giovedì 31 dicembre 2020

Il particolare e l'universale

 

In estrema sintesi, potremmo dire che la coscienza è la manifestazione principale del divino e che essa è presente in ogni essere vivente, in misura maggiore o minore. E quindi tutti sono divini, anche se se lo sono dimenticati.

Esistono però un divino manifesto e incarnato negli esseri viventi e un divino non manifesto e non incarnato.

Il problema è che il divino, nel momento in cui si incarna in un corpo e in un individuo, aliena se stesso; e sta all’individuo, attraverso a meditazione, lo sforzo di recuperare la propria integrità generale, la propria universalità.

Così, quando ci ricordiamo chi siamo, quando facciamo uno sforzo per essere consapevoli della nostra consapevolezza, è il divino che recupera se stesso, al di là del corpo e della mente.

Uno dei limiti del divino incarnato è l’attaccamento alla vita. Tutti gli esseri viventi sono attaccati fondamentalmente alla vita e, se potessero, vivrebbero per sempre o comunque migliaia di vite – trascurando il fatto che dovrebbero comunque vivere altre migliaia di morti e subire altre paure e sofferenze.

L’unico per modo di uscire da questo circolo vizioso è familiarizzarci con la nostra stessa consapevolezza depurandola dagli attaccamenti e dagli interessi personali, fino a trovare la sua natura ultima, che non è neppure più una coscienza duale, ma qualcosa di intero e universale.

Con la meditazione usciamo dall’individuale e ci ricordiamo chi siamo realmente. Siamo la trascendenza stessa.

domenica 27 dicembre 2020

La via della meditazione

 

Chiusi nella nostra individualità egocentrica, con la meditazione cerchiamo un’apertura, un allargamento, una liberazione, una universalizzazione. In sostanza, dovremmo oltrepassare il più possibile i confini dell’io e dei nostri interessi personali e approdare ad una consapevolezza più vasta. Questo succede perché facciamo tacere la sensazione “io sono” e ci liberiamo della identificazione con questo corpo e con questa mente.

Naturalmente non possiamo andare oltre un certo limite e una certa durata, ma ciò basta a farci capire la strada da percorrere. Niente di particolare, niente di speciale, qualcosa di naturale. Sarà la morte a liberarci di tutte le nostre armature e sovrastrutture, ma è importante percepire e capire qualcosa prima, in modo da liberarci da false attese che potrebbero dar vita ad altre identificazioni illusorie.

La nostra coscienza, chiusa nell’io, ha proiettato questo intero mondo di esperienze, di pensieri e di immaginazioni. Ma, alla fine, anche la nostra coscienza condizionata è destinata a dissolversi riportandoci alla Realtà.

Questa Realtà potrebbe anche chiamarsi Dio. Ma, attenzione, non si tratta del Dio delle religioni, in cui rientrano tante definizioni psicologiche: creatore, giudice, padre, madre, protettore, legislatore, ecc. È proprio ciò cui non si può attribuire nessun carattere umano.

E non è un Dio-altro, un Dio distinto dagli esseri viventi. Ma è esattamente ciò che essi sono.

Quello che noi cerchiamo è la nostra vera natura, smarrita fra i concetti e le interpretazioni.

Non possiamo descrivere questa nostra vera natura, perché utilizziamo un linguaggio dualistico che spezzetta, frammenta e contrappone. Provate a fare un discorso senza utilizzare questo linguaggio (bene-male, nato-morto, giusto-ingiusto, grande-piccolo, alto-basso, essere-non essere, tutto-nulla, ecc.): non ci riuscirete. Non possiamo neppure dire che “è”, perché c’è subito il suo contrario.

L’unica cosa che sappiamo è che questa vera natura ha una carattere unitario e inclusivo. E può essere colta solo con un atto di sintesi.  


venerdì 25 dicembre 2020

Lo sbaglio originale

 

Se tutti cerchiamo la felicità, vuol dire che non ce l’abbiamo ancora – e mai l’avremo. Nonostante momenti di gioia, tutti siamo interiormente insoddisfatti. Non c’è modo in questo mondo di ottenere uno stato durevole di felicità. È nella natura delle cose. È nella natura dello stato in cui ci troviamo, impermanente e transitorio. Ciò che noi cerchiamo veramente è qualcosa che duri, non un alternarsi di stati d’animo. Ma la nostra stessa esistenza è limitata e piena di sofferenze. A questo non possiamo sfuggire.

Sappiamo di esistere, ma non sappiamo perché. Ci siamo identificati con un certo corpo e una certa persona, sapendo però che entrambi finiranno presto. È vero che siamo coscienti, ma sappiamo che anche la nostra coscienza è destinata a finire. Non è una bella situazione.

Se meditiamo un po’, scopriamo che cerchiamo qualcosa che sia al di là del tempo e della nostra stessa coscienza. Le religioni intuiscono questa insanabile insoddisfazione e la attribuiscono ad una caduta, ad un peccato originale. Ma il vero peccato originale è essere nati.

In fondo, prima di nascere, non provavamo nessun tipo di infelicità. Perché allora siamo usciti da quello stato? Qui sì che c’è stato un errore basilare, un inopportuno soprassalto cosmico.

I cristiani celebrano proprio oggi la nascita del loro Dio, che ci avrebbe salvati… non si sa da che. Tutti i grandi religiosi ci hanno promesso cambiamenti, rivoluzioni, redenzioni, paradisi – e inferni! Ma su questa terra non è cambiato niente. Si continua a soffrire e a morire come sempre. Proprio oggi siamo nel pieno di una pandemia che sta facendo milioni di morti. Dove sono i salvatori divini?

La logica vorrebbe che si mettesse fine a questo sbaglio cosmico e alle sue sofferenze. Ma gli uomini sono talmente assuefatti allo stare male e sono talmente dipendenti dalle droghe naturali che non ci pensano proprio. E allora continuiamo così, con le illusioni e le speranze infondate.

lunedì 21 dicembre 2020

La tendenza all'auto-annientamento

 

Un nuovo studio presentato su arXiv, dopo aver esaminato i pianeti della Via Lattea con metodi di modellazione statistica e con l’utilizzo di dati astronomici, ha concluso che esiste una tendenza all’auto-annientamento delle eventuali civiltà intelligenti.

Non c’era bisogno di svolgere tanti studi; basta esaminare che cosa succede sul nostro pianeta, che si sta auto-distruggendo. Il problema è che i cosiddetti esseri intelligenti sono talmente dominati da avidità, aggressività e da una incoercibile tendenza alla moltiplicazione che non lascia loro scampo. Anche le leggi della sopravvivenza sono feroci e si basano su un meccanismo perverso in base al quale ogni specie deve uccidere le altre non per cattiveria ma per nutrirsi.

Inoltre esistono ideologie religiose che ci presentano tutto questo come un dono divino, condannando ogni tentativo di mettere in guardia gli esseri viventi e di riportarli alla riflessione. In sostanza, le popolazioni “intelligenti” si comportano come branchi di pecore o formicai guidati dal puro istinto riproduttivo.

E, poiché tutti gli esseri viventi si riproducono a scapito degli altri, l’auto-distruzione è sicura.

Ecco perché non troverete mai una civiltà molto evoluta. Raggiunto un certo limite, implode su se stessa distruggendo l’ambiente in cui vive.

Comunque, niente di drammatico. Questa vita e questo mondo sono fatti della stessa sostanza dei sogni, sono un soprassalto cosmico, e, quando scompariranno, ritorneranno a quell’Uno da cui malauguratamente erano sfuggiti.

Le cose reali rimangono, non nascono e non muoiono; le cose irreali nascono, muoiono e scompaiono.


domenica 20 dicembre 2020

La speranza

 

Da noi la speranza è considerata una grande virtù. Ma in realtà è più assimilabile al desiderio, nel senso che, se si spera in qualcosa, vuol dire che non abbiamo quella cosa e la desideriamo.

È però ipotizzabile uno stato in cui non ci sono né speranza né desiderio, non perché siamo disperati, ma perché non ci manca nulla. Se poteste scegliere tra i due stati, quale scegliereste?

Da una parte c’è la coscienza dell’individuo (piena di speranze e di desideri) e dall’altra c’è la coscienza onnipervadente cui non manca nulla.

Che cosa sarebbe meglio?

La risposta sembrerebbe scontata. Ma non è detto che molti sceglierebbero la prima, perché preferirebbero la trepidazione del desiderio alla piattezza del possesso e della certezza dell’appagamento.

Questa è la realtà con cui abbiamo a che fare. Un uomo senza desideri si annoierebbe. Allora non dite che non siamo responsabili del mondo in cui viviamo. Ce lo siamo costruiti a nostra misura.

sabato 19 dicembre 2020

Pratyahara

 

Mentre pregare Dio è facile (siamo abituati a pregare i potenti), meditare è difficile, perché dobbiamo uscire sia dalla nostra pigrizia sia dalla sfiducia nelle nostre possibilità. L’incapacità di meditare è una vecchia storia. L’uomo nasce come essere sociale e non ama stare solo, in compagnia solo di se stesso. Lo vediamo in questo periodo di feste e di pandemia in cui sembra difficile trovare un po’ di raccoglimento. La nostra tendenza è subito quella di muoverci, viaggiare, partire, evadere. E, quando ci dicono che non possiamo farlo, siamo scontenti e mordiamo il freno. Perfino le feste religiose sono ormai dedicate più al movimento che alla meditazione.

Per alcuni meditare, cioè starsene fermi senza fare nulla, è un supplizio. Per bene che vada, pregano, perché immaginano che si tratti di un dialogo con qualcuno. Ma starsene fermi e in silenzio...!

Eppure un periodo di pace, immobilità e silenzio è qualcosa che ha un valore spirituale inestimabile. E fa bene anche alla salute: è un metodo per recuperare energie e purificarci. Nello yoga si chiama pratyahara, cioè il ritiro dai sensi.

 

“Quando gli organi di percezione (indriya) cessano di essere coinvolti nei loro rispettivi oggetti, e si dirigono all’interno del campo mentale da cui scaturiscono, questo è definito pratyahara.”

Yoga Sutra (2-54)

 

Mentre di solito noi siamo continuamente rivolti all’esterno attraverso i sensi, con pratyahara invertiamo la direzione dell’attenzione. Anziché occuparci solo del mondo esterno, rivolgiamo l’attenzione verso l’interno. Già questo è un sistema per riposarci e staccarci dagli stimoli incessanti.

Ma qui non vogliamo fare esercizi particolari. Ci basta stare fermi, in silenzio e raccolti, placando il corpo e la mente, e acquisendo la saggezza necessaria a comprendere le cose.

Se invece rivolgeremo l’attenzione solo verso il mondo, resteremo esterni ad ogni conoscenza e verità spirituale. E non capiremo mai che cosa sia la meditazione e quali benefici possa apportarci.

 

“Colui che ritrae i sensi dai loro oggetti esterni, come fa una tartaruga che ritrae le sue membra nel guscio, è ben stabilito nella saggezza.”

Bhagavad Gita (2-58)

 

 

venerdì 18 dicembre 2020

Aiutati che Dio ti aiuta

 

Perché preghiamo un Dio nonostante la sua evidente non-presenza? Per pigrizia. È più facile pregare qualcuno perché ci liberi che far qualcosa per liberarci da soli. È più facile lasciare ogni responsabilità a una fantastica entità metafisica che assumerci la nostra responsabilità.

Comunque, tutto dipende da chi ci imprigiona. Se ci imprigiona Dio, è logico pregarlo perché ci liberi. Ma, se ci imprigioniamo da soli in un sogno o in un’illusione della mente, solo noi possiamo smettere di farlo.

C’è qualcosa che può fare solo Dio o chi per lui e c’è qualcosa che può fare solo l’uomo. È vero che siamo condizionati da tutto ciò che viene dal passato e su cui non abbiamo nessun controllo. Ma, dal momento che siamo svegli e consapevoli, abbiamo un lungo lavoro da fare, che possiamo svolgere solo noi.


La fine delle preoccupazioni

 

Noi ci preoccupiamo tanto della morte perché abbiamo paura di perdere la nostra identità. Che cosa saremo allora?

Ma, se sparirà il nostro senso di essere, chi sarà morto?

Forse della nostra morte si preoccuperanno i vivi, non certo i morti.

Le preoccupazioni, le paure, le angosce, le ansie e tutte le nostre sofferenze spariranno per mancanza di… soggetto. Non è una meraviglia?

In fondo essere individui è questo: soffrire.

E pensare che i più aspirano a continuare a vivere, sotto qualunque altra forma, qui o chissà dove. Sono disposti a sopportare qualunque pena pur di vivere.

Sono intelligenti o stupidi masochisti?

giovedì 17 dicembre 2020

Saggezza antica

 

Platone diceva che lo scopo di tutta la filosofia fosse arrivare a morire con serenità; il che comportava capire che cosa fosse la vita e che cosa fosse la morte.

I Veda andavano oltre: lo scopo della spiritualità era arrivare a morire con gioia; il che comportava capire che la morte fosse una liberazione dai limiti dell’io.

Comunque, il problema è sempre quello di arrivare a comprendere le cose, perché, se al momento della morte siamo ancora pieni di desideri e di voglie insoddisfatte, queste sono così potenti da farci approdare a una nuova esistenza e quindi a non liberarci.

Arriveremo magari a una nuova vita, qui o altrove, ma continueremo a soffrire e ogni volta a ri-morire. Insomma il ciclo non si chiuderà mai e noi continueremo a essere imprigionati.

mercoledì 16 dicembre 2020

Lo spirito dell'accumulo

 

Dai Vangeli (per esempio dalla parabola dei talenti) arriva direttamente l’idea che tu debba investire bene il tempo della tua vita. Devi essere un cauto amministratore, un accorto contabile.

Una concezione del genere provoca ansia e preoccupazione, e dunque una certa ipocrisia. “Devo essere e fare così e così se voglio investire bene ciò che mi è stato dato… Sto fallendo la mia vita… Devo fare di più… Devo guadagnare di più… Devo accumulare meriti… Devo far fruttare…”

Dunque non c’è bisogno di aspettare il protestantesimo per veder nascere lo spirito del capitalismo. Bastano le tante parole infelici di Gesù.

Ma anche in altre religioni troviamo questo spirito dell’accumulo dei meriti: se vuoi il paradiso devi muoverti in un certo modo, devi fare determinate opere… In fondo il paradiso è visto come una sorta di conto in banca da far fruttare. E Dio è il supremo banchiere.

Non una grande spiritualità.

La gioia della morte

 

L’ignorante pensa e vive la morte con un senso di orrore e di spavento.

Il saggio pensa e vive la morte come lo scioglimento dei limiti che lo imprigionano. E quindi per lui la morte è una liberazione.

Per l’uno è la fine di tutto, per l’altro è l’inizio di tutto. Un bel cambio di prospettiva.

La via della meditazione

 

Quasi tutti pensano che la meditazione consista nell’arrestare la mente. Ma perché? La mente è il frutto di una lunga evoluzione, un prodigio della natura. Perché arrestarla?

Evidentemente ci provoca troppa sofferenza, ci vomita addosso troppi pensieri negativi, un ingorgo di idee e immagini incontrollabili.

In realtà, per meditare, non c’è tanto bisogno di arrestare la mente, quanto di prenderne le distanze. Tu non sei né il corpo né la mente. Tu sei colui che li osserva, che li guarda a distanza.

Questo è l’esercizio che devi fare.

Mentre osservi la mente, devi capire che ti sei identificato con una tua funzione. Ma, se non sei la mente, chi sei?

Il testimone. È con questo che ti devi identificare.

Quando la mente ti soffoca e ti tortura, quando cioè il suo potere si rivolta contro di te, mettiti nella postura del testimone. “Io non sono questo diluvio di pensieri. Io sono il testimone pacifico e silenzioso.

In sostanza per liberare la mente, o per liberarsi dalla mente, ci sono due strategie: la prima è rallentare la mente (ma non si può andare oltre un certo limite) e la seconda è lasciarla stare e prenderne le distanze.

 

L'uno e il tutto

 

Mentre noi siamo convinti che il fatto di essere degli individui sia una grande conquista, non ci accorgiamo che questo stato è inevitabilmente legato alla sofferenza. Infatti un individuo è un essere isolato cui mancherà sempre qualcosa per sentirsi completo e soddisfatto; sarà sempre un bisognoso.

In realtà, esiste un unico stato cui non può mancare niente: il tutto.

Come mai allora da uno stato senza infelicità sono usciti degli individui destinati a soffrire?

Uno sbaglio cosmico, un movimento inopportuno, uno squilibrio, un turbamento, un’occasione infausta, un moto altalenante, un tentativo fallito, un’esplorazione..? Scegliete voi. Ma tenete conto del fatto che si tratta di un’illusione, di un film, di un sogno, di qualcosa di evanescente che dura un po’ e poi svanisce. Come una bolla d’aria in un pentolone che bolle.

Resta il fatto che, dopo essere venuto alla luce, ogni individuo anela a riunificarsi con ciò da cui si è separato. Questo è l’unico modo non solo per essere felice, ma anche per essere immortale. Mentre infatti l’individuo va e viene, il tutto c’è sempre.

L’io deve morire, il tutto no.

È come uno che è uscito a fare una passeggiata e si è trovato sotto una tempesta. Così torna a casa.

domenica 13 dicembre 2020

Gli illuminati

 

Ogni tanto si parla di un contrasto tra illuminazione improvvisa e illuminazione graduale. Ma non è così: l’una non esclude l’altra. La prima è una comprensione dovuta a un evento dirompente, la seconda è una comprensione lenta e maturata a poco a poco.

Se devo essere sincero, la seconda mi sembra più naturale e profonda, mentre la prima potrebbe essere superficiale e provvisoria. Mi ricordo alcune verità che ho capito solo adesso che sono vecchio e perché ho fatto determinate esperienze. Ma non ci sono stati eventi eclatanti, squarci nel cielo, canti di angeli e suoni di trombe. Ho capito riflettendo sulle mie esperienze. E la visione che ho adesso delle cose è diversa da quella che avevo anni fa.

Questo tipo di comprensione dovrebbe essere naturale, purché si sia disposti a ragionare su ciò che abbiamo vissuto. E' così che si chiariscono le cose.

L’idea invece che in un istante si possa capire tutto è un mito.

Ma i più non pensano mai a niente e si accontentano di quelle povere nozioni che sono state loro inculcate dalla cultura generale, dalla famiglia, dalla religione e... dalla pubblicità. Non maturano mai. Sono stati manipolati e non se ne rendono conto.

No, dobbiamo partire dall’idea che tutto ciò che abbiamo appreso possa essere falso o falsificato. E dobbiamo verificare di persona ciò che è vero.

Il mondo è dominato dall’ignoranza e da una pubblicità illusoria che serve ad arricchire e a rendere potenti quelli che la fanno. Chi abbocca a questo amo, sarà fregato. Vivrà una vita inautentica.

 

Pro vita

 

“Non mollare mai... andrà tutto bene... lotta... combatti... resisti... ce la farai... la vita è sacra... la vita è un dono... tieni duro... tutto è possibile... volere è potere... il futuro è nelle tue mani... c’è sempre una provvidenza...” il mondo è in mano alla pubblicità, che è sempre falsa, che ti vuol vendere sempre qualcosa facendotela pagare cara, che indora la pillola con chiacchiere e belle immagini.

La realtà è ben diversa: sei in sughero in balia delle onde e in ogni momento puoi essere distrutto.

La pubblicità deve sempre falsificare le cose e decantare qualità che non esistono. “Se mangi questo, sarai felice... se ingoi questa pillola, guarirai... se indossi questo, sembrerai un principe...” Lo scopo è vendere imbrogliando. Nessuno ti parla dei difetti e dei prezzi da pagare.

Devi essere te stesso, non un prodotto della moda.

Pochi muoiono pacificamente; i più vengono uccisi, a poco a poco o improvvisamente.

Chi propaganda la vita se la prende con chi non è entusiasta di questo mondo e osa avanzare delle riserve. Chi propaganda la vita, accusa gli altri di essere dalla parte della morte.

È tutto il contrario: chi mette al mondo la vita mette al mondo la morte.

Pro vita? Pro morte! E non ha alcun senso voler mantenere in vita, in condizione penose, coloro che potrebbero essere liberati da dolori atroci. Si tratta di puro sadismo.

Tutti coloro che hanno avuto esperienze di pre-morte hanno detto che stavano bene e che non avevano nessuna voglia di tornare in questo mondo di sofferenze, in questa “valle di lacrime”. Come mai?

 

 

sabato 12 dicembre 2020

L'incontro d'amore

 

Quando ti innamori e ardi di desiderio e arrivi a soddisfarlo e concepisci un figlio, ti sembra di aver conquistato il mondo. E invece è il mondo che ti ha sottomesso. Sei diventato un funzionario della specie.

Sei caduto nella trappola... che sembra così dolce, ma alla fine è così amara.

Credi di aver trovato un posto, una funzione e uno scopo. Però, giocando al gioco della vita, sei stato giocato.

 

Il silenzio di Dio

 

Se vi rivolgete a Dio per qualche domanda e lui non vi risponde, statevene anche voi in silenzio.

Contrariamente a ciò che dicono certi teologi, Dio è tutto tranne che il Verbo. È più vicino al silenzio che alle chiacchiere filosofiche.

Se date troppa importanza alle parole e ai concetti, non coglierete la realtà.

Venite a sapere della vostra esistenza non attraverso un ragionamento, ma direttamente, attraverso la vostra esperienza. E dunque Dio o la realtà ultima sono raggiungibili solo attraverso la vostra consapevolezza immediata.

Questa consapevolezza precede il funzionamento della mente. Va oltre.

 

Scopi limitati e limitanti

 

Ogni tanto ci viene l’uzzolo di domandarci quale sia lo scopo della vita e ci sembra che, se non lo troviamo, quasi non possiamo vivere. Ma non è così: noi viviamo lo stesso.

La verità è che nessuna risposta razionale è soddisfacente e ci accontenta a lungo. E nessuna servirà a definire la vita stessa.

Lo scopo della vita non è racchiudibile da uno dei nostri concetti. E, se lo definiremo, poi ci resteremo imprigionati. Non a caso, i più grandi fanatici sono coloro che credono di avere uno scopo ben preciso. Sono loro che sconciano il mondo, perché sono uomini che vivono in base a ideologie, non naturalmente.

 

venerdì 11 dicembre 2020

La causa dell'infelicità

 

Nella nostra indefessa e sempre delusa ricerca della felicità, abbiamo imparato che ci sono tante cose, persone e avvenimenti, che ci fanno essere infelici - e cerchiamo sistematicamente di evitarle. Un po’ ci riusciamo e un po’ no.

Non siamo purtroppo consapevoli che la causa ultima dell’infelicità non sta in questo o in quello, non viene solo da eventi esterni o da crisi interne, quanto dalla consapevolezza interna.

È la consapevolezza che, per la sua natura duale e instabile, è la vera fonte dell’infelicità.

Sì, la consapevolezza è per lo più infelice.

Questo è il prezzo che paghiamo per esistere. Prima o poi, non possiamo evitare di soffrire.

Non possiamo dire di aver scelto la vita e la coscienza. Nessuno viene interpellato. La vita ha scelto per noi. Ma noi siamo la vita. E, quindi, trascinati dalla forza dell’esistenza, ci tocca sopportare e far buon viso a cattivo gioco.

Ma, se la felicità consiste nell’annullamento della dualità, dell’alterità, dell’isolamento e dell’individualità, tutto questo c’era già prima che nascessimo.

Guardate che occasione abbiamo perso.

Per fortuna, l’errore è rimediabile - con la fine di questo gigantesco abbaglio!

Bisogna però esserne convinti. Non ci facciamo illudere dalle tentazioni di un’altra eventuale vita. Ora le cose le sappiamo.

 

martedì 8 dicembre 2020

La coscienza della meditazione

 

Noi vorremmo capire la natura del mondo e la sua origine utilizzando la mente, la razionalità e la coscienza comune. Ma è impossibile perché tutti questi strumenti sono duali e pensano un mondo duale (nascita-morte, bene-male, inizio-fine, alto-basso, maschio-femmina, ecc.) mentre l’origine è non-duale. Ora, come può una funzione duale comprendere ciò che non è duale? È per questo che non trova mai il senso della vita. La mente può trovare solo un senso utilitaristico: viviamo per ricevere premi o punizioni, per superare una specie di esame, per unirci a Dio, per progredire da un piano all’altro, ecc.

Anche l’aldilà lo immagina in termini duali: paradiso-inferno, dio-diavolo, premio-castigo, ecc.

Ma, allora, come possiamo sapere che non è così?

Be’, innanzitutto siamo in grado di avanzare questa ipotesi, e quindi un’intuizione l’abbiamo. Abbiamo una specie di testimone che ci dice: non è questo, non è quello...

Il testimone è la consapevolezza di sé che affiora quando smettiamo di cercare significati razionali e riportiamo la coscienza dall’esterno all’interno, quando la raccogliamo in meditazione. La meditazione è un modo diverso dal semplice pensare: è piuttosto è un essere consapevoli, al di là della nostra identificazione con il corpo e con la mente. Questo è il vero “al di là”, non quello immaginato dalla mente.

In meditazione il corpo tace e la mente è immobile (per quanto possibile) e noi intuiamo che questa è la nostra vera natura - una natura che non ha più né speranze, né aspettative, né desideri, che non deve nascere e nemmeno morire, che non viene da nessuna parte e non va da nessuna parte... perché è sempre lì.

 

lunedì 7 dicembre 2020

La prevalenza del male

 

La vita non è così naturale come sembra. Come mai le donne incinte provano nausea e vomito? E perché i neonati si mettono subito a piangere? Nascere non è una bella esperienza.

Il nostro è un brutto mondo, in preda al conflitto e all’aggressività. Ogni essere deve uccidere gli altri per sopravvivere, per una legge naturale.

E sono naturali i fenomeni come le pandemie, i terremoti, le malattie di ogni genere, le alluvioni, ecc. Conoscete per caso fenomeni di segno contrario, eventi migliorativi e benefici di natura pandemica? No, il negativo è sempre preponderante. Non arriva mai un’alluvione di buona salute o un terremoto di felicità. Non c'è mai una mafia del bene. Tenetene conto.

La verità ti appare nel momento della disillusione. Devi guardare in faccia la realtà, non farti illudere dalla propaganda degli ottimisti: sono ignoranti o, peggio, conniventi con il grande inganno. Sono come coloro che vogliono farti mangiare della merda dicendoti che è buona come il miele.

 

Cambio di paradigma

 

Siamo orgogliosi di avere una coscienza e di essere consapevoli - almeno così ci sembra. Ma avere una coscienza è proprio la conseguenza di una degenerazione, di un dualismo insanabile: questo lo ignoravamo.

Ci sembrava di avere chissà che e invece scopriamo di aver perso qualcosa di essenziale, qualcosa di superiore alla consapevolezza. Ecco perché siamo esseri finiti. Siamo finiti male: abbiamo perso l’eterno. Dopodiché lottiamo per riprendercelo. Ma i nostri sforzi sono vani.

Perdiamo, perdiamo sempre.

Certo, possiamo fantasticare su paradisi e aldilà (sotto che forma?), ma ogni altra vita si scontrerebbe con questo problema: che dovrebbe morire. E se “esistesse” un Dio, dovrebbe morir anche lui.

Non è l’esistere ciò di cui abbiamo bisogno, ma di uno stato che non abbia bisogno di “esistere” per essere, uno stato che avevamo in origine e che riacquistiamo dopo la morte.

Abbiamo fatto un tuffo nel finito... tanto per provare. Ma la prova non ci ha soddisfatti. Siamo sempre insoddisfatti.

 

sabato 5 dicembre 2020

Il film della vita

 

Si dice che al momento della morte si riveda la propria vita.

Un’altra dimostrazione che si tratta di una specie di film.

Questo film viene proiettato dalla nostra stessa coscienza. E poi alla fine viene riavvolto.

Quindi alla fine siamo noi i responsabili di ciò che abbiamo proiettato.

Sarebbe comodo poter dire che il regista è un altro, Dio. Così potremmo prendercela con lui. E non ritenerci responsabili delle cose che ci sono andate male. Ma la verità è che tutti i film finiscono male, perché terminano con la morte del protagonista.

Dovremmo andare ad una scuola di regia per fare film migliori. Siamo in realtà dei registi mediocri, con poca fantasia.

Ma la cosa migliore sarebbe non cimentarsi per niente in un mestiere che non sappiamo fare. Questo sarebbe l’unico film di successo. Un non-film.

Scegliamo piuttosto la realtà. E lasciamo perdere i film.

 

venerdì 4 dicembre 2020

Chiedere pietà in un mondo feroce

 

“Un astrofisico dell’Osservatorio Sonneberg in Germania che lavora anche nell’ambito dell’iniziativa Breakthrough Listen, ha tentato di trovare le tracce, nella radiazione cosmica di fondo, di un eventuale creatore dell’universo ma, nello studio presentato per ora solo su arXiv, dichiara di non aver trovato alcuna traccia che possa essere riconducibile ad una entità intelligente.” Questa la notizia di oggi su Google News.

Gli ingenui credono che l’Origine di tutto sia qualcosa di tangibile, rilevabile magari dai nostri strumenti. Invece non è neppure pensabile.

Visto come è fatto il mondo, se ci fosse un suo creatore, sarebbe un feroce macellaio.

Ma noi diciamo che tutto questo è un’illusione, un brutto sogno, un abbaglio, senza la minima consistenza. Il Dio della scienza non esiste.

Ma neppure il Dio dell’amore. Perché per esserci l’amore ci deve essere il suo contrario: l’odio, il contrasto, la contrapposizione mortale.

Il credere è sempre un voler credere, un voler difendersi, un attaccarsi a qualche protettore, a qualche visione illusoria del cosmo. Il che dimostra che è vero il contrario. Quel Dio non può esistere. Ciò che esiste è la paura, il sentirsi soli, il cercare con la preghiera di ottenere una specie di salvacondotto. Come dice la “preghiera del cuore” nei Vangeli?

“Signore, abbi pietà di me, peccatore!”

Ma è solo ai macellai che si chiede pietà. Perché in un mondo creato dall’Amore, ci sarebbe tanta sofferenza?

 

giovedì 3 dicembre 2020

L'impensabile

 

Non abbiamo nemmeno le parole per dirlo. Se avessimo le parole (e i concetti), sarebbe una realtà di questo mondo. E invece è al di là di questo mondo. Magari prima o dopo, a destra o a sinistra, sopra o sotto... o tutto intorno - come il mare che circonda un isolotto.

Non possiamo dire che cosa sia. Ma solo che cosa non è. Né questo né quello. Neti neti come si dice nelle Upanisad.

 

“Se l’uomo non spera, non troverà l’insperabile, perché è introvabile e inaccessibile” Eraclito.

 

I virtuosi

 

Li vedete certi alti papaveri della religione o della beneficenza, che vanno in giro vestiti da pagliacci e fanno la morale agli altri?

Coloro che si credono buoni sono in realtà affetti da un complesso di superiorità. Infatti si convincono che tutti gli altri sono difettosi e inferiori.

In sostanza sono troppo pieni di sé - e quindi non sono affatto virtuosi.

 

mercoledì 2 dicembre 2020

Un nulla che è tutto

 

Il sogno di tutti sarebbe quello di essere immortali o di avere un’altra vita in un aldilà o chissà dove. Tutti sentono che la vita è il bene più prezioso e la morte il male peggiore. Ma non è così. Quando ci avviciniamo alla vecchiaia ci accorgiamo che essere vecchi non è affatto un vantaggio. Perdiamo le forze, ci ammaliamo e spesso ci riduciamo a farci addosso i bisogni. Vivere anche solo 150 anni o 200 sarebbe una catastrofe. Inoltre è necessario lasciar spazio ai nuovi venuti.

Il problema è che siamo troppo attaccati al nostro io, fisico e mentale, e non vorremmo mai perderlo. Eppure, orgogliosi come siamo, non ci rendiamo conto che saremo mangiati dai vermi, così come noi abbiamo mangiato tutti gli altri animali e vegetali.

Questo non è un bel mondo, anche se ha momenti di felicità.

La paura della morte è però troppo forte. Abbiamo la sensazione di finire nel nulla.

Allora sarebbe meglio cambiare prospettiva. In realtà siamo usciti dal Tutto o dall’Uno e abbiamo costituito un isolotto separato e isolato. Abbiamo guadagnato un’individualità e una coscienza. Ma tutto questo non può durare: prima o poi il mare sommergerà l’isolotto.

Subiremo sì una perdita, ma non così grave come quella precedente - quella di esserci staccati dal Tutto.

Ragioniamo così: abbiamo perso il Tutto per avere il poco. Con la morte perderemo il poco per ritornare al Tutto.

 

 

 

lunedì 30 novembre 2020

Due perché

 

Un lettore mi domanda perché veniamo al mondo e il significato della nostra vita individuale.

Veniamo al mondo non perché lo abbiamo voluto noi, ma perché l’hanno voluto i nostri genitori, rispondendo ad un istinto. Ecco perché ci ritroviamo qui senza sapere il perché.

Lo scopo della vita è il vivere stesso, non un secondo fine come essere premiati o puniti.

A noi non resta che prenderne atto e cercare di evitare di frammentare l’Uno da cui proveniamo e in cui in realtà non ci manca niente.  

In sostanza la vita individuale è un grosso abbaglio, una costruzione della mente, che è destinata a sparire presto.

 

domenica 29 novembre 2020

La corsa della vita

 

Se consideri la vita come una corsa in cui bisogna arrivare primi, forse ce la farai, ma dovrai consumare tutte le tue risorse, non potrai occuparti di altro e arriverai presto al traguardo.

Ma qual è il traguardo della vita? Te ne rendi conto? E ti conviene arrivarci prima degli altri?

Oggi tutti ti mettono fretta e ti spronano a non perdere tempo. Ma il tempo lo si perde comunque.

Tutti i saggi da tempo immemorabile insegnano non ad arrivare primi ma ad assaporare ogni passo.

Che cos’è la vita se non una perdita di tempo? E più ne perdi, meglio è.

 

La consapevolezza della consapevolezza

 

Che cosa sarebbe un essere vivente senza consapevolezza? Niente, un semplice pezzo di materia.

Nessuno se l’è cercata, tutti se la sono trovata. Dapprima, appena nati, era minima, poi è aumentata - e così è nato il senso dell’io: io sono, io esisto, io sono vivo, io sono un individuo...

Ma la consapevolezza dura qualche decennio e poi svanisce. Come è venuta, così se ne va... Io devo morire: ecco il prezzo della consapevolezza!

Ma di che cosa è fatta questa consapevolezza così effimera, che va e che viene?

Evidentemente è presente nella materia vivente organizzata in un certo modo, un prodotto naturale della complessità. Ovunque c’è vita, lì c’è consapevolezza in quantità più o meno elevata.

La consapevolezza non è un semplice essere coscienti, ma un sapere di esserlo. E chi è il soggetto di questo sapere?

Un gatto o un cane, messi di fronte a uno specchio, non si riconoscono: credono che si tratti di un altro animale e magari cercano dietro lo specchio. Ma certe scimmie evolute e gli esseri umani si riconoscono. Sanno di essere proprio loro. Fanno un ulteriore passo. Hanno come un testimone della consapevolezza.

Che cos’è questo testimone? Una parte evoluta della consapevolezza o qualcosa di completamente altro? Ed è un vantaggio o uno svantaggio? Perché la super-consapevolezza è sì una facoltà in più, ma una facoltà che porta a una scoperta amara: siamo fatti per la vita perché siamo fatti per la morte.

Al centro della nostra galassia c’è un enorme buco nero che ingoia tutto: questo abbiamo scoperto. E non è una bella scoperta. Forse era meglio non scoprirlo.

 

venerdì 27 novembre 2020

La pace eterna

 

Questa espressione, oggi, appare obsoleta. Chi è che parla più di “pace eterna”? Nel nostro mondo c’è di tutto, ma non la pace... e men che meno eterna. La cerchiamo magari sulle montagne o al mare, in posti isolati, nelle famiglie, nell’amore, nei soldi, nel successo... ma dura comunque poco.

Il mondo non si basa sulla pace. Se stiamo fermi per mezza giornata, ci sentiamo già in crisi. Vogliamo muoverci, viaggiare, conquistare, fare e costruire - tutto meno che la pace.

La pace eterna la riserviamo ai cimiteri, perché lì ci sono silenzio e immobilità. Ma, per il resto, la rifuggiamo. Se anche troviamo un posto tranquillo, dopo un po’ ci annoiamo.

Non c’è niente da fare. Il mondo è costruito sull’attività, e nessuno può stare veramente in pace. Appena lo fa, la sua mente si mette a lavorare e allora è meglio muoversi e stordirsi.

La nostra mente non si ferma mai e ci tormenta. Questo è il problema. È la nostra coscienza che ci fa sentire sempre a disagio, perché questo è il destino di chi nasce. Sapere di essere è sì una gioia, ma anche una tortura che non finisce mai. Essere coscienti - diceva il saggio Eknath - è come essere punti da uno scorpione.

Allora non rimane che la morte. Ma la mente umana ha terrore della morte e vorrebbe un’altra vita dove ricominciare tutto daccapo.

 

 

 

I nuovi santi

 

Un tempo, nel Medioevo, le città e le nazioni si disputavano le reliquie dei santi, vere o false che fossero, e si facevano guerre per impossessarsene. Ma oggi la qualità dei santi è cambiata. Oggi ci si disputano le reliquie o qualche ricordo di Maradona. Le città e le nazioni si contendono l’onore di averlo ospitato. In Argentina si verificano tumulti perché milioni di persone non riescono a visitare la sua salma. Chi ha qualcosa di lui si ritiene miracolato. A Napoli si è deciso di dare allo stadio il nome di Maradona, scalzando san Paolo che non infiammava più i cuori.

Il Papa argentino fa telefonate di condoglianze e prega per la sua anima. Vedrete che qualcuno chiederà di farlo santo... il santo del piede o della manina, il santo del pallone.

Certo, non è mai successo che tutto questo fervore fosse suscitato dalla morte di uno scienziato o di un uomo di cultura. Ma questi sono i tempi. E questa è l’umanità con cui abbiamo a che fare.

 

giovedì 26 novembre 2020

L'inganno dell'innamoramento

 

Il carattere di illusorietà del mondo è ben esemplificato dal fenomeno dell’innamoramento. Ci si innamora di una donna o di un uomo credendolo una certa persona e poi, dopo un po’, ce ne troviamo un’altra che non conosciamo. Abbiamo preso un abbaglio.

Ma l’universo intero è un abbaglio, cioè un bagliore. Una gran luce, un gran rumore, che dura un po’ e infine si spegne.

Che cos’è la luce se non un bagliore e che cos’è un bagliore se non un abbaglio? E che cosa rimane dopo l’abbagliamento? Ritorna la realtà

Non a caso le donne si truccano e gli uomini cercano di apparire quelli che non sono. Insomma tutti cercano di imbrogliare con false immagini di sé e si innamorano di false immagini.

In fondo gli uomini cercano l’antica immagine della madre-amante-dea e le donne cercano l’immagine del padre-amante-dio. Ma si tratta appunto di immagini, di abbagli, non di realtà.

Tutti prendono abbagli, tutti si sbagliano. Il mondo è la commedia degli equivoci, basata su errori di riconoscimento, su sogni della mente.

Ma i sogni - come tutti sanno - durano poco e sono destinati a dissolversi.

 

 

La gioia di esistere

 

La gioia di esistere è un fatto istintivo. Basta guardare i cuccioli di tutti gli animali, noi compresi, che giocano e si divertono. Se non ci fosse questo piacere, la vita si sarebbe estinta già da un pezzo. Ma il mondo è duale e, se volete la gioia, dovete prendervi anche il suo contrario.

E quindi gli esseri umani (e anche non umani) passano di continuo da un estremo all’altro. Ogni stato d’animo ha il suo opposto.

Poiché la gioia è un fatto naturale, non serve a nulla cercare di ottenerla con sforzi e artifici. Anzi, più la cerchiamo, più ce ne allontaniamo. È più utile togliere che aggiungere.

Vi sono anche gioie dovute a conquiste, vittorie, successi, scoperte e a tutto ciò che la mente ha elaborato. Ma anche queste comportano i loro opposti: perdite, sconfitte, fallimenti, delusioni, ecc.

Insomma non c’è niente di duraturo. E questo è già un marchio negativo. Ci saranno sempre insoddisfazione e sofferenza.

Ora, la domanda è: bastano le poche gioie a compensare le angosce e i vari dispiaceri? Ognuno potrà dare la sua risposta, basata sui risultati della propria vita. Ma il saggio contempla questo panorama e trova che sia sconfortante.

C’è evidentemente un grave “difetto di fabbricazione” (proprio un peccato originale - ma da parte di chi?) nello statuto del mondo. Rispetto a ciò che c’era prima si è creata una crepa, una divisione, un fallo che rende instabile il tutto (da qui il divenire) ed è destinato prima o poi a far esplodere la bolla, facendola rientrare là da dove era scaturita. E nessuno ne sentirà la mancanza.

 

 

martedì 24 novembre 2020

Samadhi

 

Tutto gira intorno alla coscienza: non solo la conoscenza ma anche l’ignoranza, non solo la verità ma anche la falsità. La coscienza ci permette di sapere che siamo esistenti, ma ci offre contemporaneamente una visione condizionata del mondo.

A noi sembra la facoltà suprema, ma anch’essa ci dà informazioni false e alla fine dovrà sparire insieme al corpo e alla mente. La meditazione dovrebbe riguardare proprio questo meccanismo.

Quando lo facciamo, diventiamo i testimoni della stessa coscienza spostandoci su un altro piano. Ma non per essere più coscienti; semmai per scoprire come si possa essere in assenza di coscienza.

Samadhi è superamento della coscienza.

In effetti il testimone della coscienza non ha coscienza di sé - del sé limitato - perché non ha né divisioni né sofferenza, perché si allarga il più possibile. In tal senso si libera delle immagini e dei concetti mentali.

Chi sa che la coscienza normale è limitata, si libera della coscienza di sé. La realtà ultima, per “essere”, non ha neppure bisogno di esistere e di essere cosciente.

 

lunedì 23 novembre 2020

Il ribelle

 

Solo il suicida ha una fede nel potere annientante e liberante della morte. Avendo un dolore insopportabile che gli impedisce di vivere, vede nella morte almeno la fine della sofferenza.

Ma quelli che hanno una fede nell’origine divina della vita vorrebbero in qualche modo punirlo perché è sfuggito al controllo sociale-religioso e ha voluto “far da sé”. Ha voluto essere autonomo. E allora immaginano un Dio che lo punisca in qualche altra esistenza facendolo di nuovo soffrire.

Non c’è limite al sadismo religioso.

La religione è un sistema di controllo sociale che vuole l’assoggettamento degli individui in vita e in morte... Tu non sei tuo, tu devi dipendere da Dio e dagli altri. Guai a te se vuoi essere libero - questo ci dicono tutti gli Iddii da tempi immemorabili.

In tal senso ispirano tutte le dittature.

 

domenica 22 novembre 2020

La paura della morte

 

Sulla Terra sono passati molti grandi uomini, scienziati, fondatori di religioni, mistici, “salvatori” o “figli di Dio”, ma sono tutti morti e il mondo non è cambiato: le sue leggi sono sempre le stesse e tutti continuano ad aver paura della morte.

Aver paura della morte significa identificarsi con il corpo-mente ed essere consapevoli che il nostro io psico-fisico svanirà. Dopo aver tanto lavorato e faticato, tutto andrà perduto. Si capisce che la prospettiva non piaccia a nessun essere umano.

Di conseguenza ci siamo inventati Iddii, reincarnazioni e ogni genere di paradisi-inferni-purgatori che dovrebbero assicurarci qualche genere di sopravvivenza. I cristiani credono anche alla resurrezione dei corpi, il che ci dice che per loro l’individualità materiale è tutto. Ma le prove?

Per ora, l’esperienza ci dice che finirà il corpo, finirà la mente, finirà la coscienza e finirà il senso dell’io. Da qui la nostra angoscia. Nessuno può essere sicuro di niente. E nessuno si accontenta di una sopravvivenza solamente spirituale. Vogliamo ben altro: la materialità, la fisicità, la sensualità, la sessualità, ecc. - purtroppo, tutte cose legate alla sofferenza e alla morte.

C’è un unico punto che ci consola: che c’è un testimone di tutto questo, un testimone che osserva ogni cosa restandone distaccato. È come uno specchio su cui passa ogni immagine, ma che ne rimane separato e non-toccato.

Nei momenti peggiori, è a questo testimone che ci affidiamo perché porta con sé una certa calma. Ma, quando non ci sarà più niente, di che cosa dovrà essere testimone? Può esserci un testimone senza qualcosa da testimoniare?

Di fronte al nulla non possiamo più procedere. Ma forse dobbiamo rivalutare questo nulla, che non è tanto l’assenza di ogni cosa, quanto il limite per ora invalicabile della nostra conoscenza. Forse tutto quel che appare e ciò di cui siamo coscienti è appunto un’illusione, un sogno, ignoranza o falsa conoscenza, e la sua scomparsa ci porta su un piano dove non è più necessaria la coscienza di sé, con tutta la frammentazione e la sofferenza che ne consegue.

 

sabato 21 novembre 2020

Comprendere la realtà ultima

 

Molte religioni credono che ci si salvi l’anima facendo del bene. Ma, a parte il fatto che spesso non è chiaro che cosa sia il bene, noi pensiamo che ci si salvi comprendendo le cose. Nel primo caso, c’è sempre bisogno di un Dio che giudichi e ricompensi; nel secondo non c’è bisogno di nessun salvatore esterno, e la stessa comprensione, trasformata in azione, è il fattore salvifico.

Se sono su una nave che affonda, posso certo sperare che qualcuno mi salvi; ma sarebbe meglio aver imparato a nuotare e conoscere la direzione per raggiungere la terra.

Ma comprendere come stanno le cose è molto difficile, perché noi siamo vittime di una specie di allucinazione che ci fa vedere solo ciò che proiettiamo noi stessi con la nostra mente.

Non a caso sempre più studi scientifici mettono in evidenza come vi sia più di un’analogia fra cervello e universo. Per esempio, il numero dei neuroni corrisponde al numero delle galassie e inoltre vi sono somiglianze nella struttura a filamento di entrambi, tra l’acqua nel cervello e la materia oscura, nella densità spettrale, nel numero medio delle connessioni di ciascun nodo, ecc.

 È come se il nostro cervello fosse un universo in miniatura, oppure è come se il nostro cervello proiettasse se stesso nell’universo. In breve, si conferma l’idea di certe filosofie orientali secondo cui il mondo che vediamo è una nostra stessa proiezione.

Ecco perché, quando ci domandiamo quale sia il reale, non troviamo mai un senso o il bandolo della matassa. La nostra logica comprende questo mondo, ma non è la stessa su cui si basa la realtà ultima. Per capire qualcosa della realtà ultima, oltre il nostro dualismo, bisogna far tacere la mente con le sue contrapposizioni e i suoi concetti. Altrimenti vi troviamo solo ciò che noi stessi vi abbiamo messo dentro, compresi Iddii e anime, e giriamo a vuoto.

 

 

martedì 17 novembre 2020

Scoprire gli stereotipi

 

L’individuo religioso di stampo tradizionale crede che basti qualche sacrificio o l’esecuzione di qualche rituale per imboccare la strada giusta. Ma ci vuole ben altro - ci vuole comprensione. Se non capiamo come è fatto il mondo, rischiamo di essere soltanto degli imitatori non autentici. È vero che dobbiamo scegliere il non coinvolgimento e il non attaccamento a congiunti e a beni materiali e spirituali. Ma questo comprende anche l’amore per la perfezione, il servizio reso agli altri, l’orgoglio e l’autostima basati su valori sbagliati.

Vuoi diventare un santo? Vuoi diventare un essere divino? Ma su che basi di santità e di divinità?

L’intero mondo e le nostre divinità sono prodotti della mente con i suoi concetti - ecco che cosa ci deve diventare chiaro. Tutto è falso, compreso i nostri concetti di Dio o di anima. E l’adorazione di queste immagini o l’adeguamento ad esse non ci porta da nessuna parte.

C’è una coscienza che è libera sempre e c’è una coscienza che si è comunque venduta al mondo degli stereotipi.

La via spirituale è vedere il condizionamento che subiamo, nel campo delle idee, delle emozioni e dei comportamenti.

Dobbiamo liberarci degli schemi ripetitivi e dei pregiudizi. E ciò non può avvenire se non installandoci nella coscienza testimone, che osserva con distacco il mondo, noi stessi e gli altri e vede le recite della nostra esistenza. Perché noi viviamo per lo più nel mondo dei valori falsi, delle illusioni, dei miti e dei sogni.

All’inizio, tutto ci viene dato dagli altri. E la via per diventare noi stessi passa per una liberazione dell’appreso, dall’abituale e dal luogo comune.

 

 

lunedì 16 novembre 2020

Il principe di questo mondo

 

Sento uomini di Chiesa farneticare di Dio e di Satana e considerare il mondo come una lotta tra queste due figure mitologiche. Il loro pensiero è vecchio e rozzo: risale addirittura al manicheismo persiano. Se le cose vanno bene (secondo loro), è tutta opera di Dio; se le cose vanno male, è tutta opera di Satana. Ma un simile Dio, che dovrebbe essere onnipotente, tutto amore e bontà, non sarebbe capace di liberarci di Satana?

Oltre agli innumerevoli mali dell’esistenza, c’era il bisogno di un personaggio come Satana? Chi se lo è inventato? Da dove è uscito?

Da chi, se non dalla mente malata di chi non riesce a vedere l’unitarietà del mondo? E non riesce a capire che bene e male, Dio e Satana sono le due facce di una stessa medaglia?

Gli ignoranti credono che un giorno il bene trionferà, e non vedono che bene e male si alimentano a vicenda. Il mondo è un impasto di queste forze contrastanti e, quindi, o rimarrà sempre così o scomparirà per sempre tutto insieme, con Dio e con Satana. E quest’ultima sarebbe la soluzione migliore.

 

Liberarsi del pensiero mitologico

 

Sembra che l’individualità, il senso dell’io, il senso di essere e la coscienza siano le cose più importanti. E lo sono in questo mondo. Ma la loro apparizione corrisponde alla comparsa della paura di perderli... tanto più che siamo certi che, prima o poi, li perderemo. Una delle poche certezze. Ed ecco la necessità di stordirci in mille attività e pensieri.

Stiamo costruendo sul nulla, sapendo che tutto crollerà. Questa è la condizione umana.

Strano paradosso l’esistenza umana.

Per resistere in questa condizione, dobbiamo o non pensarci o affidarci a qualche religione. Da qui nasce il pensiero religioso con la sua mitologia priva di ogni fondamento. Ovvero fondato sulla paura della morte.

Perché non affrontare direttamente la verità e guardare in faccia la realtà? L’intero mondo, con le sue attività e le sue fedi, è un assurdo, un brutto sogno, e la sua sparizione sarà la vera liberazione.

 

sabato 14 novembre 2020

La fine della morte

 

Chi mette al mondo la vita mette al mondo la morte. Il mondo è un labirinto da cui si può uscire solo morti.

Ingenuamente i primi seguaci di Gesù pensavano di venire assunti direttamente in cielo. Ma si dovettero subito accorgere della loro illusione. Del resto, anche Gesù era dovuto morire - e con che brutta morte!

Non c’è un altro modo di uscire dalla trappola in cui ci troviamo. Ed è inevitabile che sia così. Le fede nella vita è in realtà la fede della morte. Non si può separare l’una dall’altra. Il mondo costruito dalla nostra mente duale è un mondo duale: non si può prendere una della due estremità senza prendere anche l’altra.

Bene-male, alto-basso, giusto-ingiusto, buono-cattivo, inizio-fine, amore-odio, essere-nulla... e appunto vita-morte. Possiamo pensare qualcosa senza pensare anche il suo contrario?

E il pensiero non è solo un sovrapporre un velo alla realtà, ma una creazione, una proiezione. Ciò che pensiamo è inevitabilmente ciò che è.

Gli ignoranti che credono nella vita, creano anche la morte.

Per uscire dal dualismo, dovremmo uscire dalla mente con tutti i suoi concetti e le sue parole.

Liberiamoci dunque da tutte le idee, soprattutto da quella di essere degli individui che sono all’interno di un tempo e di un mondo limitato.

Noi non ci rendiamo conto di essere i creatori di questo mondo. Se potessimo arrivare ai confini dell'universo, che cosa potremmo incontrare se non la nostra mente?

 

giovedì 12 novembre 2020

I negazionisti

 

La biologa Barbara Gallavotti sostiene che nei negazionisti si attiva un processo mentale simile a quello della demenza, secondo il quale si diventa incapaci di distinguere tra informazioni fondate e informazioni infondate.

Non è però una novità. L’incapacità di distinguere tra il reale e il falso è tipica della condizione umana. Il mondo intero, così come ci si presenta, è una colossale mistificazione, una specie di sogno (o di incubo) a occhi aperti.

Ciò che tutti negano è l’inevitabilità della sofferenza, tanto che esiste una continua ricerca di una felicità durevole - cosa che è evidentemente impossibile. Si ripete di continuo, come un mantra, che la vita è bella, che è un dono divino, che è un bene moltiplicarla.

Perfino di fronte all’evidenza della malattia, della vecchiaia e della morte, ci si ostina a sognare qualche altra vita su questa terra o nell’aldilà.

Non ci si rende conto che tutto ciò che nasce è destinato a disgregarsi e a morire.

Così, invece di sognare improbabili rinascite (con le loro inevitabili ri-morti), cerchiamo di capire che cosa ci sia al fondo di tutto questo divenire e quale possa essere davvero un’esperienza di immortalità. Non una vita eterna, ma l’uscita dal binomio vita-morte, con tutte le sue contraddizioni.

La vita-morte va vista come un’allucinazione della mente, un abbaglio, e il cosmo come una bolla di sapone che prima o poi scoppia. Qui non ci sono né certezza né stabilità e le leggi della sopravvivenza sono feroci.

Quando non eravamo nati, eravamo forse infelici? Sentivamo forse qualche necessità, il bisogno di esistere?