domenica 22 novembre 2020

La paura della morte

 

Sulla Terra sono passati molti grandi uomini, scienziati, fondatori di religioni, mistici, “salvatori” o “figli di Dio”, ma sono tutti morti e il mondo non è cambiato: le sue leggi sono sempre le stesse e tutti continuano ad aver paura della morte.

Aver paura della morte significa identificarsi con il corpo-mente ed essere consapevoli che il nostro io psico-fisico svanirà. Dopo aver tanto lavorato e faticato, tutto andrà perduto. Si capisce che la prospettiva non piaccia a nessun essere umano.

Di conseguenza ci siamo inventati Iddii, reincarnazioni e ogni genere di paradisi-inferni-purgatori che dovrebbero assicurarci qualche genere di sopravvivenza. I cristiani credono anche alla resurrezione dei corpi, il che ci dice che per loro l’individualità materiale è tutto. Ma le prove?

Per ora, l’esperienza ci dice che finirà il corpo, finirà la mente, finirà la coscienza e finirà il senso dell’io. Da qui la nostra angoscia. Nessuno può essere sicuro di niente. E nessuno si accontenta di una sopravvivenza solamente spirituale. Vogliamo ben altro: la materialità, la fisicità, la sensualità, la sessualità, ecc. - purtroppo, tutte cose legate alla sofferenza e alla morte.

C’è un unico punto che ci consola: che c’è un testimone di tutto questo, un testimone che osserva ogni cosa restandone distaccato. È come uno specchio su cui passa ogni immagine, ma che ne rimane separato e non-toccato.

Nei momenti peggiori, è a questo testimone che ci affidiamo perché porta con sé una certa calma. Ma, quando non ci sarà più niente, di che cosa dovrà essere testimone? Può esserci un testimone senza qualcosa da testimoniare?

Di fronte al nulla non possiamo più procedere. Ma forse dobbiamo rivalutare questo nulla, che non è tanto l’assenza di ogni cosa, quanto il limite per ora invalicabile della nostra conoscenza. Forse tutto quel che appare e ciò di cui siamo coscienti è appunto un’illusione, un sogno, ignoranza o falsa conoscenza, e la sua scomparsa ci porta su un piano dove non è più necessaria la coscienza di sé, con tutta la frammentazione e la sofferenza che ne consegue.

 

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