mercoledì 31 luglio 2013

Buddhismo tibetano

Secondo il buddhismo tibetano, esistono quattro situazioni in cui possiamo sfuggire al controllo della mente, con tutti i suoi effetti distorsivi, e vedere la realtà ultima. Queste quattro situazioni sono intervalli, più o meno lunghi, in cui cessa il potere proiettivo della mente.
Il primo è quello del sogno, in cui scompare la realtà dello stato di veglia e si entra in un altro spazio. Il secondo è quello della meditazione, in cui la mente dimora in uno stato di assorbimento o 'samadhi'. Il terzo è quello della morte, che è presente nei momenti prima della morte fisica. E il quarto è quello della 'dharmata', che subentra subito dopo il momento della morte.
A questo punto, se non abbiamo riconosciuta la realtà ultima, cioè se non ci siamo risvegliati, vaghiamo per 49 giorni, vivendo esperienze intense ma confuse in cui diventa sempre più forte il desiderio di una rinascita. Entrando infine in una nuova vita, siamo soggetti a tutte le esperienze di questo mondo, con le sue sofferenze e la sua confusione. E tutto ricomincia da capo.
Ovviamente, se in vita abbiamo appreso le idee giuste e se abbiamo almeno riflettuto sulla natura di questo mondo, abbiamo più probabilità di risvegliarci in uno di questi intervalli e di non desiderare più di rientrare in questa dimensione della sofferenza e della morte. Scoprendo la natura luminosa della realtà, 'capiamo' che esiste un'altra possibilità di 'vita', fondata su una maggiore consapevolezza e non più legata al ciclo delle nascite e delle morti.
I quattro intervalli naturali che ci vengono offerti sono periodi in cui cessa quella specie di sonno in cui viviamo abitualmente, caratterizzato da una visione confusa e illusoria, e ci si presenta la possibilità di essere più consapevoli e di vedere chiaramente.
Dei quattro intervalli, quello legato alla meditazione è l'occasione alla portata di tutti. Lì possiamo lavorare per rendere più chiara la visione, per prepararci ad essere meno confusi prima e dopo la morte.
Sappiamo che tutti i metodi di meditazione si riducono a due grandi categorie: "shamata" e "vipashyana o vipassana". Nella prima si tratta di trovare la calma e di rendere stabile la mente, non più soggetta alle oscillazioni degli stati d'animo disturbanti e disturbati. Nella seconda si tratta di osservare non più questo o quello, ma la nostra stessa consapevolezza priva di contenuti, raggiungendo una visione profonda.
Meditare non è pensare a qualcosa di specifico, ma andare al di là dei concetti mentali.
Chi crede in Dio, pensa di poter essere salvato da qualche divinità. Ma nessun Dio può gestire la nostra mente: non esiste l'elisir della saggezza, né tanto meno quello dell'intelligenza.

martedì 30 luglio 2013

Meditare e vedere

Meditare assomiglia a camminare in una nebbia fitta o nel fumo. Si vede tutto a stento e confuso, ci si muove a tentoni, non si sa bene dove si sta andando, ma si cerca di vedere meglio, di vedere con chiarezza. Oppure assomiglia a un miope che ci vede male e che cerca di mettersi un paio di occhiali: ne prova parecchi; all'inizio fa fatica, ma poi trova quelli giusti.
Anche san Paolo scriveva che quaggiù noi vediamo "come in uno specchio", ma un giorno vedremo "a faccia a faccia". È sempre la vecchia idea che qua si veda confusamente e scarsamente, ma che si possa vedere con più chiarezza.
La differenza tra Oriente e Occidente sta nel fatto che il secondo pensa che, per vedere con più chiarezza, si debba attendere la morte, e che "vedere" significhi incontrare qualcuno "a faccia a faccia". Il primo invece pensa che quaggiù ci si debba addestrare a schiarire la mente e che si debba incontrare non una "persona", seppure divina, ma la realtà ultima.

Il peccato di presunzione

Una frase intelligente detta da Papa Francesco sull'aereo che lo riportava dal viaggio in Brasile è stata: "Se un gay è alla ricerca di Dio... chi sono io per giudicare?" Ecco, appunto. La Chiesa dovrebbe smetterla di giudicare non solo nel caso dei gay ma anche in tanti altri casi.
Dovrebbe smetterla di sostituirsi al giudizio divino. Questo sì che è un gran peccato - il peccato dei preti. Ma non è proprio questo il peccato dei peccati? Non è il peccato di orgoglio, quello da cui partono tutti gli altri?
Anche secondo la Bibbia, Adamo fu condannato perché voleva farsi uguale a Dio.
La presunzione di aver la verità in tasca e di poter giudicare i comportamenti umani. "Tu che sei un uomo e ti fai Dio..." Purtroppo, è un vecchio vizio, che parte proprio dai Vangeli.

lunedì 29 luglio 2013

Le lobby gay

Povero Francesco! Lui vorrebbe moralizzare la Chiesa e combattere le "lobby gay" che comandano in Vaticano, ma che cosa va a fare? Elegge per riordinare lo IOR il bresciano Battista Ricca, che in Uruguay è famoso per essere un omosessuale e per aver a lungo convissuto con un suo mantenuto, un capitano dell'esercito svizzero.
Ah, ho l'impressione che le "lobby gay" siano più forti di questo Papa.

Il momento della verità

In ogni momento nasciamo, in ogni momento moriamo. Ogni momento nasce, ogni momento muore. Quanto dura un momento? Diciamo un attimo, un istante. Un attimo eravamo lì e ora siamo qui. Un attimo eravamo così e ora siamo un pochino o molto diversi... È bastato un attimo. I pensieri vanno e vengono in uno o più attimi; e lo stesso le sensazioni e le emozioni. Ogni cosa nella nostra realtà ha una struttura discontinua, momentanea, temporanea. Ci sono cose che durano di più, magari tutta la vita - per esempio il senso dell'io. Ma poi passano anche loro. E, in ogni caso, che cos'è la durata di una vita umana rispetto ai miliardi di anni di vita dell'universo? Già, ma anche l'universo non è che un attimo.
Questo vuol dire che noi viviamo sempre a cavallo tra due attimi - più o meno lunghi. Viviamo in un intervallo, in uno stato di passaggio, tra un attimo e l'altro - ciò che i tibetani chiamano «bardo». Il tempo segue questa linea discontinua: un momento prima era il passato, ora è il presente e fra un istante sarà il futuro. Ma in realtà tutti i nostri ricordi e le nostre anticipazioni avvengono nel momento presente.
Viviamo sempre nel presente, anche quando ricordiamo o fantastichiamo sul futuro. E anche quando moriremo, moriremo in un presente, in un qui e ora. Ma la cosa più assurda è che non riusciamo mai a cogliere l'istante presente. È come cercare di afferrare la propria ombra. Siamo sempre nel presente, ma, non appena cerchiamo di afferrarlo, è già passato. Un attimo è troppo breve. Ci sfugge subito.
Eppure questa è l'esperienza che dobbiamo fare se vogliamo capire che cosa sia la realtà. La realtà è quell'attimo lì, è nel qui e ora, che ci sfugge sempre.
In ogni momento siamo a un bivio e in ogni momento perdiamo l'occasione. Perché l'attimo sfugge subito e noi non lo afferriamo. Così ci sfugge l'essenza della realtà. Magari viviamo cent'anni e non so quanti miliardi di attimi, ma l'occasione ci sfugge sempre. Ci sfugge la vera natura della realtà, ci sfugge la vera natura della mente, che è sempre nel presente, consapevole, luminosa e trasparente.
Forse è meglio rallentare un po' il ritmo della vita e il ritmo della mente, e rilassarci. Anziché inseguire la nostra coda, come fa il gatto, fermiamoci a guardarla. È sempre lì, è sempre qui. Non c'è bisogno di inseguirla.
Se riconoscessimo la vera natura della realtà, la vera natura della mente, scopriremmo che è sempre stata lì, anzi qui, e che siamo stati noi a perderla... per il troppo desiderio di afferrarla. Calmiamoci e guardiamo. Un attimo è più che sufficiente - e ne abbiamo a disposizione parecchi.

sabato 27 luglio 2013

Una vista divina

In alcuni film ci viene raccontata l’intera storia di qualche personaggio. Lo vediamo nascere, diventare un bambino, poi un ragazzo, poi un giovane, poi un uomo maturo, poi un vecchio e infine lo vediamo morire. Fine della storia?
Ci accorgiamo benissimo di come il personaggio si trasformi continuamente attraverso le varie età della vita. È sempre lo stesso individuo, ma cambia minuto per minuto. Questa è anche la nostra esperienza, solo se abbiamo una certa età. Ma anche noi abbiamo una visione parziale delle cose, perché ci siamo dentro. Sappiamo che cambiamo, ma non ce ne rendiamo conto sul momento. Cambia il corpo e cambia la mente. E tuttavia qualcosa di fisso rimane, perché sappiamo che la persona è la stessa.
Ora, se fossimo dei fantasiosi registi che credono nel karma, potremmo andare avanti, e immaginarci altre vite, o andare indietro, e rievocare altre incarnazioni. Insomma l'individuo è sempre lo stesso, ma cambia e non si ricorda più chi è stato - come succede a certe persone colpite da amnesia. Se potessimo avere una visione divina, avremmo presenti tutte queste esistenze e sapremmo che cosa cambia e che cosa rimane uguale.
Noi pensiamo che con la morte finisca il nostro divenire, ma potremmo considerarla un'ulteriore trasformazione. Il problema è che non vediamo più il corpo. Se però il corpo avesse una trasformazione in qualcosa di non visibile ai nostri occhi attuali, potremmo ipotizzare una prosecuzione sotto un'altra forma. E allora dovremmo anche capire com'era ancora prima di nascere. Sotto quale forma esisteva? In fondo, in Oriente si crede a vari tipi di corpi, per esempio al «corpo sottile» o al «corpo causale».
È certo che dal nulla non nasce nulla. Se dunque una persona nasce, ha origine da determinate condizioni; e queste condizioni sono in un certo senso il suo corpo precedente. Quando infine muore, si creano altre condizioni che daranno origine ad un'altra forma di vita. Insomma, se potessimo avere una vista più potente e comprensiva, potremmo davvero vedere le trasformazioni di ogni individuo e capire come nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.
È una questione di capacità mentali. Oggi la nostra mente è molto limitata, miope e ha un campo visivo ristretto. Ma, se fossimo capaci di allargare la nostra visione, ci accorgeremmo della complessità, delle infinite interrelazioni fra le cose, della fluidità, della dinamicità e della continuità di ogni individualità nell'universo. Certo, è una questione di vista. Bisogna rinforzare la vista.
In conclusione, la nostra vita attuale è come la punta di un iceberg, che nasconde al di sotto una massa ben più ampia… anche se non visibile. Il “prima” della nascita e il “dopo” della morte ci rimangono nascosti, perché non abbiamo una vista ben sviluppata. Ma, se avessimo una vista divina, potremmo avere una visione d’insieme di tutto ciò che è e verremmo colti da un’immensa meraviglia.

Lourdes e Santiago di Compostela

Mentre il Papa miete grandi consensi in Brasile, confermando che il cristianesimo è ormai una religione del terzo mondo, qua da noi, dopo l'alluvione di Lourdes, si assiste al deragliamento del treno che andava a Santiago di Compostela. Anche i santi protettori non ce la fanno più.
PS. All'ultimo momento apprendiamo che un pullman è precipitato in Irpinia uccidendo 38 persone. E dov'erano andate? Al santuario di san Pio di Pietrelcina.

mercoledì 24 luglio 2013

L'Autogeno

Qualcuno si è domandato e si domanda: ma chi ha premuto il grilletto del Big Bang?
La risposta più ovvia è Dio. Ma chi è Dio? La Causa Prima. E perché ci deve essere una Causa Prima? Perché tutto ha una causa e non possiamo andare all'indietro all'infinito. Dunque, Dio non è stato creato da nessuno, ma si è creato da solo. È l'Autogeno.
Però, noi non abbiamo esperienza di esseri che si siano creati da soli. Tutto ha avuto una causa. Da dove ci viene allora l'idea che ci sia qualcosa che non ha causa e si è creato da solo? Da niente di sperimentabile: solo dalla nostra mente, che non riesce a concepire nient'altro. Dobbiamo mettere un punto fermo.
Insomma, tutto ha una causa. Ma Dio non ce l'ha.
Quindi, se crediamo in Dio contraddiciamo la nostra stessa logica. La logica e l'osservazione ci dicono una cosa. Ma poi noi la neghiamo per uscire dalle incapacità e dalle contraddizioni della nostra mente.
Forse, per emergere dalla confusione, dovremmo fare un po' di silenzio mentale... nella consapevolezza che la nostra logica spiega soltanto una piccola parte della realtà. Ecco il punto: abbiamo uno strumento che non può vedere al di là dei propri limiti.
Tuttavia anche il rapporto di causa-effetto può essere messo in crisi. Noi vediamo consecutivamente azioni che in realtà avvengono contemporaneamente. Tutto è presente da sempre. È il senso del tempo, dello scorrere del tempo, di un prima e di un dopo, che ci dà l'idea di un divenire. Ma questo senso del tempo è una delle categorie della mente che conosce.

Del resto, tempo e spazio sono un tutt'uno. Noi vediamo come un processo temporale ciò che è un semplice spostamento nello spazio. Ma lo spazio, il tavolo da gioco, non cambia. E uno dei giocatori è la nostra coscienza.

Due Iddii

Gli scienziati hanno scoperto che il cosmo ebbe inizio tredici miliardi di anni fa con un'immensa esplosione, il famoso Big Bang, che sprigionò particelle elementari che si scissero e si collegarono per dare origine a miliardi di galassie e trilioni di stelle. Va solo notato che per un lunghissimo tempo non ci fu nessun segno di vita e che la stragrande maggioranza dei pianeti è solo un composto di gas, di rocce, di polvere e di deserti senza traccia di esseri viventi, nemmeno elementari. Insomma, un'immensa carcassa di corpi morti e in apparenza senza senso.

Non è questa però l'immagine di Dio che ci viene dalle religioni. Per esempio, nella Bibbia, Dio creò il mondo in sei giorni e poi si riposò. Ed è più sensato. Perché mai Dio dovrebbe aver creato prima particelle e poi aver aspettato miliardi di anni per dar vita a qualcosa? Non pare logico. C'è sempre una discrepanza tra ciò che affermano le fedi in Dio e ciò che la scienza scopre.
         Il Dio degli scienziati, chissà perché, assomiglia più ad uno scienziato o a un laboratorio di fisica che ad un Dio Persona.

D’altra parte, il Dio Persona ha tutta l’aria di essere una creazione della fantasia umana.

domenica 21 luglio 2013

Marta e Maria: il valore della contemplazione

Nel capitolo 10 del Vangelo di Luca, si narra che un giorno Gesù entrò nel villaggio di Betania, dove fu ospitato da due sorelle, Marta e Maria. Mentre Maria ascoltava Gesù seduta ai suoi piedi, Marta si dava un gran daffare con vari servizi e non stava ferma un attimo. Allora Gesù la rimproverò: "Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta".
Che cos'è questa "parte migliore"? Ovviamente è lo stato di ascolto, l'assorbimento non nelle faccende domestiche ma nella contemplazione. Lo stesso Gesù, pur preso tra mille impegni, ogni tanto si ritirava in un luogo solitario, lontano dalla gente e dai suoi stessi compagni, e là si metteva a contemplare in silenzio, senza l'uso di parole.
In genere il cristiano ricorre in questi momenti alla preghiera. Ma ricordiamo che la preghiera più elevata è quella contemplativa, dove si sta semplicemente alla presenza del Divino senza l'uso di parole e neppure di pensieri. In Oriente si parla di meditazione, di presenza mentale... più o meno con lo stesso significato.
Essere contemplativi significa proprio fare il vuoto mentale per essere completamente assorti nell'oggetto di contemplazione. Tutte le nostre parole, tutti i nostri pensieri, infatti, sono condizionati, limitati e incapaci di rivolgersi al Divino; sono inoltre legati ai nostri desideri, a ciò che vogliamo chiedere, ai nostri interessi individuali. Mentre il modo migliore per avvicinarsi alla Trascendenza è fare piazza pulita delle attività mentali e del senso dell'ego, che ne sta alla base. Stare in silenzio.

La fine dell'anima

Paradossalmente, il buddhismo, che nega l'esistenza di un'anima, ci dice che i desideri insoddisfatti portano ad una nuova rinascita e dunque sono, se non una forma di immortalità, una garanzia di tante rinascite. Il meccanismo delle rinascite si fermerà solo quando non avremo più desideri insoddisfatti e capiremo che non vale più la pena rinascere, quando insomma cesserà la brama di vita. Per il buddhista, rinascere in questo mondo è una sconfitta, mentre per noi, dominati da desideri insaziabili, è una pacchia. Ma il problema è che, rinascendo anche mille o diecimila volte, non sfuggiremo alla sofferenza.
Per sfuggire alla sofferenza bisogna uscire dal ciclo di vita-morte in maniera definitiva e non avere più un desiderio di vita, perché si è capito che la vita non può dare più di tanto. La fine della brama di vita, che significa accentrarsi intorno ad un io, con tutte le limitazioni del caso, è la fine del processo di reincarnazione e dunque segna la liberazione ultima.
Contiamo allora i nostri desideri insoddisfatti - e avremo il numero di esistenze che ci toccherà ancora rivivere.
Ma alla fine che cosa avremo se non c'è un'anima che possa goderselo? Il Buddha dice che c'è pur sempre qualcosa ("non nato", "non composto", ecc), anche se non è definibile, dato che non è più pensabile con le nostre abituali categorie mentali. Ma qualcosa c'è. Non è l'annientamento completo, ma l'estinzione di una vita basata sull'ego, cioè sulla divisione sia verso noi stessi sia verso gli altri.
Ecco, noi non ragioniamo mai sul fatto che l'io è profondamente diviso, anche interiormente, e che noi non siamo veramente noi stessi, ma qualcos'altro. È questa divisione, questa pretesa di separatezza, che alla fine deve scomparire. Questa vita è fondata sull'ego-centrismo e dunque sulla morte.

venerdì 19 luglio 2013

Il potere di Maya

Ci sono cose che diamo per scontate, ma che scontate non sono. Una di queste è il tempo.
Anche il tempo, con la sua ordinata ma imprecisa suddivisione in passato, presente e futuro, è una convinzione che può essere messa in dubbio. Quando infatti rievochiamo qualche avvenimento del passato, lo facciamo in realtà nel presente; e lo stesso avviene quando pensiamo al futuro. Non ci troviamo quindi mai in un passato o in un futuro. Si tratta di costruzioni concettuali. Tutto avviene nel momento presente. Ma il presente viene a sua volta pensato a partire dalle idee di passato e di futuro; e, se tutto accade qui e ora, anche il presente non può essere definito.
Aveva ragione Einstein a parlare dello spazio-tempo come di un tutt'uno. Il passato è qualcosa che sta dietro, il futuro qualcosa che sta avanti. Quando sto ne passato, compio un passo indietro; quando sto nel futuro, compio un passo avanti: mi sposto nello spazio.
Che ora è? È qui...
Oh, sì, siamo abituati a comprimere la realtà in precise camicie di forza, che sono i nostri concetti. E crediamo che i nostri concetti corrispondano a qualcosa di reale. Ma la meditazione dissolve anche questa certezza, abbatte le corazze delle nostre convinzioni e dei nostri attaccamenti. Tutto è terribilmente o mirabilmente inconsistente, effimero, labile, cangiante, impermanente.
Dove viviamo, allora? Che cos'è questa specie di mondo che circola nel vuoto? E che cos'è questo universo che sembra fatto di nulla? Forse la risposta ci viene da Shakespeare ne La tempesta:

“Questi nostri attori,
come vi ho già detto, erano tutti degli spiriti,
e si sono dissolti nell'aria, nell'aria sottile.
Come l'infondato edificio di questa visione,
così si dissolveranno le torri, le cui cime toccano le nubi,
i sontuosi palazzi, i tempi solenni, lo stesso immenso mondo
e tutto ciò che esso contiene,
e, al pari di questo incorporeo spettacolo svanito,
non lasceranno dietro di sé la più piccola traccia”.

Tutto è maya, un'illusione magica. E, tra i responsabili di questo gioco illusionistico, c'è la nostra stessa mente.

giovedì 18 luglio 2013

Prendere le distanze

Quando invitiamo alla pratica del "prendere le distanze" ci riferiamo all'atteggiamento del diventare osservatori del mondo e dei riflessi del mondo in noi stessi. Si tratta quindi della pratica della presenza mentale o dell'attenzione. Ma non bisogna cadere nel vizio di essere sempre scissi, di essere divisi: "l'osservatore è qui e il mondo è la fuori". Non ci dimentichiamo infatti che siamo pur sempre tutti uniti in un'unica rete, in un intreccio di rapporti di interdipendenza. Nessuno esiste da solo.
In effetti un comportamento saggio comporta un certo distacco, una certa presa di distanza sia dagli altri sia da noi stessi, perché non esiste un altro modo per conoscere le cose. Ma bisogna stare attenti al pericolo di farne una sorta di difesa o di corazza, di guardare tutto come se fossimo al di là di un vetro, perché questo sarebbe una ritirata o un evitamento, ossia un atteggiamento psicologico malsano che crea una sorta di alienazione, di estraniamento, che sarebbe il contrario della saggezza.
Quando si medita si prendono le distanze, ma, quando si vive, si vive: bisogna essere aperti alle esperienze.

La funzione della meditazione

A che cosa serve la meditazione? Di solito si dice che il suo scopo è l'illuminazione. Ma l'illuminazione è in sostanza un veder chiaro. Man mano che si aumenta la luce in un ambiente che era in penombra o al buio, si vede sempre più chiaro, si scorgono sempre più cose. Ora, "vedere" significa non solo osservare, scorgere, ma anche capire. Allora, lo scopo della meditazione è vedere sempre più chiaro e comprendere sempre di più ciò che siamo e il mondo in cui ci troviamo: è capire la vita e la morte.
Dunque la meditazione non è cosa da poco - è ciò che ci fa realizzare questa esistenza.

mercoledì 17 luglio 2013

Lampi di illuminazione

"Vieni a vedere!" dice il Buddha. Non devi limitarti a credere sulla parola. Devi sperimentare in prima persona. Nessuno oltre a te può liberare la tua mente. Neppure Dio – se esistesse. Io ti mostro la via, ma poi devi essere tu a percorrerla.
Atteggiamento raro, per non dire unico, nella storia delle religioni. Nel cristianesimo, per esempio, Gesù viene presentato come il Salvatore, il Liberatore. "Io sono la via" gli viene fatto dire. Così, basta che lo accetti e sei salvo. Comodo... la religione dei pigri.
Ma qui non si tratta di liberarsi da qualche nemico esterno; qui si tratta di liberarsi dalla nostra stessa ignoranza. E chi può farlo oltre a noi stessi?
È un po' come rilassarsi: c'è qualcuno che possa farlo al posto nostro?
Naturalmente anche nel Buddhismo la fede svolge un ruolo. Ma non è fede in un Dio, bensì fiducia nella capacità dell'uomo di raggiungere lampi di illuminazione. Dove si vede che i veri pessimisti sono gli altri, coloro che sentono di non poter far nulla senza un Protettore divino.

martedì 16 luglio 2013

Il valore della saggezza

Quando parliamo delle virtù della calma, della riflessione e della saggezza, sembra che parliamo di cose dell'altro mondo, di principi - magari nobili - ma che non servono a niente nella vita di tutti i giorni. Niente di più falso. Quando per esempio vediamo l'enorme debito accumulato dall'Italia e la condizione disastrosa del lavoro giovanile, non possiamo fare a meno di notare che si tratta delle conseguenze inevitabili di comportamenti non saggi del passato. Vi sembra sensato accumulare debiti e gettare sulle spalle delle nuove generazioni il loro peso? È esattamente il contrario: è il frutto malato di atteggiamenti basati sull'improvvisazione, sull'irresponsabilità e su decisioni prese giorno per giorno, senza guardare al futuro. In passato si mandava in pensione gente che aveva lavorato dieci anni. Pensavamo di andare avanti così per molto? Ci siamo comportati come le cicale, e ora i nodi sono arrivati al pettine, è arrivato l'inverno e noi non abbiamo provviste. Persone sagge e responsabili non si sarebbero comportate così. La colpa prima è certamente dei politici, ma anche il popolo ha accettato tutto e ha chiuso gli occhi.
Putroppo non c'è peccato maggiore della mancanza di coscienza.
No, il richiamo alla saggezza e alla consapevolezza non è un ideale astratto. Ma serve a vivere meglio.

domenica 14 luglio 2013

Calmarsi con il respiro

Come fare a calmare la febbre che ci agita? Se paragoniamo gli eventi che ci travolgono ad un vento di tempesta che soffia contro di noi, se vi riconosciamo la nostra stessa impulsività, la nostra reattività istintiva, la nostra confusione mentale, la nostra aggressività, e se pensiamo che il respiro è assimilabile ad un soffio e dunque ad un piccolo vento, è proprio con esso che ci sforziamo di ricondurre tutto alla tranquillità. Non è facile e ci vogliono tempo e addestramento, perché la sproporzione di energie è evidente; ma noi siamo come formiche che un passo alla volta scalano le montagne.
Per prima cosa facciamo tre o nove respiri profondi. E poi mettiamoci calmi cercando di ridurre la forza delle emozioni e dei pensieri, che sono il riflesso degli eventi dentro di noi. Calmando il respiro, si calma anche la mente. Ogni volta che espiriamo, seguiamo il respiro fino in fondo, lasciando che si dissolva da solo. Alla fine, prima che incominci l'ispirazione, c'è come una pausa, una sospensione. Inseriamoci lì dentro e cerchiamo di prolungarla a polmoni vuoti. In quel momento possiamo riposare nella percezione della calma e della chiarezza, che sono la natura più profonda del nostro essere. Ripetiamo varie volte. Di questi attimi ce ne sono migliaia ogni giorno. Approfittiamone, per svuotare e calmare la tensione, il "vento" che ci fa ondeggiare come banderuole.

giovedì 11 luglio 2013

Momenti di risveglio

La nostra vita si svolge a momenti - momenti di gioia e momenti di infelicità, momenti buoni e momenti cattivi. In un’esistenza normale, questo alternarsi di momenti dipende dalle circostanze, ossia da eventi esterni; e quindi noi non siamo padroni di niente. Ci sembra di agire, ma in realtà siamo agiti. Ma ecco che entra in campo la meditazione, che è lo sforzo di ritornare padroni di noi stessi, non lasciando agli eventi esterni il compito di determinare come siamo, come ci sentiamo.
            In meditazione per prima cosa ci rendiamo conto di essere come sugheri in balia delle onde e cerchiamo di creare una zona di stabilità. Osservando gli stati mentali, riconosciamo di trovarci in mezzo a un mare burrascoso. Vediamo come siamo ansiosi, eccitati, febbrili, confusi e condizionati. Sono gli altri, sono le circostanze che determinano gli stati della nostra mente, del nostro essere. Non noi. Anzi, siamo così abituati ad affidarci all’esterno che, se cerchiamo un po’ di pace, siamo costretti ad andare magari in vacanza o a ricorrere all’alcol, ai medicinali o alle droghe. Ma, anche se andiamo in un posto meraviglioso, se incontriamo persone amabili e se per un po’ ci sentiamo tranquilli, la cosa dura poco; e, in più, non possiamo difenderci dai nostri stessi pensieri o dai ricordi.
            La meditazione fa un lungo e profondo lavorio di osservazione e, riconoscendo gli eventi e le emozioni disturbanti, le nostre tendenze abituali, ne prende le distanze. Questo “prendere le distanze” crea un certo spazio di tranquillità, di calma e di lucidità che ci permette, attraverso un continuo addestramento, di uscire dalle tempeste della vita e di dimorare in uno stato di pace, il più stabile possibile.
            Chi medita deve dunque chiedersi, non se ha raggiunto la visione di paradisi, ma se è meno instabile, se è meno attaccabile dalle emozioni disturbanti e dagli eventi esterni. Più si risiede in questo stato di pace, più si prendono le distanze dalla vita ordinaria e si vedono le cose con più chiarezza, dimorando in uno stato vasto e rilassato.
            Naturalmente, poiché tutte le esperienze fatte in questo mondo, sono transitorie, anche queste esperienze di meditazione sono destinate a finire. Ma l’importante è sforzarci continuamente di rinnovarle, uscendo dalle grinfie degli stati condizionati. Un conto è essere dominati al cento o al novanta per cento e un altro conto è essere dominati al venti o al trenta, nella consapevolezza di esserlo.

            Non stiamo parlando di cose da poco né di stati mistici. Stiamo parlando della qualità del nostro soggiorno in questa Terra e, per chi ci crede, anche dopo.

martedì 9 luglio 2013

L'uomo e il verme

Se io mi ammalo e muoio, per me è male. Ma non è un male in sé. Il verme, per esempio, che si nutrirà del mio corpo troverà da mangiare: per lui è un bene.
    Forse un uomo è più importante di un verme? Ma chi l’ha stabilito? Non certo il verme.
    Questo per dire che è im possibile trovare un bene o un male assoluti. Si tratta sempre di un bene e di un male relativi. Dal punto di vista della vita, anche la morte e la malattia sono un bene.
    Ecco, bisogna imparare a superare la nostra visione soggettiva, egoica, e cercare di assumere una visione universale, oggettiva, superiore. Allora tutte le nostre piccole vicende assumono un senso diverso.
    Distacchiamoci dal soggettivismo, se vogliamo capire come funzioni il mondo. Il superamento dell’ego è fondamentale.

Attaccamento e sofferenza

Sappiamo bene che tutto ciò cui siamo attaccati ci crea dipendenza e dolore. Ma non ci rendiamo conto che l’attaccamento all’ego, l’attaccamento verso noi stessi, è alla radice di ogni forma di dipendenza, di paura, di egoismo e di sofferenza. Come distaccarcene? Consideriamolo una specie di miraggio, di apparenza o di fantasma che ci sarà per un po’, ma poi scomparirà.
    Noi ci illudiamo di poter vivere a pieno. Ma esiste un sogno che possa essere sognato in pieno? Un sogno, proprio perché è tale, ci deluderà sempre; un sogno lascia sempre un senso di insoddisfazione.

Il fanatismo religioso

Quando sentite uno di quei fanatici musulmani che inneggiano alla diffusione dell’Islam e che giurano che il Corano è la verità e che Maometto è l’unico e il vero profeta di Dio, non provate un senso di fastidio? Tutti lo proviamo. Ma, da un punto di vista laico, si deve guardare con sospetto qualunque indottrinamento religioso, qualunque predicazione fideistica. In realtà non c’è differenza tra i Fratelli Musulmani e i Fratelli Cristiani, fra chi predica il Corano e chi predica il Vangelo o la Torah, fra chi vuole il Califfato e chi vuole il Papa Re. Voi mi direte che è meglio il cristianesimo, ma lo è soltanto perché lascia un margine di libertà che certo Stati confessionali non lasciano. Non per suo merito, ma per merito dei laici che sono riusciti a rintuzzare le sue pretese assolutiste - pretese che sono identiche in tutte le religioni che si dicono “rivelate”.

lunedì 8 luglio 2013

Il fallimento del Verbo

Papa Francesco ha imparato presto il suo mestiere, che consiste nel fare bei discorsi, apparire tutti i giorni in televisione (che vive di questi eventi), accarezzare la testa di qualche bambino o handicappato e lasciare tutto così com'è. Sì, perché tutti siamo capaci di usare belle parole. Pochi di realizzarle.
Il mestiere lo ha imparato da Woytila, che era un maestro nel fare bei gesti e nelle esibizioni attoriali. Sì, perché, diciamolo pure, fare il Papa significa fare l'attore, essere uno dei tanti personaggi televisivi.
Adesso è andato a Lampedusa a dire una messa a favore degli immigrati morti e trattati come bestie. Dopo aver criticato i preti e le suore che viaggiano in auto di lusso, lui si è spostato in aereo, elicottero, nave e una macchina antiproiettile appositamente studiata per lui. A Lampedusa ogni cosa è stata ripulita. Ma tutti sappiamo che, ripartito il Papa, il centro di accoglienza ritornerà ad essere sporco e dimesso.
Tutti soddisfatti: televisioni, radio e giornalisti che possono farsi un po' di mare al seguito del Papa. Le televisioni sono in fibrillazione: cosa c'è di meglio di queste cronache papali per riempire il vuoto di idee dei palinsesti estivi? Si sente il parere di persone importanti, che tessono  le lodi di questo Papa. Si torna a casa soddisfatti. E tutto ritorna come prima.
Infatti non bastano le chiacchiere e i bei discorsi a cambiare le cose. Abbiamo visto paesi cristiani come la Francia e la Germania respingere con cattiveria alle frontiere gli immigranti. Pensate che ora tutto cambierà?
E come mai tanti movimenti razzisti si dichiarano ferventemente cristiani? Si è mai visto un Papa scomunicarli? No, sappiamo tutti che nel ventennio nazi-fascista le leggi razziali, promulgate da tedeschi e italiani, non sollevarono nemmeno una flebile critica da parte della Chiesa.
Il fallimento del cristianesimo è proprio questo: è l'incoerenza tra principi e comportamento, è l'impotenza della parola.

sabato 6 luglio 2013

l problema del male

Ho letto questi pensieri:
"Se Dio non può sconfiggere il male, allora non è onnipotente. Se Dio può sconfiggerlo e non vuole, allora è malvagio. Se Dio non vuole e non può farlo, allora perché chiamarlo Dio?"
Argomenti di una teologia obsoleta. Bene e male non sono separati, ma sono le due facce di una stessa medaglia. Come ci vogliono due gambe per fare un uomo, così ci vogliono il bene e il male per fare il mondo. Altrimenti tutto sarebbe immobile. Potete fare una moneta senza due facce? Volete il divenire? Allora prendetevi il gioco del bene e del male.
Il male è costitutivo esattamente come il bene. Ma si tratta di un unico meccanismo (il bene-male) che di volta in volta mostra una delle due facce. Il virus o il terremoto hanno una loro precisa ragione di essere. Per noi sono male, ma non per la vita dell'universo.
Per noi il bene è ciò che ci piace e il male ciò che non ci piace, il bene è ciò che unisce e il male è ciò che divide, il bene è amore e il male è odio. Ma si tratta di concetti e di realtà complementari: l'una non può esistere senza l'altra. Se tutto fosse amore e unione, il mondo non esiterebbe: tutto sarebbe incollato e indifferenziato. Se tutto fosse divisione e odio, non ci sarebbe nessun tipo di comunicazione, non ci sarebbe nessun legame, e il mondo non esisterebbe.
Se "Dio" distruggesse il male, dovrebbe distruggere anche il bene: e dunque distruggerebbe l'intera baracca. Fatevene un ragione.
Ci poniamo il problema del male, ma non il problema del bene. Vorremmo combattere il male, ma dovremmo combattere anche il bene. Il male può essere un gran bene e il bene può essere un gran male. Pensateci un po'.
Insomma dovremmo smetterla con questa idiozia della vittoria sul male. Non è possibile. Il male è santo, esattamente come il bene; ovvero il bene è luciferino, esattamente come il male.
Ma, già, anche Dio e Satana non sono separabili: se volete uno, dovete beccarvi anche l'altro. Lo vedete? È tutto così.
È la nostra mente che contrappone ciò che è un tutt'uno. Ma bene e male se la ridono, e continuano il loro giochetto. Fanno correre voi e i teologi divertendosi un sacco.
Così sono anche Dio e Satana. Voi pensate che si combattano e che l'uno voglia distruggere l'altro. Ma io vi dico che sono due amiconi e che se la spassano insieme, un po' annoiati di questi stupidi ometti. Che sono come le mosche quando vogliono uscire dalla finestra e non fanno che sbattere contro il vetro.

Ipocrisia papale

Il Papa confessa che gli fa male vedere preti e suore che viaggiano in auto lussuose.
E a noi lo viene a dire?
Ma non è lui il capo della santa baracca?
Del resto, se una suora fa parte del Consiglio di amministrazione di una banca, come volete che viaggi? In tram?
Poco credibile. Francesco fa il gioco delle parti: con una mano esalta la povertà e con l'altra comanda un'organizzazione che fa soldi a palate. Molto ipocrita.

Lumen fidei

Che noia questi Papi che, due per volta, parlano ancora di fede. Fede in che? Nella Chiesa? Credono ancora che Dio sia cristiano, che Dio abbia voluto questa istituzione così corrotta? Parlano di Dio? Ma chi li autorizza? Questa è una presunzione luciferina.
La fede non è arrogante, dicono, e non va imposta con la violenza. Peccato che è esattamente quello che hanno sempre fatto, da Costantino in poi: imporre la loro fede con tutti i mezzi, soprattutto violenti. Ci siamo dimenticati quello che hanno fatto in Sudamerica e in Africa? Ci siamo dimenticati certe crociate, come quella contro gli albigesi?
Dicono che non sono arroganti. Ma presumono di parlare a nome di Dio. Scusate se è poco.
La fede non è individualistica, non è un fatto soggettivo, dicono. E che cosa sarebbe? Un fatto oggettivo? Una credenza di Stato da imporre con le leggi? Esattamente quello che è stato fatto in Italia, fino a ieri.
L'uomo ha bisogno di conoscenza, ha bisogno di verità, dicono. Giustissimo. Ma deve essere una verità accertabile, non una semplice fede.
Non è vero che la connessione tra fede e verità sia la radice del fanatismo, dicono. E quale altra sarebbe la radice del fanatismo, se non la convinzione di avere la verità?
La fede allarga gli orizzonti della ragione, dicono. Può essere. Se non è una verità rivelata, ma cercata... personalmente. Altrimenti è una pappa fatta, che non solo non allarga la mente, ma la restringe completamente.

venerdì 5 luglio 2013

La gioia della meditazione

Quando entriamo per le prime volte in meditazione, e ci viene chiesto di seguire il respiro, percependolo magari nelle narici o nei movimenti dei polmoni, noi crediamo che basti questo esercizio per accedere alla concentrazione di accesso. E cerchiamo di tener duro, di proseguire, di non farci distrarre. Ma prima o poi ci distraiamo, perché il respiro non è così interessante. Quando invece facciamo l'amore o guardiamo un bel film, non abbiamo difficoltà a restare concentrati.
Il problema è che non è il respiro ciò che dobbiamo seguire. Dobbiamo concentrarci su ciò che il respiro manifesta: la consapevolezza, la coscienza di essere, qui e ora. È questo il vero "oggetto" di meditazione, non il respiro in sé, che non è così interessante. Dunque, è l'essere consapevole, la nostra stessa consapevolezza, che ci interessa di più, perché è lei che illumina e dà un senso a tutte le cose.
Tuttavia l'essere consapevoli dell'essere consapevoli non è facile. Si deve creare un cortocircuito, perché il soggetto e l'oggetto di meditazione sono la stessa cosa. C'è sempre infatti un divario. Se faccio della consapevolezza un oggetto, automaticamente non è più il soggetto, e viceversa. Devo fare un salto, ovvero devo superare la distinzione fra soggetto e oggetto.
E questo è possibile solo in stati particolari, quando non penso ad altro e non perdo nello stesso tempo il mio essere consapevole. Stati di grazia, stati di sollievo, stati di intensa concentrazione. Allora, se chiudo gli occhi, vedo la luminosità che è l'aspetto materiale della consapevolezza e il respiro si ferma. Allora mi sento sollevato, liberato, lucido, calmo e gioioso.

mercoledì 3 luglio 2013

Il peccato di presunzione

Si credono "chiamati" da Dio. Credono che l'Onnipotente si interessi a loro, parli con loro, diriga i loro passi. E non è cosa da poco.
Così si sentono più importanti dei comuni mortali. Loro sono stati "scelti da Dio"... niente di meno. Preti, monaci e suore, in tutte le religioni. Non parliamo dei Papi.
Ah, che gran peccato la presunzione! Credersi eletti da Dio. Credere di avere una missione divina. E magari pensare di essere umili.
In realtà queste persone sono ancora al servizio dell'ego.
Rinunciano a tutto, ma non a questa presunzione. Le donne si sentono addirittura "spose del Signore".
Sì, questi sedicenti "religiosi" sono i più lontani da Dio.

"E il Demonio sorrise, perché il suo peccato preferito
è l'orgoglio che scimmiotta l'umiltà"
Coleridge, I pensieri del demonio