Che cosa sarebbe un essere vivente senza consapevolezza? Niente, un semplice pezzo di materia.
Nessuno se l’è cercata, tutti se la sono trovata. Dapprima, appena nati, era minima, poi è aumentata - e così è nato il senso dell’io: io sono, io esisto, io sono vivo, io sono un individuo...
Ma la consapevolezza dura qualche decennio e poi svanisce. Come è venuta, così se ne va... Io devo morire: ecco il prezzo della consapevolezza!
Ma di che cosa è fatta questa consapevolezza così effimera, che va e che viene?
Evidentemente è presente nella materia vivente organizzata in un certo modo, un prodotto naturale della complessità. Ovunque c’è vita, lì c’è consapevolezza in quantità più o meno elevata.
La consapevolezza non è un semplice essere coscienti, ma un sapere di esserlo. E chi è il soggetto di questo sapere?
Un gatto o un cane, messi di fronte a uno specchio, non si riconoscono: credono che si tratti di un altro animale e magari cercano dietro lo specchio. Ma certe scimmie evolute e gli esseri umani si riconoscono. Sanno di essere proprio loro. Fanno un ulteriore passo. Hanno come un testimone della consapevolezza.
Che cos’è questo testimone? Una parte evoluta della consapevolezza o qualcosa di completamente altro? Ed è un vantaggio o uno svantaggio? Perché la super-consapevolezza è sì una facoltà in più, ma una facoltà che porta a una scoperta amara: siamo fatti per la vita perché siamo fatti per la morte.
Al centro della nostra galassia c’è un enorme buco nero che ingoia tutto: questo abbiamo scoperto. E non è una bella scoperta. Forse era meglio non scoprirlo.
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