posso provare che sia reale. Ma se parlo dell’antinomia caldo/freddo, dolore/piacere o maschio/femmina, esse devono essere considerate reali dal momento che sono verificabili nell’esperienza.

Bisogna quindi stare attenti alla effettiva esistenza almeno di una delle due polarità – l’altra è inevitabile. Se provo piacere, devo desumere che esista il suo contrario complementare: il dolore. Se c’è una inspirazione, ci deve essere una espirazione. Se c’è il soggetto, deve esserci l’oggetto. Se c’è la vita, c’è la morte… e così via.

Questo vale anche per le antinomie più discutibili (perché conosciamo solo una polarità). Se c’è il conscio, c’è l’inconscio. Se c’è la temporaneità, c’è l’eternità. Se c’è il tutto, c’è il niente. Se c’è il pieno, c’è il vuoto. Se c’è la mortalità, c’è l’immortalità… Non si tratta di nostre fantasie: la seconda polarità esiste perché esiste ed è verificabile la prima. Semplice.

Noi non sappiamo come sia la seconda, ma deve essere uguale per realtà, e contraria per senso. La terza legge di Newton applicata a tutti i fenomeni.

sabato 27 gennaio 2024

Fascismo mascherato

 

Che senso ha questo “giorno della memoria”nel momento in cui riabilitiamo i fascisti (che vollero le leggi razziali) e Israele che cerca di infliggere un olocausto a un altro popolo? Non sono più credibili né il governo fascista in Italia né il governo israeliano. Un gioco di assoluta ipocrisia. I carnefici si atteggiano a vittime o a gente innocente.

Il fascismo è sempre pronto a stabilire leggi discriminatorie e a far credere che risolverà i problemi dei poveri mentre appoggia i poteri forti e ricchi. E, mentre i poveri abboccano alla propaganda televisiva (in mano ai fascisti), vengono tagliati i fondi loro destinati e ci si inchina davanti alle banche e ai ricchi che hanno accumulato ingenti ricchezze speculando proprio sugli indigenti.

Prima o poi i fascisti getteranno la maschera e si riveleranno per quel che sono. Allora i poveri si accorgeranno dell'errore che hanno fatto eleggendo questa gente.

Soggetto/oggetto: l'osservatore del mondo

 

La domanda delle domande è: ma la coscienza è un semplice registratore della realtà o è lei che la fa apparire così, quindi è un elemento creativo. È un po’ come domandarsi se sia nato prima l’uovo o la gallina. È chiaro che si sono coevoluti: la gallina ha generato l’uovo e l’uovo ha generato la gallina.

Quindi il mondo ci appare così perché si è coevoluto con i sensi dell’osservatore. Se non avessimo uno o due di questi sensi, il mondo ci apparirebbe diverso. Non ha senso, per esempio, chiedere a un cieco che cosa sia un colore o a un sordomuto che cosa sia un suono. Per loro queste cose non esistono.

Quindi, mentre il mondo ha modellato dei sensi (fra cui la coscienza), i sensi ci modellano il mondo. Se non avessimo del tutto questi sensi, il mondo come ci apparirebbe? È semplice: non ci apparirebbe!

Ma ci sarebbe in sé? Ecco la domanda cruciale. Ovviamente, non potremmo saperlo, perché nessun senso ce lo rivelerebbe. Ma ci sarebbe in sé?

Il fatto è che non possiamo avere un’esperienza di qualcosa in sé, ma solo di ciò che è in relazione con noi come soggetti.

Le cose sono interrelate dinamicamente, e non esistono sole, isolate, prese ad una ad una.

Sarebbe come prendere un singolo neurone del cervello e pretendere che funzionasse. Non potrebbe funzionare; può funzionare solo se è una rete. Da solo non funzionerebbe, non servirebbe a nulla. E non solo il nostro cervello funziona perché ha tanti neuroni collegati in una rete, ma, a quanto pare, anche l’universo funziona perché è una gigantesca rete.

Allora, alla domanda delle domande - se il mondo esisterebbe in mancanza dell’osservatore – bisogna rispondere di no. Esattamente come nell’antinomia soggetto/oggetto: l’oggetto non può esistere se non c’è il soggetto e il soggetto non può esistere se non c’è l’oggetto.

Dunque l’osservatore è essenziale al mondo e il mondo esiste perché c’è l’osservatore. Ma è anche vero che l’osservatore non potrebbe esistere senza il mondo da osservare. Che cosa osserverebbe? Verrebbe meno la sua funzione.

Come al solito, data e conosciuta una polarità, siamo sicuri che l’altra esiste.

Ma noi siamo cocciuti e ci domandiamo: in origine, quale unità si biforca in due? Domanda insensata perché quell’uno non esisterebbe più. Si sarebbe frammentato e perso nella molteplicità.

E così arriviamo a un’altra antinomia: uno/molteplicità. L’uno non può esistere senza la molteplicità, ma la molteplicità non può esistere senza l’uno. E, siccome noi conosciamo in concreto la molteplicità, dobbiamo concludere che esiste in concreto l’uno.

In conclusione, il soggetto animale, l’osservatore del mondo, il testimone, non è solo un prodotto del mondo, ma è ciò per cui esso appare.

venerdì 26 gennaio 2024

La vendicatrice

 

Leggo che ieri, vicino a Bergamo, una donna ha ucciso a coltellate il marito. Insomma tutti parlano dell’amore come di uno zuccheroso idillio. Io, invece, dico che l’amore è una guerra, come tutto su questa terra, con morti e feriti.

Più spesso sono gli uomini che uccidono mogli o fidanzate. Ma anche le donne non scherzano!

Sono sicuro che molte donne penseranno: "Era ora!"

L'ultima umiliazione umana

 

Gigi Riva, il potente capocannoniere, “rombo di tuono”, dal tiro micidiale, se ne è andato, tradito da una malattia di cuore.

Questo mi fa ricordare altri potenti atleti del passato. Mi ricordo  Cassius Clay, l’invincibile pugile, ridotto a un individuo debole e tremante negli ultimi anni della sua vita.

E mi viene in mente Alain Delon, un tempo l’uomo più bello del mondo, conquistatore di donne, ridotto a mal partito dalla vecchiaia e dal tradimento degli eredi, che dice di voler solo morire.

Così è la vita. Possiamo essere forti e belli quanto vogliamo, ma la vecchiaia e le malattie ci riducono a mascheroni orribili. È come se l’uomo e la donna dovessero provare, prima di morire, l’umiliazione di se stessi, la nientificazione del loro corpo e della loro mente. “Non sei niente, uomo! Sei stato creato dalla polvere e nella polvere finirai!”

Se al posto dell’ombelico avessimo un bottone, premendo il quale, si potesse sparire, pochi reggerebbero fino in fondo. Perché la vita è quella cosa che finisce… e finisce male!

Ma non disperiamo. Se c’è la morte, c’è anche l’immortalità – qualunque cosa sia. Se c’è il tempo, c’è l’eternità. Non in base alla fede, ma in base al ragionamento sulle polarità antinomiche.

Temporaneità ed eternità

 

Come si generano gli eventi? Ci sono cause ed effetti praticamente infiniti come in un gigantesco tavolo di biliardo. Le palline si scontrano fra di loro in una reazione a catena. Se siamo bravi a giocare, possiamo cercare di indirizzare i nostri colpi; ma questo è possibile quando le palline sono poche. Se sono infinite, chi è in grado di calcolare le possibili interazioni?

A livello sociale, se siamo potenti, per esempio capi di Stato o capi di un’azienda, possiamo influire sulle vite di molte persone e quindi dirigiamo certi eventi. Ma non su tutti e poco su noi stessi. Se siamo Napoleone o Cesare possiamo prendere decisioni che faranno vivere o morire migliaia di persone, possiamo scatenare guerre, possiamo promulgare leggi, possiamo conquistare territori. Ma alla fine la storia ci dice che molte decisioni erano sbagliate o che anche i grandi condottieri sono stati sconfitti da altri condottieri o dalle malattie o dal destino. Nessuno controlla tutto e tutti.

Dunque, per quante cose si possano controllare, alla fine qualcosa ci sfuggirà e noi perderemo il controllo. In Oriente, si dice che c’è un karma individuale, provocato dalle nostre azioni precedenti, ma ci sono anche karma collettivi, familiari, nazionali. Anche in Occidente, Jung parlava di un inconscio personale e di uno collettivo. Quindi, tante cose ci sfuggono, non sono controllabili.

L’inconscio è la naturale conseguenza del conscio, della coscienza. È un’antinomia come le altre. Perciò l’uno comporta l’altro. Se c’è una coscienza, c’è un inconscio. Il che è come dire che non possiamo controllare tutto, per principio.

Delle antinomie, che sono migliaia, ci sfugge l’unità, ci sfugge che sono aspetti contrastanti di uno stesso processo. Per esempio, della respirazione capiamo che non può esserci un’espirazione senza un’inspirazione, e che quindi i due poli sono indissolubilmente collegati, ma di tante altre antinomie non capiamo l’unità. Per esempio, dell’antinomia amore/odio o bene/male non afferriamo la comune origine, tanto che non abbiamo né il concetto né la parola per esprimerla. Anzi, ci meravigliamo se qualcuno ci dice che sono due aspetti dello stesso fenomeno. Solo l’intuizione può coglierla, solo la consapevolezza può afferrarla.

Ma se coscio/inconscio e le altre polarità antinomiche sono collegate, la loro unità che cos’è? Come posso esprimerla? E, soprattutto, come posso modificarla?

Che cos’è questo ente che oscilla fra conscio e inconscio, fra essere e non-essere?

Una simile oscillazione era prevedibile, perché anche noi siamo processi come tutti gli altri. Niente è fisso, stabile. E anche noi oscilliamo fra poli opposti. Se c’è il conscio, ci deve essere l’inconscio. Se c’è l’essere, ci deve essere il non-essere. Se c’è l’ente, ci deve essere il niente.

Ma i due poli, in questo caso, di quale fenomeno unitario sono espressione? Come possiamo capirlo, definirlo, esprimerlo, intuirlo?

L’io è anche gli altri, d’accordo – interrelazione. Ma anche l’ente è in sé un moto duale. Fra l’essere e il niente, fra il conscio e l’inconscio, c’è un andirivieni, un’oscillazione, che individua per po’ l’ente. Una specie di respirazione come quella delle maree, come quella del tempo, come quella del giorno e della notte, come quella del bene e del male, come quella della pace e della guerra…

Non abbiamo il concetto, non abbiamo la parola. Abbiamo solo l’intuizione del processo, oltre che l’evidente oscillazione fra vita e morte o fra attrazione e repulsione.

Sappiamo che per un po’ esisteremo, poi rientreremo nell’utero cosmico… e quindi riusciremo (riformattati), e così via . Dentro e fuori, dentro e fuori…

Ne siamo coscienti, ma questa stessa coscienza respira, è la respirazione cosmica. Dunque è proprio la coscienza che dà questa sensazione. 

Senza coscienza potremmo vivere?  Potremmo vivere così come vivono tanti animali, limitandoci a provare e a reagire alle percezioni. Questo già avviene. Ma non avremmo la sensazione di essere, che è tipica della nostra coscienza.

Già nella psicologia orientale la coscienza è considerata il sesto senso. Ossia è considerata una sensazione. Io so di esistere. Ma, mentre so di esistere, so che sono in divenire, che sono immerso nello spazio-tempo, e che dovrò morire.

Avere la coscienza di esistere è avere la coscienza di dover morire. Purtroppo le due polarità vanno insieme. Gli animali che vivono solo le sensazioni del presente non sanno di dover morire. Muoiono e basta.

L’oscillazione della coscienza deriva dal fatto che tutti i processi di questo mondo sono dinamicamente duali.

Tuttavia, noi abbiamo anche l’intuizione che sono composti da qualcosa che in origine era unitario. È questo quid unitario che si è diviso in due movimenti. Se non ci fosse stata questa unità di base, le forze delle antinomie non sarebbero due aspetti dello stesso fenomeno.

Questi due aspetti o moti sono uniti complementariamente per tutta la loro vita – un po’ come l’entanglement delle particelle, che pur essendo divise rimangono correlate, poiché lo stato quantico di una particella è intrinsecamente legato allo stato quantico di un'altra. In altri termini, le due forze di un’antinomia non possono essere separate, ma rimangono indissolubilmente collegate. Un binomio indissolubile di yang e yin. Né senza di te né con te: questo è il paradosso della realtà, che assicura la correlazione ma mai l’unione completa. Se ci fosse l’unione completa, entrambi si annichilerebbero.

Siamo degli equilibristi della realtà, bravi a stare insieme ma non a fonderci. Non è questo l’atto d’amore, ossessivamente ripetuto? Un tentativo di fusione per provare solo un attimo di realtà veramente unitaria, un attimo di eternità, al di fuori del mondo duale e del suo spazio-tempo.

Perché dobbiamo ammettere che riconoscendo la nostra contingenza, aspiriamo inevitabilmente all’eternità. E, con ciò, dobbiamo ammettere che l’eternità “esiste”. Se esiste la mortalità, deve “esistere” l’immortalità, anche se non capiamo in che forma. Non è una fede, ma l’applicazione della legge dei contrari antinomici.

 

mercoledì 24 gennaio 2024

I distruttori dell'Italia

 

È incredibile. Si definiscono patrioti e nazionalisti, ma stanno sfasciando l’unità d’Italia, istituendo l’autonomia regionale. Che trasformerà le regioni in tante piccole repubbliche, con il potere perfino sulla politica estera. Era il progetto di secessione di Bossi.

Quindi ritorneremo indietro di secoli. E quando le regioni faranno politiche, scuole e sanità differenti, che cosa succederà dell’unità d’Italia? Ci saranno tante scuole e tante sanità. Gli assessori regionali potranno istituire corsi di veneto o di lombardo. Ci sarà una terribile confusione e forse le regioni, che avranno anche una polizia regionale, si faranno la guerra? Ci vorrà un nuovo Garibaldi per riunificarle.

Le materie su cui le regioni potranno chiedere l’autonomia sono i rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione; professioni; ricerca scientifica e tecnologica; sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e promozione e organizzazione di attività culturali; valorizzazione dei beni ambientali; casse di risparmio e casse rurali; aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. E scusate se è poco.

Allo Stato che cosa rimarrà?

E quando una regione vorrà qualcosa e un'altra vorrà il contrario?

Ogni regione potrà fare da sola, indipendentemente dalle altre. E quindi in Italia ci sarà il carnevale perenne. Basterà andare cento metri oltre il confine per avere altre regole, altri ordinamenti, altre leggi. Tutti faranno quel che vorranno. Una nazione Arlecchino, mai vista al mondo.

È l’ennesima “porcata” di Calderoli, un uomo che faceva il dentista e che s’improvvisa legislatore.

È una follia, voluta incredibilmente anche da gente che sventola bandiere tricolori. Ma state tranquilli che ogni regione esibirà subito la sua bandiera.

E' una riforma che piace alla Lega, ma i "patrioti" dei Fratelli d'Italia non si vergognano?

Il tutto per uno scambio fra chi vuole il premierato forte (cioè autoritario) e chi vuole da sempre dividere il paese. Vanno d’accordo solo per spartirsi il potere.

Ricordo che la Meloni voleva nel 2014 abolire le regioni. Ma, per sete di potere, ora è disposta a svendere l’unità dello Stato. Andrebbe processata per alto tradimento.

martedì 23 gennaio 2024

La ricerca della felicità (2)

 

Tutti vorremmo essere felici, ma poiché la felicità è legata in modo complementare all’infelicità, non possiamo realizzarla o la realizziamo solo per brevi periodi. Poi la ruota gira, l’oscillazione deve andare dall’altra parte, e quindi ritorna l’infelicità. I due poli sono legati indissolubilmente e, se vogliamo l’uno (di solito la felicità), dobbiamo prenderci anche l’altro.

Ci sono un mucchio di consigli e di strategie per conservare la felicità, ma tutte s’infrangono davanti alla connessione con l’infelicità. Di solito noi crediamo che, facendo del bene, ci verrà altro bene. Addirittura, nel buddhismo, esiste un metodo (il tonglen) che consiste nell’augurare bene e felicità agli altri, prima agli amici e poi ai nemici. Il che ricorda il cristianesimo che ci raccomanda di amare il prossimo e perfino i nemici. Questo nella convinzione che il bene, fatto o augurato, ci ritorni in qualche modo.

Ma le cose non vanno così. Una legge della fisica ci dice che ad ogni azione deve corrispondere una reazione uguale ma di segno contrario. Quindi, facendo un’azione benefica, non è detto che ci venga del bene; prima o poi ci verrà il suo contrario.

Il mondo è stato fatto così: le forze in gioco vanno a due a due, uguali per intensità ma contrarie. Non importa se sono forze fisiche, mentali, emozionali, morali o degli eventi. Devono contrapporsi restando però legate. Fra parentesi, lo sapete che, per il fenomeno dell’entanglement quantistico,  due  particelle che si sono trovate in interazione reciproca per un certo periodo, anche se separate spazialmente, rimangono in qualche modo legate indissolubilmente (entangled), nel senso che quello che accade ad una di esse, si ripercuote istantaneamente anche sull’altra, indipendentemente dalla distanza che le separa? Una correlazione dunque che comporta “un’azione fantasmatica a distanza”.

Ebbene un’azione complementare esiste fra tutte le forze antinomiche. La felicità non può essere separata dall’infelicità, il bene dal male, il piacere dalla sofferenza, ecc. Perché mai del resto si dice che amare significhi soffrire? Non è perché i due opposti vanno sempre insieme? Ed è logico: l’amore ci rende più sensibili e la sensibilità ci espone alla sofferenza e quindi a un’ampia gamma di sentimenti che vanno dall’odio al rancore, dalla gelosia alla voglia di possesso. Se mi rendo conto che non posso vivere senza quella persona – non mi rende questo fatto dipendente, sviluppando una forma di ribellione e di odio?

Allora ci dobbiamo mettere a far del male? Potrebbe funzionare per un breve periodo, ma poi la ruota girerebbe comunque.

Non c’è niente da fare: qualunque cosa facciamo, da qualunque polo partiamo, la ruota girerà comunque in senso avverso.

Il fatto è che il problema della felicità è impostato male. Non posso far niente per essere felice o per accaparrarmi il bene, e per evitare il male e l’infelicità, se non piccoli accorgimenti che però non potranno cambiare l’oscillazione o la rotazione in senso avverso. Devo sempre tener presente che non posso avere uno dei due poli se non avendo, prima o poi, anche l’altro, perché i due procedono come gemelli uguali per tutto ma con caratteri opposti. Questo è il karma dell’umanità. Il polo opposto ci accompagna come l’ombra.

Perché, del resto, i dittatori sanguinari e i delinquenti del mondo godono di ottima salute o non diversa da quella dell’uomo comune?

Ogni forza contiene già il seme del suo opposto. Il movimento ciclico, la simmetria rotazionale, non può essere fermata. Quando lo yang ha raggiunto il suo massimo, deve ritrarsi a favore dello yin. Ecco perché “allontanarsi significa tornare”, come dice il Tao Te Ching.” Ogni volta che uno dei due poli si è sviluppato al massimo, ecco che deve lasciare il posto allo yin.

Il problema allora non è quello di eliminare uno dei due poli, ma quello della loro armonia. Ci dev’essere un equilibrio di base, rotto il quale subentra la degenerazione o la malattia. L’importante è l’interazione dinamica fra i due opposti, non l’eliminazione di uno dei due. Ciascuno dei due poli è legato dinamicamente all’altro.

Dice Lao-tzu che ogni volta che si vuole ottenere qualcosa, bisogna partire dal suo opposto.

“Se si vuole restringere, bisogna innanzitutto estendere.

Se si vuole indebolire, bisogna innanzitutto rafforzare.

Se si vuol far perire, bisogna innanzitutto far fiorire.

Se si vuole acquisire, bisogna innanzitutto offrire…

Ciò che è storto diventa diritto.

Ciò che è vuoto diventa pieno.

Ciò che è consumato diventa nuovo

Il difficile e il facile si completano l’un l’altro, il prima e il dopo si seguono l’un l’altro…”

 

A questo punto, se vuoi la felicità o il bene, non devi sforzarti di ottenerli da soli, ma di mantenere un equilibrio dinamico tra felicità e infelicità, tra bene e male.

Anche in Occidente sono state sviluppate le stesse idee, tanto che anche Eraclito afferma che gli opposti sono poli complementari e quindi formano un tutto unico. “Le cose fredde si riscaldano, il caldo si raffredda, l’umido si dissecca, il secco si inumidisce… Il dio è giorno e notte, inverno e estate, guerra e pace, sazietà e fame…”

Diceva il grande filosofo indiano Nagarjuna: “Le cose derivano il loro essere e la loro natura dalla mutua dipendenza e non sono nulla  in se stesse.” Sono tutte processi, relazioni, eventi, interdipendenza.

Allora come bisogna agire?

Bisogna fluire con la corrente, cercare un equilibrio, un’armonia fra opposti sempre variabili, non cercare una felicità in astratto, separata da tutto e isolata.

Sarebbe come voler essere felici chiudendoci in una torre di avorio, isolata da tutto.

Già questo ci renderebbe infelici. Il Buddha da giovane lo aveva fatto. Ma era insoddisfatto, così come sono insoddisfatti i nostri giovani protetti e viziati.

Inoltre, una situazione di isolamento perfetto non è possibile, perché nel mondo tutte le cose sono interconnesse e interrelate. E noi in mezzo a loro.

Anche il nostro io cosciente è collegato al tutto, nel senso che è collegato agli altri (nessuno nasce da solo) e a tutti gli altri enti ed eventi. È impossibile isolare un individuo. Siamo nativamente interdipendenti. Questo significa che per conoscere qualcuno, bisogna interagire con lui ed, entro certi limiti, influenzarlo, modificarlo. Il che avviene sia quando cerchiamo di conoscere un altro sia quando di cerchiamo di conoscere noi stessi. Niente è stabile, niente è isolato, niente è autonomo e niente è conoscibile in se stesso. Siamo nodi di una rete immensa ed ogni nodo è influenzato e influisce sugli altri.

Quindi, già l’atto di conoscere noi stessi o un altro, modifica, muta quel che osserviamo. Ma questo, se da una parte è uno svantaggio, dall’altra ci dice che tutto è modificabile.

Dunque, la nostra pretesa di cambiare le cose non è infondata.

Anche gli eventi si modificano e si influenzano di continuo. Ma questo avviene inconsciamente, spontaneamente, in base a leggi implacabili di moto, senza che ce ne rendiamo conto: come farlo deliberatamente?

Se io voglio cambiare una situazione (di solito a mio vantaggio), mi do da fare, lavoro, intervengo, prego, aspiro… Ma il guaio è che entra in gioco il binomio vantaggio/svantaggio – e sono fregato. Operando a mio vantaggio, mi procuro anche uno svantaggio. E il maledetto ciclo va avanti da solo.

Il pensiero, come il sentimento, riflette e crea un mondo che è sempre duale. E quindi mai in pace, mai stabile.

Possiamo influenzarlo? Sì, perché tutti influenzano tutto. Ma, per farlo volontariamente, intenzionalmente, dobbiamo introdurre una forte consapevolezza, che è un’energia conoscitiva e trasformatrice non duale.

Mentre la coscienza è la massima espressione della dualità, la consapevolezza sa senza dividersi tra soggetto e oggetto. Essere consapevoli di qualcosa è già essere o fare quella cosa. Come mai?

Facciamo un esempio: se io sono consapevole di essere vivo, non ho bisogno di dimostrazioni. Se io sono consapevole di amare qualcuno o di avere paura, non devo provarlo. Se devo dimostrarlo, vuol dire che non ne sono consapevole.

In genere, tutti i sentimenti, le sensazioni e le emozioni si presentano direttamente, senza mediazioni. Ma anche i pensieri o le immagini: non c’è uno schermo tra me e loro. Non ho bisogno di dire: ecco che arriva. Arriva e basta. Questa è apprensione diretta, ma sono più legate all’istinto.

Anche certe conoscenze, vere o sbagliate, arrivano direttamente. Quando incontro una persona per la prima volta, ricevo un’impressione immediata che non ha bisogno di ragionamenti. Secondo la psicologia, esistono almeno quattro tipi di intuizione:

·         Intuizione artistica: un artista che ha un’idea improvvisa per un’opera d’arte e la realizza senza sapere esattamente come sarà il risultato finale.

·         Intuizione scientifica: un ricercatore che ha un’idea improvvisa per una soluzione a un problema scientifico che sta affrontando.

·         Intuizione sociale: una persona che ha un’idea improvvisa su come rispondere a una situazione sociale complessa.

·         Intuizione spirituale: una persona che ha un’idea improvvisa su come rispondere a una questione spirituale o religiosa.

Queste intuizioni non hanno contrari, non sono quindi soggette al gioco del dualismo.

Dunque, essere consapevoli di qualcosa è modificare o realizzare quella cosa. Quando non realizziamo niente di quel che immaginiamo di volere è perché abbiamo già perso quella convinzione non duale e la ruota è già girata da sola.

Quando invece siamo consapevoli in modo diretto di qualcosa, quella cosa già è.

Così semplice? Sì, è un po’come la fede che sposta le montagne. E avviene continuamente senza che ce ne rendiamo conto, realizzando tutto ciò che vogliamo e ci meritiamo. Se crediamo di non realizzare nulla, è perché vogliamo quel nulla o non vogliamo nulla. Va bene anche così, perché, per ogni desiderio o volontà, c’è un non-desiderio o una non-volontà. Qualcosa realizziamo sempre, anche il contrario di ciò che crediamo di volere e che in realtà non vogliamo. Altrimenti saremmo immobili, e nessuno può restare immobile sul piano inclinato su cui ci troviamo. Tutti precipitiamo lungo la voragine dello spazio-tempo e del divenire. E, precipitando, facciamo precipitare o collassare gli avvenimenti, volenti o nolenti.

Non fraintendiamo. Non si tratta di sforzi di volontà o di pensiero positivo. È proprio il contrario: nessuno sforzo e nessun pensiero. È così che le cose avvengono. Spontaneamente, districandosi, emergendo o collassando dal campo delle possibilità.

Non basta il desiderio, perché il desiderio presuppone un dualismo. E quindi non ha nessuna capacità realizzativa. Ci vuole qualcosa che c’è già e che è il motore di ogni realizzazione.

 

domenica 21 gennaio 2024

La ricerca frustrante della felicità

 

Tutti vorremmo essere felici, ma poiché la felicità è legata in modo complementare all’infelicità, non possiamo realizzarla o la realizziamo solo per brevi periodi. Poi la ruota gira, l’oscillazione deve andare dall’altra parte, e quindi ritorna l’infelicità. I due poli sono legati indissolubilmente e, se vogliamo l’uno (di solito la felicità), dobbiamo prenderci anche l’altro.

Ci sono un mucchio di consigli e di strategie per conservare la felicità, ma tutte s’infrangono davanti alla connessione con l’infelicità. Di solito noi crediamo che, facendo del bene, ci verrà altro bene. Addirittura, nel buddhismo, esiste un metodo (il tonglen) che consiste nell’augurare bene e felicità agli altri, prima agli amici e poi ai nemici. Il che ricorda il cristianesimo che ci raccomanda di amare il prossimo e perfino i nemici. Questo nella convinzione che il bene, fatto o augurato, ci ritorni in qualche modo.

Ma le cose non vanno così. Una legge della fisica ci dice che ad ogni azione deve corrispondere una reazione uguale ma di segno contrario. Quindi, facendo un’azione benefica, ci viene il suo contrario.

Il mondo è stato fatto così: le forze in gioco vanno a due a due, uguali per intensità ma contrarie. Non importa se sono forze fisiche, mentali, emozionali, morali o degli eventi. Devono contrapporsi restando però legate. Fra parentesi, lo sapete che, per il fenomeno dell’entanglement quantistico,  due  particelle che si sono trovate in interazione reciproca per un certo periodo, anche se separate spazialmente, rimangono in qualche modo legate indissolubilmente (entangled), nel senso che quello che accade ad una di esse, si ripercuote istantaneamente anche sull’altra, indipendentemente dalla distanza che le separa? Una correlazione dunque che comporta “un’azione fantasmatica a distanza”.

Mi piace pensare che questa “azione a distanza” esista fra tutte le forze complementari. La felicità non può essere separata dall’infelicità, il bene dal male, il piacere dalla sofferenza, ecc. Perché mai del resto si dice che amare significhi soffrire? Non è perché i due opposti vanno sempre insieme? Del resto è logico: l’amore ci rende più sensibili e la sensibilità ci espone alla sofferenza e quindi all’odio, al rancore, alla gelosia, alla voglia di possesso. Se mi rendo conto che non posso vivere senza quella persona – non è questa un’ammissione di possibile odio?

Allora ci dobbiamo mettere a far del male? Potrebbe funzionare per un breve periodo, ma poi la ruota girerebbe comunque.

Non c’è niente da fare: qualunque cosa facciamo, da qualunque polo partiamo, la ruota girerà comunque in senso avverso.

Il fatto è che il problema della felicità è impostato male. Non posso far niente per essere felice o per accaparrarmi il bene, e per evitare il male e l’infelicità, se non piccoli accorgimenti che però non potranno cambiare l’oscillazione o la rotazione in senso avverso. Devo sempre aver presente che non posso avere uno dei due poli se non avendo, prima o poi anche l’altro, perché i due procedono come gemelli uguali per tutto ma con caratteri opposti. Questo è il karma dell’umanità. Il polo opposto ci accompagna come l’ombra.

Perché, del resto, i dittatori sanguinari del mondo godono di ottima salute o non diversa da quella dell’uomo comune?

Ogni forza contiene già il seme del suo opposto. Il movimento ciclico, la simmetria rotazionale, non può essere fermata. Quando lo yang ha raggiunto il suo massimo, deve ritrarsi a favore dello yin. Ecco perché “allontanarsi significa tornare.” Ogni volta che uno dei due poli si è sviluppato al massimo, ecco che deve lasciare il posto allo yin.

Il problema allora non è quello di eliminare uno dei due poli, ma quello della loro armonia. Ci dev’essere un equilibrio di base, rotto il quale subentra la degenerazione o la malattia. L’importante è l’interazione dinamica fra i due opposti, non l’eliminazione di uno dei due. Ciascuno dei due poli è legato dinamicamente all’altro.

Dice Lao-tzu che ogni volta che si vuole ottenere qualcosa, bisogna partire dal suo opposto.

“Se si vuole restringere, bisogna innanzitutto estendere.

Se si vuole indebolire, bisogna innanzitutto rafforzare.

Se si vuol far perire, bisogna innanzitutto far fiorire.

Se si vuole acquisire, bisogna innanzitutto offrire…

Ciò che è storto diventa diritto.

Ciò che è vuoto diventa pieno.

Ciò che è consumato diventa nuovo

Il difficile e il facile si completano l’un l’altro, il prima e il dopo si seguono l’un l’altro…”

 

A questo punto, se vuoi la felicità o il bene, non devi sforzarti di ottenerli da soli, ma di mantenere un equilibrio dinamico tra felicità e infelicità, tra bene e male.

Anche in Occidente sono state sviluppate le stesse idee, tanto che anche Eraclito afferma che gli opposti sono poli complementari e quindi formano un tutto unico. “Le cose fredde si riscaldano, il caldo si raffredda, l’umido si dissecca, il secco si inumidisce… Il dio è giorno e notte, inverno e estate, guerra e pace, sazietà e fame…”

Diceva il grande filosofo indiano Nagarjuna: “Le cose derivano il loro essere e la loro natura dalla mutua dipendenza e non sono nulla  in se stesse.”

Allora come bisogna agire? Bisogna fluire con la corrente, cercare un equilibrio, un’armonia fra opposti sempre variabili, non cercare una felicità in astratto, separata da tutto e isolata.

Sarebbe come voler essere felici chiudendoci in una torre di avorio, isolata da tutto.

Già questo ci renderebbe infelici. Il Buddha da giovane lo aveva fatto. Ma era insoddisfatto, così come sono insoddisfatti i nostri giovani protetti e viziati.

Inoltre, una situazione di isolamento perfetto non è possibile, perché nel mondo tutte le cose sono interconnesse e interrelate. E noi in mezzo a loro.

Anche il nostro io è collegato al tutto, nel senso che è collegato agli altri (nessuno nasce da solo) e a tutti gli altri enti ed eventi. È impossibile isolare un individuo. Siamo nativamente interdipendenti. Questo significa che per conoscere un io, bisogna interagire ed, entro certi limiti, influenzarlo, modificarlo. Il che avviene sia quando cerchiamo di conoscere un altro sia quando di cerchiamo di conoscere noi stessi. Niente è stabile, niente è isolato, niente è autonomo e niente è conoscibile in se stesso.

Quindi, già l’atto di conoscere noi stessi o un altro, modifica, muta. Ma questo, se da una parte è uno svantaggio, dall’altra ci dice che tutto è modificabile.

Dunque, la nostra pretesa di cambiare le cose non è infondata. Ma un conto è cambiare il soggetto e un conto è cambiare gli eventi.

Anche gli eventi, però, si modificano e si influenzano di continuo. Ma questo avviene inconsciamente, senza che ce ne rendiamo conto: come farlo deliberatamente?

Se io voglio cambiare una situazione (di solito a mio vantaggio), mi do da fare, lavoro, intervengo, prego, aspiro… Ma il guaio è che entra in gioco il binomio vantaggio/svantaggio – e sono fregato. Operando a mio vantaggio, mi procuro anche uno svantaggio. E il maledetto ciclo va avanti da solo.

Il pensiero, come il sentimento, riflette e crea un mondo che è sempre duale. E quindi mai in pace, mai stabile.

Possiamo influenzarlo? Sì, perché tutti influenzano tutto. Ma, per farlo volontariamente, intenzionalmente, dobbiamo introdurre una forte consapevolezza, che è un’energia trasformatrice.