sabato 7 novembre 2020

Affrontare il coronavirus

 

I più si domandano: “Che cosa dobbiamo fare per combattere il coronavirus?” E immaginano che ci sia da intraprendere una battaglia e combattere chissà chi. Gli americani, per esempio, si armano (come se fosse possibile sparare al virus). Ma in realtà si tratta più che altro di un non fare. Non creare assembramenti, non andare in giro senza presidi di protezione, non tenere contatti stretti con sconosciuti e anche con parenti, non partecipare a riunioni, non viaggiare, ecc. Tutto il contrario di quello che abbiamo fatto finora.

Noi siamo ossessionati dal fare, dal muoverci e dal partecipare. Se rimaniamo fermi in una stanza per un’ora, impazziamo. Se non ci spostiamo da un posto all’altro in continuazione, ci sentiamo male. Se non ci distraiamo, se non facciamo gruppo, ci sentiamo soli. Se non pensiamo a qualcosa, ci sentiamo vuoti e inutili.

Ma ci sono circostanze, come questa, in cui bisogna “fare” il contrario. Non fare. Non spostarsi, non stare in compagnia, non contattare, non farsi prendere da ubbie, da deliri e da panico. Stare tranquilli.

Il “non fare”, il vuoto, il nulla hanno antiche origini e stanno prima del fare, del pieno e del tutto. Che cosa sarebbe una musica senza gli intervalli di silenzio? Che cosa sarebbe un vaso senza il vuoto del suo interno? Che cosa sarebbe il pensare senza il vuoto tra un’immagine e l’altra?

“Non fare” è ritornare alle origini della vita, del mondo e di noi stessi. Approfittiamone.

 

 

 

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