Paradossalmente, il buddhismo, che nega l'esistenza di un'anima, ci dice che i desideri insoddisfatti portano ad una nuova rinascita e dunque sono, se non una forma di immortalità, una garanzia di tante rinascite. Il meccanismo delle rinascite si fermerà solo quando non avremo più desideri insoddisfatti e capiremo che non vale più la pena rinascere, quando insomma cesserà la brama di vita. Per il buddhista, rinascere in questo mondo è una sconfitta, mentre per noi, dominati da desideri insaziabili, è una pacchia. Ma il problema è che, rinascendo anche mille o diecimila volte, non sfuggiremo alla sofferenza.
Per sfuggire alla sofferenza bisogna uscire dal ciclo di vita-morte in maniera definitiva e non avere più un desiderio di vita, perché si è capito che la vita non può dare più di tanto. La fine della brama di vita, che significa accentrarsi intorno ad un io, con tutte le limitazioni del caso, è la fine del processo di reincarnazione e dunque segna la liberazione ultima.
Contiamo allora i nostri desideri insoddisfatti - e avremo il numero di esistenze che ci toccherà ancora rivivere.
Ma alla fine che cosa avremo se non c'è un'anima che possa goderselo? Il Buddha dice che c'è pur sempre qualcosa ("non nato", "non composto", ecc), anche se non è definibile, dato che non è più pensabile con le nostre abituali categorie mentali. Ma qualcosa c'è. Non è l'annientamento completo, ma l'estinzione di una vita basata sull'ego, cioè sulla divisione sia verso noi stessi sia verso gli altri.
Ecco, noi non ragioniamo mai sul fatto che l'io è profondamente diviso, anche interiormente, e che noi non siamo veramente noi stessi, ma qualcos'altro. È questa divisione, questa pretesa di separatezza, che alla fine deve scomparire. Questa vita è fondata sull'ego-centrismo e dunque sulla morte.
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