sabato 31 marzo 2018

La saggia via di mezzo


Noi crediamo che la saggezza consista in una specie di punto intermedio tra gli estremi, in una specie di via di mezzo, per quanto oscillante e variabile. E facciamo coincidere questa virtù con il bene. Ma l’uomo ama anche gli estremi, ama correre pericoli, ama dare fondo al proprio desiderio, ama l’eccesso, ama la dismisura. Non è detto quindi che, pur sapendo che cosa sia il bene, lo segua. Nient’affatto.
       Purtroppo la saggezza non sembra dare tanti stimoli, in un mondo che invece cerca lo sballo, anche a costo della propria distruzione.
       Il piacere, il godimento sembra non bastare mai. E perciò si cercano gli estremi.
Così la saggezza sembra una virtù obsoleta, qualcosa da vecchi o da mediocri. E l’individuo e il mondo periodicamente impazziscono. Ma, dopo ogni crisi, domandiamoci: abbiamo davvero vissuto? È questo il senso o il sapore della vita?
Forse sì. Forse ci vuole l’uno e l’altro. Ma resta la necessità del perno attorno a cui tutto giri.



L'arte del padre


Quello che non hanno capito né Gesù né gli altri fondatori di religioni è che la fedeltà al Dio Padre non significa assoggettamento, obbedienza e sottomissione, ma assumere su di sé la funzione paterna, generando la propria autonomia, la propria differenza.
       In genere, l’eredità che il padre ci ha lasciato non deve tradursi in una semplice imitazione, ma in una riconquista e reinterpretazione individuale della tradizione. Altrimenti, anche il padre è veramente morto.
       Se da una parte il padre resta l’àncora della nostra vita, dall’altra non potremo mai lasciare il porto e navigare nel mare aperto.
       Il padre, da parte sua, non deve servirsi della sua autorità e del suo amore per fare una copia di se stesso nel figlio. La prima cosa che fa un tiranno o un demagogo è dichiarare il proprio amore con cui ingabbiare i sudditi. Il vero padre, invece, è colui che ritira le proprie dichiarazioni di amore per evitare di appropriarsi del figlio, per lasciarlo libero.
       Per essere genitori serve a poco l’armamentario di leggi morali, dogmi e comandamenti. Ciò che più serve è l’arte di farsi da parte, in modo da far crescere i figli.
       Questo è d’altronde ciò che ha fatto Il Padre eterno: creando il cosmo si è tolto di mezzo. Ma le religioni monoteistiche, con la loro riproposizione di un Padre esterno, hanno tentato di riportarlo in vita, creando semplicemente un fantasma, una sacra reliquia.
       Sono dunque queste religioni che fanno da ostacolo all’evoluzione e alla crescita degli individui, sono loro che inscenano continuamente la morte di Dio.
Ma può un Dio morire? O rivive sempre in ognuno di noi, in ogni più piccola particella del cosmo? Muore questo, muore quello… ma può morire il tutto? E, allora, a cosa servono certe messe in scena?

venerdì 30 marzo 2018

Contemplare l'infinito


In un giorno limpido, recati su una collina su cui si trovino alberi e cespugli. Cerca un posto da cui poter contemplare a perdita d’occhio la distesa di colli e di valli; e lì siediti.
Non guardare ora i singoli particolari del paesaggio, ma osserva l’insieme e ascolta in silenzio. C’è una grande pace fuori e dentro di te.
Attendi un colpo di vento e lo stormir di fronde. Quando finisce ogni rumore riporta l’attenzione all’infinito e al silenzio.
Di fronte a questa eternità, in questa eternità, sei emerso tu. Ci sei tu, qui e ora. Con tutto il tuo passato, con tutti i tuoi ricordi. Ma, tra un soffio e l’altro di vento, non ci sarai più, e magari al tuo posto ci sarà un altro che farà la stessa esperienza.
In questa immensità, in questo oceano di vite che vanno e vengono, il tuo pensiero e il tuo piccolo io si annegano, cioè perdono i proprio limiti. Ma, tutto sommato, è un naufragio dolce.
Ecco riassunta la poesia L’infinito di quel grande contemplativo che fu Giacomo Leopardi.

giovedì 29 marzo 2018

Camminare come meditazione


Armonia tra mente e corpo.
A piedi andiamo più lentamente, ma vediamo più cose. Siamo nel paesaggio, che non è un semplice fondale, ma parte di noi.
Ci accorgiamo così che il nostro sé ha confini molto più ampi di quelli del corpo.
Siamo più del nostro corpo, osserviamo le variazioni del terreno e della mente.
Apparteniamo finalmente a noi stessi. È una forma di liberazione.
Ritmo naturale, commisurato alle nostre forze, non quello dei treni o degli aerei.
Chi cammina liberamente esprime se stesso, medita naturalmente e si scopre parte del tutto. Però deve rivolgere lo sguardo non solo dentro di sé, ma fondersi con ciò che lo circonda.
Dilata il proprio io all’infinito.

mercoledì 28 marzo 2018

L'identità nella civiltà delle immagini


Oggigiorno, ma anche in passato, si vive di immagini, perché si vive alla superficie dell’essere. Poiché non si ha certezza dell’essere, di essere, della propria identità, si finisce per credere che l’immagine sia tutto, che l’apparire, per quanto inconsistente e provvisorio, ci rappresenti.
Ci si affida all’apparenza perché manca l’essenza.
Chi sa di non avere un’identità, almeno cerca un’identificazione.
Certo ha paura di non essere che un ologramma, pronto a sparire nel nulla.

Ragioni per credere e non credere


Il sedicente credente, colui che vuol credere in un Creatore, dice: “È mai possibile che questo mondo, così complesso e armonico, sia nato per caso da un soprassalto del nulla? Non è assurdo?”
Gli si risponde: “E non è assurdo che un mondo del genere, questo insieme di pianeti e di stelle senza vita, che girano scontrandosi in immani esplosioni, questo mondo dove tutto è incerto, questo mondo dove per vivere bisogna uccidere altre forme di vita, sia nato da una Superintelligenza, che sarebbe per di più Amore e Bene?
E, poi, considerando l’ambivalenza dei contrari (amore-odio, bene-male, ecc.), dobbiamo sì ammettere una certa armonia, ma anche una profonda disarmonia. Ogni cosa deve scontrarsi con le altre in un “gioco” che potrebbe essere definito stupido, perché senza senso, perché sempre a somma zero.
Se qualcuno avesse creato questo mondo, sarebbe un Dio crudele e sadico, più o meno come gli dei antichi che dall’Olimpo si divertivano a mettere gli uomini gli uni contro gli altri per godersi lo spettacolo.

martedì 27 marzo 2018

Le rivoluzioni italiche


In Italia, si fanno le rivoluzioni per non cambiare nulla. Sì, nelle recenti elezioni, c’è stata una rivoluzione dei partiti. Ma le loro prime scelte?
Ecco subito Presidente del Senato una donna. Sarebbe un buon inizio, se non fosse che la Casellati si è sempre distinta non per imparzialità e per autonomia di giudizio, ma per fedeltà e sottomissione al capo, Berlusconi. Fu lei che con 150 parlamentari del Popolo delle Libertà marciò sul Tribunale di Milano contro la celebrazione del processo Ruby. Fu lei che giurò che Ruby era la nipote maggiorenne di Mubarak.
Sarà imparziale quando saranno in gioco gli interessi del suo capo?
Dunque, una sconfitta per le donne, una sconfitta per il Senato e una sconfitta per i partiti che l’hanno votata. Un ritorno al passato dei leccapiedi.
Un altro segnale preoccupante è l’ammirazione della destra e dei Cinquestelle per Putin. Ma Putin non è un dittatore che non esita a far ucciderei suoi avversari e che sta massacrando in Siria donne e bambini dei quartieri assediati?
Quest’uomo sarebbe il modello democrazia di Salvini e di Di Maio?
Ne vedremo delle belle, anzi delle brutte.

Sui miracoli


Ma sono più i miracoli o i non-miracoli, ossia le volte in cui si prega e non si ottiene nulla?
Già, gli ebrei nei campi di concentramento, i bambini siriani massacrati dalle bombe al fosforo di Bashar e Putin, coloro che rimangono seppelliti da un terremoto, coloro che sono gravemente malati e vanno a Lourdes, ecc… sono più i miracolati o i non miracolati?
E poi invece di un intervento divino qua e là, e tutto discutibile, non sarebbe meglio che il divino facesse le cose un po’ meglio?
Eh sì, perché per esserci un miracolo, deve prima esserci un dis-miracolo, ossia qualcosa che è andata male. E dis-miracoli sono molti, ma molti di più, dei presunti miracoli.
I veri miracoli oggi si fanno nei laboratori scientifici, non nelle preghiere e nei santuari.

lunedì 26 marzo 2018

La società utopica


Tutti gli organismi hanno bisogno di un ambiente in cui vivere, da cui trarre l’energia necessaria.. Noi per esempio abbiamo bisogno di ossigeno, di acqua e di cibo. Ma nessuno in natura paga per questo. Non gli animali, non le piante. Gli animali hanno bisogno di altre forme di vita, animali o vegetali. E le piante hanno bisogno di nutrienti e di sole. Ma non pagano per questo: lo traggono dall’ambiente. Tutt’al più devono compiere uno sforzo per procurarsi le sostanze alimentari.
In effetti, tutto ciò dovrebbe essere gratuito, o comunque pagato in termini di acquisizione, di lavoro, di scambio e di cessione. Ma ecco che l’uomo crea una società dove le cose fondamentali non sono più gratuite, né l’acqua, né il cibo, né i combustibili, né le abitazioni. Qualcuno paga e qualcuno guadagna. E, per pagare, bisogna lavorare. Dunque le cose fondamentali non sono più gratis. E incomincia lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Il pianeta e gli esseri viventi naturali non hanno bisogno di lavorare per ottenere l’acqua, la luce, l’ossigeno e il cibo. Ma l’uomo sì. E, se non paga, qualcuno può tagliarli la luce, l’acqua, il cibo o buttarlo fuori di casa.
Dovremmo invece stabilire che tutto ciò che è necessario alla sopravvivenza del vivente sia gratis, o almeno a carico della natura. Ma l’uomo si specializza, compie un lavoro e a quel punto vuole essere ricompensato.
Non è però difficile immaginare una società in cui si distingua tra bisogni primari e bisogni secondari. E i primi dovrebbero essere gratis.
Forse più avanti nel tempo…

domenica 25 marzo 2018

L'anima in compatercipazione


Non bisogna pensare all’anima come a un nucleo, a un centro o a un’essenza, ma come a un processo, una linea o un’onda di svolgimento che non si arresta con la morte dell’individuo, perché non è del tutto individuale, perché è come una linea melodica su cui tanti possono portare variazioni.
Nessuno sa dove incominci un'anima e dove finisca. Ogni anima è connessa con tutte le altre. Non ci sono confini nell'universo.
I confini sono tutti artificiali.

La realtà dei paradossi


Non dialettica, ma paradosso. Le cose possono essere e non essere nello stesso tempo. È il nostro pensiero che le fa collassare in una delle due possibilità. In tal senso siamo coautori del nostro mondo.
Agli occhi di “Dio,” il bene e il male neppure esistono, e così l’essere e il non essere.
E noi, ignoranti come siamo, abbiamo fatto di Dio il garante delle vita e dell’essere, del solo bene, come se il “male” lo avesse fatto un antidio.
Quando cerchiamo il senso della vita, non possiamo trovarlo e rispondiamo in termini convenzionali, duali.
Il problema è che lo cerchiamo in base a una logica limitata, duale, che non è in grado di cogliere il paradosso.

sabato 24 marzo 2018

La logica della trascendenza


Se volete che le cose vadano bene, bisogna che prima vadano male – da qui non si sfugge. Ecco perché non c’è nessuna possibilità che il bene prevalga definitivamente sul male: i due si spalleggiano a vicenda.
Dunque, o si esce dall’intero complesso “bene/male” o si gira in eterno in un circolo vizioso, senza capire nulla.
Questo ci dice che è sbagliato identificare Dio [l’energia creatrice] con il solo bene. Ciò che ha creato il mondo ha creato il bene/male nel suo insieme. Siamo noi che distinguiamo per ovvie ragioni.
Ma una mente che si è abituata a distinguere, a dividere e a contrapporre gli opposti in tal modo, non può comprendere come è fatto il mondo.
Noi applichiamo alla realtà schemi logici duali che sono insufficienti a capire. D’altronde lo stesso è successo alla fisica newtoniana e cartesiana che non può applicare al mondo delle particelle la stessa logica che è stata applicata al moto dei pianeti e dei corpi solidi
Per la fisica quantistica non esistono cose definite e separate, e anche l’osservatore influisce sulla natura di ciò che osserva. Esiste un campo di possibilità su cui incide proprio la mente che osserva. Si scopre così un mondo molto più complicato e interconnesso dove non serve più la logica abituale.
Questo per dire che, per avvicinarci alla vera natura delle cose, alla natura ultima, dobbiamo trascendere la nostra piccola mente limitata con la sua logica e buttare a mare l’intera nostra teologia aristotelica. Per avvicinarci alla trascendenza, dobbiamo imparare a utilizzare una logica della trascendenza che sia in grado di vedere l’interconnessione di tutti i fenomeni, la loro indeterminatezza e il potere della mente che osserva.

venerdì 23 marzo 2018

Conoscersi


“Conoscersi” non è semplicemente un atto di riconoscimento di ciò che è dato, ma uno sperimentarsi, un costruirsi.
Non un sé che si trova bell’e fatto, come un corpo, ma un sé che si determina conoscendosi. L’atto di conoscersi non è mai neutro. Quindi stiamo attenti a come ci conosciamo.
Quali categorie infatti utilizziamo in questa operazione? Categorie che ci vengono date dalla cultura e dalla società.
Cambiamole.

Cerchiamo un sé che non abbia l’ossessione dell’identità personale, dell’ego. Sia per noi stessi sia per la società.
“Sono dove non penso e penso dove non sono” diceva Lacan. Fine dell’identità fra essere e pensare. Povero Cartesio che diceva: “Penso, dunque sono!”
Potremmo dire: ciò che penso è inevitabilmente un io artificiale e convenzionale. Per trovare il vero io, dobbiamo imparare a “non pensare”. Ad avvicinarci alla realtà senza categorie e pregiudizi, senza ego. Quello io sono.

giovedì 22 marzo 2018

Padroni del nostro destino?


Una frase che potrebbero pronunciare tutti è: “Non ho chiesto di venire al mondo e non ho chiesto di uscirne. Ma mi ci hanno costretto!”
Insomma, sembra che la volontà del singolo non conti nulla e che ognuno di noi venga per così dire trascinato da forze su cui non ha il minimo controllo. Potremmo dire che è la “volontà divina,” ma in ogni caso nessuno ci ha mai chiesto un parere.
In Oriente si tira fuori la teoria del Karma, per cui il nostro destino sarebbe legato a ciò che abbiamo fatto nelle vite precedenti. Qui saremmo responsabili. Peccato che non ne abbiamo la minima prova.
Resta la nostra sconcertante sensazione di essere delle pagliuzze trascinate dal vento.
Mentre l’Occidente teista ci fa apparire soggetti passivi della nostra stessa esistenza, l’Oriente vorrebbe renderci responsabili.
Chi avrà ragione?
Per rispondere a questa domanda, dobbiamo cercare di sentire interiormente se c’è veramente una nostra responsabilità nella nostra nascita, nella nostra morte o in ciò che c’è in mezzo. Siamo almeno in parte padroni della nostra vita o siamo condotti da volontà imperscrutabili? Perché anche nel caso del Karma e della reincarnazione, questa legge non l’avremmo certo fatta noi, ma l’avremmo subita.
Comunque sia, proviamo a vedere se in qualche modo possiamo riappropriarci almeno in parte del nostro destino… se non altro essendo consapevoli di tutto questo meccanismo.
Già la consapevolezza ci fa sentire spettatori di qualcosa che non abbiamo deciso, ma in cui partecipiamo come attori. E colui che ne è consapevole ne diventa almeno in parte responsabile. Perché, forse, in sostanza ciò che noi siamo è proprio questo essere “consapevoli di.” Solo se siamo “consapevoli di” siamo padroni della nostra vita.

In sostanza, prima veniamo gettati nel mondo e, poi, se ne diventiamo consapevoli, possiamo incominciare ad appropriarci del nostro destino. Ma, se non lo facciamo, se continuiamo ad essere inconsapevoli, affidandoci a divinità dominatrici, padrone del nostro destino, continueremo ad essere sugheri sballottati dalle onde.
Forse lo scopo dell’esistenza è proprio questo: riappropriarci di noi stessi… per quanto possibile, magari un po’ per volta, magari vita dopo vita.

mercoledì 21 marzo 2018

Credere o non credere in Dio


Il problema non è se credere o non credere in Dio. Ma in quale Dio (anche chi non crede non crede ad una certa immagine di Dio). Esistono infatti molte immagini di Dio, almeno tante quanti sono gli uomini. E si può credere o non credere in Iddii completamente diversi.
Per esempio, quando si parla del “Signore”, già ci si pone in un atteggiamento di supplici sottomessi, quasi di questuanti. Manca l’orgoglio, la fierezza. Ci si considera dei sudditi senza importanza di un assoluto Dominatore che fa di noi quel che vuole. E anche questo atteggiamento ha varie gradazioni, in base al grado di autonomia di chi crede o non crede.
Si può credere ad un Dio totalmente altro o a un Dio che è dentro di noi (qui c’è già più fierezza). Si può credere in un Dio che coincide con la natura e il cosmo stesso o in Dio che se ne sta “fuori”. Si può credere in Dio che è semplicemente una legge immutabile o in Dio che interviene nel mondo, in Dio immobile o in un Dio che cambia se stesso. Si può credere in un Dio pensabile o in un Dio impensabile dalla mente umana… E così via.
Ma un certo numero di immagini può essere escluso perché frutto della fantasia umana. E non si può e non si deve credere a certe immagini di Dio, perché sono in contrasto con le nostre osservazioni. Per esempio, è certo che Dio non coincide con quello di nessuna religione, perché ogni religione ci dà un’immagine limitata e storicamente condizionata.
Non è detto dunque che il vero credente sia il seguace di una religione (il che contraddirebbe tutte le altre.) E può darsi che un ateo “creda” di più in Dio di uno che prega tutti i giorni. Non è così semplice.
Come diceva Meister Eckhart, per credere in Dio bisogna prima liberarsi di ogni idea di Dio.

martedì 20 marzo 2018

Il Super-io


Quando parliamo del nostro “io”, sembra che stiamo tutti i momenti a pensare chi siamo e che, se non ci pensiamo, lo perdiamo. Ma non è affatto così. L’io è un pensiero come tanti altri. E può anche non esserci. Tantissime azioni vengono compiute senza minimamente pensarci, in assenza di io. In quei momenti, come nel sonno profondo, chi è che agisce? E chi compie le azioni?
Evidentemente un soggetto che non coincide con l’io che pensiamo, un Soggetto sconosciuto che non coincide con l’ego, che non sa neppure come ci chiamiamo.
Ecco perché è tempo che ci sentiamo più liberi e che smettiamo di credere che senza io non possiamo vivere. È vero il contrario.
Senza il piccolo ego, con tutti i suoi pregiudizi, le sue passioni e le sue paure, possiamo vivere meglio.

Universi paralleli


L’ultima ricerca del fisico inglese Stephen Hawking riguardava la possibilità che, al momento del Big Bang sia avvenuto anche un numero infinito di altre esplosioni che a loro volta generarono universi paralleli.
Dunque, gli universi potrebbero essere infiniti e magari si potrebbe passare da un universo all’altro. Chi può dirlo?
La situazione potrebbe essere complicata e il viaggio delle anime potrebbe essere infinito. E tutto avverrebbe e sarebbe presente proprio qui, in questo piccolo punto dello spazio dove vive ognuno di noi. Non ci sarebbe bisogno di compiere grandi e lunghi viaggi nello spazio. Tutto sarebbe qui e ora, il nostro universo e gli altri, ciascuno di noi e tutti gli altri già vissuti.
Si tratta di trovare la porta, il passaggio segreto, la fessura, che non starebbe in un posto fisico, ma in un punto della mente.

lunedì 19 marzo 2018

Meditare in silenzio


Medita con e nel silenzio. Crea uno spazio di silenzio, prima di tutto nei tuoi pensieri. È lo spazio che ti permette di osservare tutto e di osservare te stesso senza preconcetti, senza divisioni, con distacco.
Esci dal dualismo dei concetti (bene/male, amore/odio, principio/fine, io/altro, felicità/sofferenza, prima/dopo, ecc.) proprio attraverso il silenzio. Che è lo scandalo della nostra civiltà.
Se vuoi dare scandalo, rimani con qualcuno senza parlare: è già una forma di grande meditazione. Ma non so se te lo permetteranno. Se tutti stessimo in silenzio, il mondo come lo conosciamo si dissolverebbe.
La parola (con il pensiero sottostante) è ciò che ci modella il mondo in un modo che potremmo definire artificiale.
La parola-concetto, da mezzo di conoscenza e di comunicazione, diventa mezzo di divisione e di interpretazione. Solo se smetti di parlare/pensare, ti accorgi che il mondo è una proiezione della tua mente.
Dal silenzio parte dunque ogni creazione. Se vuoi inventare qualcosa, se cerchi una soluzione ai tuoi problemi, devi partire dal silenzio. Devi cioè far tabula rasa dei precedenti pensieri che ti hanno portato a quel problema.
Meditare in silenzio è ricreare e ricrearsi.

domenica 18 marzo 2018

Il volto e la maschera


Per potere meditare, non basta cercare una o due volte al giorno, per dieci minuti o mezz’ora, di astrarsi dal mondo e dai nostri stessi pensieri e sentimenti. Non che sia sbagliato: va benissimo, aiuta a rilassarci, a purificarci, a prendere le distanze, a recuperare energia, ecc. Ma non è sufficiente, perché è più che altro un’azione di difesa.
Bisogna anche imparare ad esaminare tutti i nostri stati d’animo riconoscendoli e accogliendoli senza interferenze. E questa è una forma di meditazione che può essere fatta in ogni momento, non solo quando siamo seduti.
Lo scopo è quello di non reagire nei soliti modi condizionati, a prendere le distanze dal nostro ego, a sentire che c’è altro, a capire che siamo abitati da altro, a intuire che non siamo solo ciò che credevamo, a vederci agire come ombre o maschere di altro, a sentire anche come quest’Altro, che è più vasto del piccolo io. Il vero volto sotto la maschera della personalità.
Poiché ci siamo divisi, ora dobbiamo riunificarci alla parte che abbiamo distinto e allontanato da noi o che ci ha allontanato da sé.
Quando lo facciamo, quando riconosciamo la presenza di questo Altro, chi è il Soggetto di questo riconoscimento? Quello noi siamo, quella è la parte cui dobbiamo riunirci, quello è il Volto della nostra maschera.

sabato 17 marzo 2018

L'ombra


Se ci domandassimo “se sappiamo di essere” risponderemmo di sì, ma se ci domandassimo “se sappiamo chi siamo,” forse esiteremmo. Siamo infatti consapevoli di non avere una visione panoramica di noi stessi. Molte cose ci sfuggono.
I grandi psicologi del passato (Freud, Jung, ecc.) ci hanno fatto capire che una parte di noi, l’inconscio, ci sfugge. Jung per esempio parlava di “ombra”.
C’è dentro di noi una zona in ombra che non conosciamo, ma che ci influenza di continuo. Non siamo insomma padroni di noi stessi: siamo abitati da altro, dall’Altro. Crediamo di agire per una motivazione, e invece agiamo per un’altra che ci sfugge. Siamo abitati dal mistero. Chissà perché facciamo certe cose e non altre, chissà che cosa ci indirizza verso una direzione anziché verso un’altra, verso una decisione anziché verso un’altra, verso una persona anziché verso un’altra.
Ma forse dovremmo fare un ulteriore passo. Non abbiamo soltanto “zone in ombra” dentro di noi. Siamo noi stessi delle ombre – ombre di Qualcosa che è la nostra vera natura, la natura ultima o prima.
Ecco bisogna imparare a “sentire” questo Qualcosa che ci sta alle spalle e che proietta l’ombra di noi stessi. Il nostro ego è una proiezione di quella Natura, di quel Sé.
Incominciamo a pensarci, a percepirci, come ombre. E guardiamoci come ci guarderebbe il Soggetto che ci proietta. Prendiamo le distanze da questo ego che è soltanto un’ombra.
Dis-identifichiamoci dall’ego e re-identifichiamoci con quel Sé.
È possibile farlo in certi momenti, quando ci accorgiamo che non agiamo per il nostro piccolo interesse egoico, motivato dai suoi impulsi e desideri, ma da un comando superiore di cui ci sfugge l’origine e la finalità.
Siamo abitati da una grandezza che ci supera. Ma che è esattamente ciò che noi siamo.

venerdì 16 marzo 2018

Spiriti affamati


Finché siamo pieni di desideri, possiamo anche ottenere momenti di felicità – oltre a momenti di sofferenza per non aver ottenuto ciò che volevamo o per aver scoperto che ciò che volevamo non ne valeva la pena. In ogni caso, saranno momenti fuggevoli, subito minati dalla dialettica dei sentimenti. Con la differenza che i momenti di infelicità saranno molto più numerosi, perché è più facile passare dalla felicità all’insoddisfazione che dall’infelicità alla felicità.
Il problema è che, se continueremo a desiderare ciò che non abbiamo, saremo come quegli spiriti affamati di cui parla la mitologia orientale, quelli che, per quanto mangino, non possono saziarsi mai.
Questa consapevolezza dovrebbe indurci non tanto a desiderare uno stato di felicità permanente, quanto uno stato senza desideri.
Come potremo trovarlo? Ovviamente, non come si cerca un oggetto qualsiasi di cui possiamo impadronirci. Prima dovrà essere un’aspirazione profonda al non-desiderio.
Ma questa è la parte più difficile, perché tutti desiderano qualcosa, fosse pure la liberazione dall’infelicità.

giovedì 15 marzo 2018

Religioni di massa


La gente crede che basti essere in tanti a credere a qualcosa perché questa cosa sia vera. Si guardano nelle chiese, si contano e si confortano della presenza di altri.
       Ma le cose non stanno così. Una cosa, solo perché è creduta da tanti, non è vera. Anche se fossero la maggioranza. Non era la maggioranza quella che inneggiava a Hitler o a Mussolini? Eppure si sbagliavano tutti.
        Così è per le religioni: non basta essere in molti a credere in Gesù, in Maometto, in Mosè o in Krishna. Non basta per rendere veri i loro messaggi - che d'altronde si escludono a vicenda.
       Così è certo che miliardi di persone credono a fedi sbagliate.
       In realtà questo mondo è un specie di stazione dove molte persone si incontrano per qualche momento. Ma poi ognuna prenderà una destinazione diversa. Questo è il punto. Non c’è niente di massa. Il destino è individuale, l'anima è individuale. Ognuno nasce da solo, cresce da solo e muore da solo.
       Siamo come legnetti - dice il Ramayana - che s'incontrano e si uniscono nel vasto oceano. Ma poi le correnti e le onde li allontaneranno di nuovo.
       La vera spiritualità non ha niente a che fare con le fedi di massa. Ognuno se la crea con i propri pensieri e i propri atti. E alla fine ognuno prenderà la propria strada, personale, individuale.
       Non c'è un ritorno al Padre. Sarebbe un tornare indietro, una regressione. C'è un andare avanti, verso nuove stazioni...

mercoledì 14 marzo 2018

Religioni della gioia



Ricordiamoci che non esistono solo religioni che esaltano il potere redentore della sofferenza. Ma che esistono anche religioni che esaltano il potere redentore e illuminante della gioia.
       Nel Tantra per esempio troviamo il seguente esercizio: "Quando provi il piacere dell'orgasmo, realizza che quel piacere è la beatitudine divina. Hai trasceso ogni pensiero e ti sei svuotato. Tu sei il dio e lei è la dea. E la beatitudine nasce dall'unione degli opposti". E ancora: "Guarda con amore la persona che ami. Rimani fermo in quell'amore. Lì c'è la luce".
       Similmente in una Upanishad troviamo il seguente paragone: "Come tra le braccia della donna amata un uomo non si ricorda più né del mondo interiore né del mondo esteriore, così questo essere, abbracciato dallo Spirito, non pensa più né al mondo esteriore né al mondo esteriore; e trova la condizione beata in cui ogni desiderio è colmato, dove sono finite tutte le ansie e tutti i dolori".
       Come si vede, siamo lontani dalla concezione penitenziale e repressiva di tante religioni, e si sostiene chiaramente che la gioia e il piacere avvicinano al Divino.
       In effetti è molto più facile percepire il Divino quando si è gioiosi e felici che quando si soffre e si è disperati. La grande sofferenza abbruttisce anche lo spirito.
       L'antica saggezza orientale aveva già capito tutto. Utilizzare gli stati d'animo piacevoli per farne esperienze spirituali.
Diceva Joseph Campbell: “Seguite la vostra beatitudine e l’universo vi aprirà porte là dove prima c’erano soltanto muri.”

martedì 13 marzo 2018

Noi poveri profeti


Il grande difetto degli italiani, ben visibile in queste recenti elezioni, è il sogno utopistico di cambiare la loro condizione non attraverso un lento e pragmatico miglioramento delle cose, ma buttando in aria il tavolo. Il tavolo va in aria, e con esso anche il piccolo ma costante miglioramento.
Non era questa anche l’idea delle Brigate Rosse? Fare una rivoluzione per distruggere tutto, senza sapere poi che fare. Ma allora gli italiani non si fecero incantare. Oggi invece…
Da una recente ricerca sul gioco del poker on line, i giocatori italiani risultarono “pigri, spesso superstiziosi, in genere incapaci di un approccio tecnico-analitico, incapaci di studio e di applicazione, fiduciosi in sensazioni e intuizioni stravaganti… e soprattutto perdenti.”


Per noi poveri profeti moderni, vedere che cosa succederà dal comportamento collettivo e non poter cambiarlo è una vera tortura. Tu parli, ma nessuno ti ascolta.

La creazione della Rete


Oggi, tutti possono comunicare con tutti e non c’è più un punto privilegiato. È vero: c’è stato un inizio. Ma quell’inizio non esiste più, si è dissolto.
Così Dio. È diffuso nella Rete. È presente in tutti i punti.

La conoscenza, così come la intendiamo oggi, è inquadrare le esperienze in schemi e categorie logiche. Spesso si riduce a informazione, senza lo sviluppo di una vera saggezza. E così perdiamo la vita. Diceva T. S. Eliot:

“Dov’è la vita che abbiamo perso vegetando?
Dov’è la saggezza che abbiamo perso conoscendo?
Dov’è la conoscenza che abbiamo perso informando?”

Sì, dobbiamo riconoscere che anche la conoscenza può essere mediocre e ripetitiva. E che è necessario rifondare il concetto e l’esperienza del conoscere.
Lo scopo non può essere una manipolazione della realtà e della mente, ma l’eliminazione di ogni intervento sulla mente. Osservare senza interferire.
Il risultato è l’attenzione della presenza. Lo scopo è cogliere il substrato, la Fonte, al di fuori del tempo e dello spazio, al di fuori di ogni condizionamento.

lunedì 12 marzo 2018

Recuperare la nostra vera natura


Non è vero che non possiamo avere un’esperienza della Realtà Ultima. Ce l’abbiamo in continuazione. Tutti i giorni. Quando andiamo a dormire.
Esistono tre stati fondamentali: lo stato di veglia del giorno, lo stato di sonno con sogni e lo stato di sonno senza sogni. È in quest’ultimo che ci immergiamo nella Realtà Ultima.
Quando ci svegliamo, ogni mattina o anche in un pisolino, possiamo al massimo ricordare qualche sogno, ma non che cosa è successo quando non sognavamo. Eppure, se ci sentiamo rinnovati, freschi, lucidi e pieni di calma e di energia, lo dobbiamo proprio all’immersione in  questo terzo stato: quello di sonno profondo.
Nel sonno senza sogni, ritroviamo il contatto con la Fonte, che non è però qualcosa di definibile o di comprensibile secondo le consuete modalità della nostra mente. Anzi, qui la mente è praticamente inattiva. Ma è proprio in questa inattività che possiamo immergerci nella consapevolezza originaria – una consapevolezza che non ha più oggetti specifici, di questo o di quello, ma del substrato stesso, una consapevolezza che è al di fuori del tempo e dello spazio. È il substrato o la Fonte che ritrova se stessa, donandoci al risveglio un riflesso della sua energia, della sua gioia e della sua luminosità.
Lo stesso avviene anche negli intervalli fra due attività mentali, per esempio tra due pensieri, Poiché la coscienza normale ha una struttura discontinua, ci sono sempre brevi intervalli tra atti mentali, per esempio. quando un pensiero è finito e il successivo non è ancora incominciato. Ebbene, lì siamo a contatto con il substrato, che è puro vuoto sostanziato di consapevolezza.
Se non avessimo questi contatti, moriremmo in breve tempo.
Nel sonno profondo e in tali intervalli, recuperiamo la nostra vera natura, la nostra origine, che più che uno stato è un non-stato, più che un’esperienza è una non-esperienza. Essendo una non-esperienza, non possiamo ricordare nulla. Ma ne ricaviamo quel bagno purificatore in un’energia che poi dilapideremo nelle attività della giornata e della mente.
Nel sonno senza sogni ritroviamo il fondamento di tutti gli stati, quel Soggetto che invano di giorno cerchiamo con la mente, quel vuoto sostanziato di consapevolezza che è l’origine di tutto.
Ecco la meditazione naturale alla portata di tutti.
Provate a verificare.

domenica 11 marzo 2018

Chi siamo veramente?


Chi siamo noi? Ovviamente, al di là delle differenze individuali, siamo coloro che percepiscono, che pensano, che sentono, che sono coscienti. Siamo in breve il soggetto di tutte queste azioni. È una deduzione logica. E ognuno crede di sapere chi è.
Quando però cerchiamo di percepire tale soggetto, che ci sembra così ovvio, ci troviamo di fronte a una sorpresa spiacevole. Da una parte ci sembra di sapere intuitivamente chi siamo, ma dall’altra parte non riusciamo a circoscrivere chi siamo. Siamo. Ma chi siamo? Dov’è questo soggetto dell’essere?
Quando lo cerchiamo non lo troviamo, per il semplice motivo che ci dev’essere sempre il soggetto di queste nostre ricerche e di queste nostre conoscenze. In parole povere, c’è sempre un soggetto che ci sfugge.
Non possiamo percepire il percettore ultimo, perché ce ne sarà sempre uno ancora più ultimo che è consapevole di questo soggetto.
È come  cercare di cogliere la propria ombra: quando ci spostiamo e facciamo un passo avanti o indietro, anche l’ombra lo farà.
Diamo per scontato quindi di esserlo, in un modo empirico e pragmatico, ma non possiamo farne oggetto di una conoscenza rigorosa. Questo succede anche a livello psicologico. Sappiamo all’ingrosso chi siamo. Ma molto ci sfugge.
Dunque noi sappiamo chi siamo solo finché non cerchiamo di conoscere obiettivamente chi siamo. Ed è logico. Non possiamo oggettivare il soggetto.
Anche l’essere, l’ “io sono”, è una fede, una fiducia. Ma non può essere provato.
Possiamo esserlo, ma non possiamo provarlo. C’è sempre qualcosa di più che ci abita e che ignoriamo.
Teoricamente, potremmo anche non essere ciò che diciamo di essere. E in certi momenti questo ignoto io, questo io che ci abita a nostra insaputa, salta veramente fuori.
Allora, ripeto la domanda: chi siamo noi?    
Siamo coloro che non sanno che cosa sono.
Il problema di non sapere o di sapere solo approssimativamente chi siamo ci insinua un terribile sospetto. Potremmo essere solo una maschera… sotto la quale chissà chi c’è.
Indagate in tal senso. Domandatevi continuamente, nelle più disparate situazioni, chi siete: “Chi sono io?”
Io sono certamente colui che è consapevole, anzi sono la consapevolezza stessa – che sta prima di ogni conoscenza. Sono il Testimone ultimo. Che è inafferrabile finché lo inseguiamo. Ma che può essere colto solo essendolo, non in un atto di conoscenza (duale), ma in un atto di disidentificazione dal presunto noto e di sintesi dell'auto-essente.
Questa è la meditazione profonda. Ma, a questo punto, il soggetto che credevamo di essere, è già svanito da un pezzo e noi siamo in un’altra dimensione.

sabato 10 marzo 2018

La nausea


Nascere e morire, nascere e morire, nascere e morire… tutti i giorni, tutte le ore, tutti i minuti… e in mezzo miliardi di esseri viventi che replicano tutti le stesse cose: mangiano, defecano, crescono, si riproducono, lottano, competono fra loro per il sesso, il denaro e il potere, invecchiano, si ammalano, muoiono… fanno le stesse cose, hanno gli stessi pensieri, provano le stesse emozioni e le stesse paure, credono di essere unici, si chiedono se sono eterni e se esiste un Dio o un’anima, e infine immancabilmente muoiono, senza minimamente che ci si ricordi dei miliardi di individui vissuti prima, senza nome, senza storia…
C’è qualcosa di mostruoso nell’essere, nella vita: una fame insaziabile, una sete che non si placa mai, che non si soddisfa mai, che ha bisogno di ripetere ossessivamente sempre le stesse azioni, finché uno non abbia un’idea nuova. C’è qualcosa che non vuole fermarsi, che non vuole ragionare, un istinto, una spinta, uno slancio che conta sul numero per andare avanti, incurante di chi si lascia dietro. Come le formiche o le api, tutte al servizio di un unico individuo, tutte al servizio dello stesso scopo… che nessuno sa quale sia.
C’è qualcosa di maniacale, di ossessivo…
Se non ne potete più, se ne avete abbastanza, se vorreste fermare l’implacabile e insensata marcia, incominciate a capire il punto di vista orientale, la sua nausea per l’esistenza e il suo desiderio di uscirne e di non rientrarci mai più. Tutto il contrario del nostro desiderio infantile di sempre nuova vita.
Può essere una questione di evoluzione o di maturità. Qualcuno la chiama illuminazione. Qualcuno la chiama stanchezza. In questo siamo diversi.

venerdì 9 marzo 2018

Meditazione come liberazione


Quando diciamo “io sono… questo”, diciamo contemporaneamente che non siamo tante altre cose. E sono più le cose che non siamo di quelle che siamo. Apparteniamo ad un “campo dell’essere” che restringe se stesso ad una piccolissima cosa, ad un individuo. È come se in un oceano ritagliassimo, con un qualsiasi contenitore, un circoletto di un centimetro di diametro. Ma una volta rimosso il confine del circoletto, quel po’ di acqua separata tornerebbe a far parte dell’immenso oceano.
Se seguiamo questo ragionamento, capiamo che cosa significhi meditare: togliere il circoletto che delimita l’acqua e tornare ad essere l’oceano.
Se poi, invece di capire razionalmente, sentiamo il procedimento nella realtà, stiamo effettivamente meditando, realizziamo la meditazione.
In tal senso, meditazione è liberazione – liberazione dalla strettoie.

Compravendite religiose


Quando preghiamo per ottenere qualcosa, quando compiamo offerte o rituali religiosi, cerchiamo di ottenere qualcosa in cambio, non siamo diversi dai cambiavalute le cui bancarelle Gesù rovesciò nel Tempio.
In altri termini, facciamo mercato, vorremmo mercanteggiare con Dio. Io do una cosa a te e tu dai una cosa a me.
Ma temo che la “logica” divina non segua le regole delle nostre compravendite.

L'instancabile divenire


Dal punto di vista di noi mortali, la morte sembra inevitabile. Ma dal punto di vista delle cose morte, anche la vita sembra inevitabile. Un andirivieni continuo.
Un universo senza pace.
Perché tutto devi muoversi e cambiare. Niente rimane uguale a se stesso. Né la vita, né la morte.

giovedì 8 marzo 2018

Arrivare alla Fonte


Viviamo sempre nel paradosso: i pensieri e le parole ci travisano e ci nascondono la realtà, così come i vestiti coprono e nascondono il corpo.
Ma non abbiamo altri strumenti per conoscere. O, comunque, è la nostra mente che deve compiere sforzi per capire. E, per farlo, per comprendere (cum-prehendere), dobbiamo allargare la mente, facendola sempre più trasparente, fin quasi a dissolverla, in modo da far trasparire ciò che sta sotto – il corpo nudo, la realtà, la Fonte.
Chi l'avrebbe mai detto che per conoscere dobbiamo farci trasparenti?

La penosa condizione umana


Non mettiamo, noi uomini, la pena di morte. Lasciamo che l’unico boia sia Dio.
Dopo la pena di vita, anche la pena di morte.
No, nessuno ci regala niente.

mercoledì 7 marzo 2018

E adesso, pover'uomo? Il dopo elezioni


Avevamo detto che questa legge elettorale era stata fatta per non far vincere nessuno, per non far governare nessun partito. E così è successo.
Il risultato è che l’Italia sarà sempre più debole, sarà sempre meno autorevole, conterà sempre meno in Europa.
Il problema nasce tutto dalla legge proporzionale, approvata peraltro dai tre maggiori partiti. Chi ha una certa età si ricorda che, quando votavamo con una legge proporzionale, ai tempi della DC, i governi duravano pochi mesi e cadevano subito. C’erano perfino i “governi balneari” che duravano solo un’estate.
Poiché l’Italia è sempre divisa da secoli in tre parti, nord, centro e sud, e poiché gli italiani sono sempre divisi su tutto, se si vota con un sistema proporzionale, se non si dà un premio di maggioranza, se non si fa un ballottaggio, nessuno avrà mai i numeri per governare. E il risultato sarà sempre uno stallo.
Non servirà a niente tornare a votare se non si cambia la legge elettorale. Occorre prima cambiare questa legge in modo che la nuova dia una sicura maggioranza e imponga delle scelte.
Questo fra l’altro impedirà che le campagne elettorali seminino odio e divisioni incolmabili. Ognuno dovrà invece tener conto del fatto che dovrà allearsi ad un certo punto con qualcun altro.
Già l’italiano è un individualista. Se non so gli si dà lo stimolo ad allearsi, se ognuno vota per sé, rimarremo un’accozzaglia di partiti e di individui senza coesione. E l’Italia declinerà.

Allungare la vita


La realtà può essere paragonata al nostro corpo nudo. Noi uomini subito lo ricopriamo con dei vestiti –i pensieri - che ci aiutano a comunicare, ma che lo nascondono alla vista. Poi vi aggiungiamo soprabiti e cappotti – le parole -  che lo occultano del tutto. Così si smarrisce il senso del corpo nudo, della realtà, e nasce un rivestimento del tutto artificiale.
In particolare, pensieri e parole ci creano una distinzione tra passato, presente e futuro, il tempo. Ma la realtà è al di fuori del tempo ed è sempre in un eterno presente. Il passato e il presente sono solo pensieri che avvengono nel presente.
La memoria è un contenitore specializzato di pensieri, che sono sempre nel presente. Ma il passato è solo un pensiero sul passato e il futuro è sempre un pensiero sul futuro – di un qualcosa che è al di fuori del tempo.
Tutto è creato dalla nostra mente, che ci fa credere che le cose avvengano in tempi differenti. Ma il tempo resta un rivestimento artificiale e illusorio. Se togliete pensieri e parole, state nel presente. Ogni istante che rimanete senza pensieri, è un istante di più sottratto al divenire del tempo, cioè della mente. UN istante di più di vita.
Il tempo non scorre al di fuori del nostro pensarlo. Tutto avviene in un eterno presente. Se riuscite a fare il vuoto mentale per cinque minuti, la vostra vita si allungherà di cinque minuti.
Non scorre il tempo, scorre la mente.

martedì 6 marzo 2018

Essere intelligenti


Dio è come il sole: brilla continuamente e imparzialmente per tutti. Ma spetta a noi sfruttarne la luce e l’energia. Se siamo di notte, e preghiamo per avere la luce, la luce non apparirà.
Il problema che Dio è al di là del bene e del male, e quindi ciò che è bene o male per noi, non lo è per lui. È mai sceso un angelo a fermare un terremoto o a fermare la mano di un assassino? Voi pregate, ma non riceverete nessuna risposta… e se riceverete qualche intuizione o ispirazione, saranno dovute alla vostra sensibilità, alle vostre doti.
Quando viene un terremoto,non si fa nessuna distinzione fra credenti e non credenti, tra buoni e cattivi, e i primi edifici a crollare sono le chiese.
A volte, ciò che credete sia un aiuto divino è in realtà dovuto ad alla vostra mobilitazione interiore che avviene anche se credete di star pregando Dio, di rivolgervi ad una forza esteriore.
Dio – la forza creatrice, ha dei limiti, gli stessi che ha posto al mondo. Se uno è scemo, non potrà diventare intelligente, se uno è confuso non potrà vedere chiaramente, se uno è inconsapevole non potrà diventare consapevole… che creda o non creda in Dio.
Se non conosciamo noi stessi, se non ci liberiamo dell’ignoranza egocentrica, dei pregiudizi, se non capiamo come funziona il mondo, se non mobilitiamo le nostre stesse forze, se non diventiamo più intelligenti, se non guardiamo le cose e i processi senza interpretazioni soggettive, anche in un’altra vita – ammesso che esista – rimarremo stupidi e non servirà pregare qualcuno. Sprecheremo la nostra occasione. Non ci libereremo della sofferenza.
I tibetani dicono che, dopo la morte, la nostra mente sarà sette volte più intelligente. Speriamo, altrimenti non usciremo dalle nostre illusioni.
Solo la conoscenza ci libera: l’amore e la fede non bastano. Anzi, sono ciechi e sordi.

lunedì 5 marzo 2018

Parole del Buddha


Considera l’esperienza che fai
come una stella all’alba,
come la bolla in un fiume,
come un lampo,
come il bagliore di una lampada,
come un raggio di luce,
come un fantasma,
come un miraggio,
come un sogno… tutte cose che durano poco e poi finiscono.
Ecco un modo per affrontare le sofferenze del mondo e, in realtà, tutte le esperienze, anche quelle ritenute positive.
Mai attaccarsi – essere sempre pronti al distacco. Il mondo è come una fornace il cui fuoco viene alimentato da pezzi di carbone o di legna. Che siamo noi e tutti gli esseri viventi.
Vengono buttati dentro per essere bruciati.

Lo stallo


L’idea che per risolvere i problemi di un paese ci si debba mettere tutti insieme, competere e darsi da fare è uno degli assiomi della nostra mentalità sociale-politica-religiosa. Sbagliato.
Più ci mettiamo insieme, più ci diamo da fare e più lottiamo, maggiore saranno la confusione e la tensione.
Dovremmo fare l’esatto contrario. Seguire l’anti-logica della meditazione.
Datevi il meno da fare, isolatevi, riposatevi, rilassatevi e sciogliete ogni ressa, ogni folla. Sì, perché era questo superimpegno che ha dato origine ai problemi, alla confusione e alla tensione.
Tanto per fare un esempio, se aumentate la tensione in una rete o in un circuito elettrico-magnetico (e il nostro cervello lo è), brucia tutto.
Solo abbassando la tensione individuale e sociale, risolverete i problemi.
Guardate l’Italia: ci siamo messi tutti insieme per risolvere i problemi socio-politici-economici, e il risultato qual è? Lo stallo.

domenica 4 marzo 2018

Pensieri sporchi


A volte certi pensieri sporcano lo spirito, non perché siano pensieri sporchi (di sesso, di potere, di invidia, di odio o di violenza), ma perché turbano la calma che si è creata nel nostro spirito e lo costringono a riabbassarsi nella realtà e nelle necessità di tutti i giorni.
Scendiamo dalla vette e ritorniamo nella bassa pianura, con tutto il suo inquinamento.
I pensieri sono sempre sporchi.

La consapevolezza del respiro


Quando diciamo che dobbiamo essere consapevoli o che dobbiamo sviluppare la consapevolezza (per esempio del respiro) usiamo un concetto giusto, ma non riusciamo a comunicare la qualità e l’intensità di questa consapevolezza. Che non è un semplice “essere coscienti di”, ma anche un godersi.
Ecco, sarebbe meglio dire che dobbiamo assaporare e goderci ogni inspirazione e ed espirazione. E poi, però, anche essere consapevoli che questo respiro è il ritmo della vita, e che ci segue e varia ad ogni istante, e che la nostra esistenza ha la stessa consistenza di un respiro, niente di più.
Allora vediamo la vita stessa come un’evanescente sogno, pronto a dissolversi. Un’illusione.
Anche qui le parole non riescono a contenere e ad esprimere il sentimento di meraviglia e di angoscia di questa scoperta. Siamo destinati a vivere per morire. Siamo fuscelli trasportati dal vento, siamo nuvolette che passano e si dissolvono.
E vorremmo essere eterni.

Il matrimonio cattolico


San Paolo ha dal matrimonio un’idea squallidamente repressiva. “È meglio sposarsi che ardere.” Non parla né di affetto di amore. Il matrimonio, per questo Padre fondatore della mentalità cattolica serve solo a contenere l’impulso sessuale. Nient’altro. E che la donna sia sottomessa al marito! “La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito…” “Perché la donna deriva dall’uomo.”
E poi le donne si lamentano di essere sempre state trattate da schiave e oggi le suore si lamentano di fare semplicemente le serve di preti, vescovi e cardinali!
Hanno semplicemente ciò che la loro religione vuole che siano.
L’emancipazione delle donne non può che passare dalla contestazione delle loro religioni paternalistiche e maschilistiche.