lunedì 28 gennaio 2013

Religione e soldi


Il cardinale Angelo Bagnasco afferma che "la gente vuole che la politica cessi di essere una via indecorosa per l'arricchimento personale".
D'accordo, ma noi lo vorremmo anche per la religione.

sabato 26 gennaio 2013

Lo scandalo degli insegnanti di religione



Trovo molto interessante il seguente articolo che riprendo dal sito http://www.uaar.it/news/2013/01/21/insegnamento-della-religione-omofobia/
L'UAAR è l'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti.

 "Un professore di religione che fa propaganda anti-gay tra gli studenti di un liceo. È accaduto pochi giorni fa a Venezia. Un evento tristemente istruttivo di quanto l’omofobia ancora oggi possa trovare forti giustificazioni religiose. E che ci deve far interrogare sulla qualità dell’insegnamento propinato dai professori di religione cattolica nelle scuole pubbliche.

In una quarta classe del liceo “Marco Foscarini” di Venezia un insegnante di religione, Enrico Pavanello, tratta a modo suo la questione dell’omosessualità. Un tema caldo, che si lega a questioni come matrimonio, famiglia, adozione, procreazione assistita, e che suscita dibattito tra i ragazzi. Andrebbe preso con le molle, esprimendo quantomeno comprensione. Ma il professore, sollecitato, scrive di suo pugno una serie di appunti che fotocopia e distribuisce agli studenti. Il foglio pare poi sia stato condiviso su Facebook da una delle madri, indignata per il suo contenuto. E la storia finisce così sui giornali.



"Nel volantino in questione, dal titolo “Libertà di ragione”, il docente di religione esordisce distinguendo tra “omosessualità” e “ideologia gay”. Si passa poi alla definizione, semplicistica, di ciò che l’insegnante ritiene sia la “cultura gender”. Viene inopinatamente citato pure Friedrich Engels. “Nessuno fino ad oggi ha scoperto il fondamento genetico dell’omo”, aggiunge, contestando poi la “bufala del 10%” di gay attribuita — erroneamente — al sessuologo Charles Kinsey. ”Allo stato attuale delle ricerche si può parlare in ‘casi singoli’ di una ‘predisposizione’, ma non di una determinazione genetica comune e irrevocabile”, continua Pavanello, riducendo così i gay a pochi anormali e confusi.

Snocciola quindi quelli che ritiene effetti della “cultura gender”: “si sdogana la pedofilia”, “spariscono i termini ‘padre’ e ‘madre’”, “ci si apre alla poligamia”, “si affidano i bimbi/e alle coppie gay”, nonché il “far west della fecondazione artificiale”. E alla fine, la definizione dell’omosessualità: “ferita dell’identità che affonda le radici in bisogni affettivi”, che “sperimenta una diversità indesiderata”; nonché “un’elaborazione della psiche di modelli affettivi diversi da quelli verso cui la natura normalmente orienta, una tendenza del tutto reversibile”.

Sottocultura omofoba che viene propagandata con sicumera dall’integralismo cattolico

In sostanza, è proprio quella sottocultura omofoba che viene propagandata con sicumera dall’integralismo cattolico e che trova spazio negli strali di certi siti web ultra-tradizionalisti. Nel volantino sono ben riassunte e volgarizzate le classiche leggende metropolitane, i pregiudizi, le esagerazioni, le imprecisioni, semplificazioni e slippery slope della propaganda anti-gay. Si parla pure di studi — scarsissimi, molto controversi rispetto alla letteratura consolidata e adattati a proprio uso e consumo — e di esperti, per dare una parvenza di scientificità a tesi retrive e omofobe.

Ed è preoccupante che anche alcuni quotidiani nazionali peschino ormai fonti per gli articoli da certi aspiranti stregoni integralisti, quando si tratta di attaccare l’omosessualità. Come accaduto qualche mese fa, ma anche di recente. Perché oggi la strategia di delegittimazione delle istanze per i diritti civili dei gay da parte degli integralisti religiosi strumentalizza scienza e argomentazioni ‘laiche’, che fanno riferimento soprattutto alla psicologia.

Raggiunto dall’Huffington Post, ma non pago, Pavanello si è difeso proprio così. Ha ribadito che “l’omosessualità è una scelta, e lo dicono anche autorevoli studiosi”. Aggiungendo candidamente: “Quando gli studenti manifestano un orientamento omosessuale, oppure mi chiedono spiegazioni, consiglio loro dei centri dove è possibile rivedere questo orientamento. Ce ne sono molti”.

Il professore di religione è dunque un aperto sostenitore delle ‘cure’ per gli omosessuali, le famigerate terapie “riparative” o “di conversione” (che, non a caso, si accompagnano sovente ad esercizi spirituali e preghiere). E veniamo a sapere che in Italia esistono molti professionisti che si dedicano a queste pratiche, che hanno già destato scandalo negli Stati Uniti specie per i danni psichici inflitti ai minori, tanto da essere bandite dalla California. Ci chiediamo se non sia il caso che ministero della Salute, quello dell’Istruzione e l’ordine degli psicologi indaghino sulla questione.

Tutte idee che si nutrono, vale la pena di ricordarlo, anche di pregiudizi religiosi. E che ne rappresentano una versione ora più presentabile. Non è un caso l’accanimento delle gerarchie religiose. Ancora due giorni fa Benedetto XVI ha per l’ennesima volta criticato, oltre all’ateismo e alla cultura dei diritti, proprio “filosofie come quella del gender”. Con espressioni solo più edulcorate e vaghe rispetto a quelle maldestramente esposte dall’insegnante veneziano.

Il direttore dell’istituto balzato agli onori della cronaca, Rocco Fiano, prende le distanze dall’incauto docente. In una nota spiega: “parole decisamente infelici, talvolta decisamente inaccettabili, specie per l’uso di citazioni fuori contesto, suscettibili di interpretazioni che possono ferire chi ascolta”. “Affermazioni che si presentano come scientifiche”, aggiunge, “ma che ben poco supporto possono offrire in tal senso”. Temi così delicati, continua, “non possono essere affrontati in modo semplicistico, ma esigono di essere discussi in un clima sereno e rispettoso”.

Un insegnamento conforme alla dottrina della Chiesa in materia di omosessualità

Non siamo comunque stupiti per le uscite del professore di religione. Perché sta impartendo, come è tenuto a fare, un insegnamento conforme alla dottrina della Chiesa in materia di omosessualità. Senza contare che in qualità di insegnante di religione cattolica viene scelto a insindacabile giudizio del vescovo. A non rigar dritto ci paiono casomai i professori più aperti, quelli che si rifiutano di impartire insegnamenti antiquati e diseducativi o non si adeguano alle stringenti direttive episcopali anche nei comportamenti personali. Come Aniello D’Angelo, che aveva chiesto la riduzione allo stato laicale protestando su Facebook. O Genesio Petrucci, omosessuale che giustificava l’uso del preservativo. Per citare alcuni di quelli cui la curia ha rimosso dall’incarico.

Non mancano, sul fronte opposto, casi di professori di religione che durante le elezioni diffondono idee omofobe e intolleranti, come avvenuto a Ravenna. Siamo sicuri che una parte non indifferente degli insegnanti di Irc non sia oggi così retriva. E che anzi sia anche più avanti rispetto alle gerarchie religiose. Ma è costretta giocoforza a piegarsi ai desiderata dei vescovi, che ne hanno in mano la conferma o meno dell’idoneità. Certi episodi si ripercuotono però su tutta la categoria ed evidenziano un pesante problema di aggiornamento educativo.

I genitori dovrebbero dal canto loro interrogarsi sull’educazione che ricevono i figli, soprattutto in tenerà età, quando non hanno la forza di protestare pubblicamente. Quale insegnamento si può trarre dai concetti di eterne punizioni infernali, di possessioni demoniache, della superstizione, dell’intercessione a enti sovrannaturali a scapito della responsabilizzazione individuale, dello sviluppo della coscienza critica e del senso civico, della razionalità e della solidarietà?

I ragazzi e i genitori possono scegliere. Scegliere di non frequentare o non far frequentare l’ora di religione

Di fronte a episodi del genere, i ragazzi e i genitori possono scegliere. Scegliere di non frequentare o non far frequentare l’ora di religione ai propri figli. Grazie anche all’azione legale dell’Uaar, l’ora alternativa all’Irc deve essere garantita per legge da tutte le scuole pubbliche. Proprio da oggi 21 gennaio si aprono le iscrizioni per l’anno scolastico 2013/2014, da effettuare on line seguendo le indicazioni. Nell’iscrizione online, di fronte alla “Scelta relativa all’insegnamento della religione cattolica/attività alternative”, l’Uaar invita a optare per queste ultime che, viene precisato, “saranno comunicate dalla scuola all’avvio dell’anno scolastico”. Chi invece non è in fase di passaggio ad un nuovo istituto scolastico può consegnare in segreteria gli specifici moduli per non frequentare più l’insegnamento della religione cattolica e optare per l’alternativa preferita."

Da parte mia aggiungo una semplice osservazione. In un paese dove non si trovano i soldi per pagare i ricercatori scientifici si trovano però i soldi per pagare un esercito di insegnanti di religione, scelti dai vescovi, che diffondono senza controllo idee aberranti - idee che sono all'origine del sottosviluppo culturale italiano. È questo lo scandalo in Italia. Leggo proprio oggi che in Russia è stata varata la legge anti-gay: "Vietato parlarne".

Il meccanismo dell'amore

L'uomo si innamora della donna che gli ricorda in qualche maniera il suo primo amore: la madre. La donna si innamora dell'uomo che le ricorda in qualche maniera il suo primo amore: il padre. Entrambi sono dunque rigidamente condizionati. L'uomo, quando si innamora, si mette al servizio della donna e dei figli che verranno con lei. Ma anche la donna si mette al servizio... di che cosa? Della natura che è in lei. Allora chi è veramente libero di scegliere? Nessuno, a meno che non ci si renda conto di questo gigantesco meccanismo che condiziona tutti gli esseri viventi - un meccanismo preciso, ben oliato e intenzionale che è votato alla riproduzione di se stesso e che va avanti dall'origine dei tempi, un meccanismo che si fonda su un motore solo: il desiderio. Aveva ragione il Buddha. È il desiderio che fa andare avanti questa immensa baracca, una specie di fabbrica in grande di un prodotto che si chiama vita. E noi siamo tutti operai... tranne coloro che si ribellano perché si sentono prigionieri. Solo a quel punto nasce l'idea di una liberazione. Non se ne esce senza una preventiva presa di coscienza, che può essere definita una "visione", un modo di vedere le cose. L'amore, il tanto decantato amore, a ben vedere, non è che lo zuccherino che noi diamo agli animali per renderli docili e fargli fare quel che vogliamo; e quindi non può essere, almeno quello basato sull'istinto, uno strumento di liberazione. Il vero strumento è la consapevolezza.

Il pensiero unico


Su Avvenire, il giornale dei vescovi, sono stati pubblicati i nomi dei politici cattolici nei vari partiti. Evidentemente, sono tutti chiamati a obbedire alla loro fede, cioè ai voleri della gerarchia ecclesiastica. Dunque la Chiesa si propone come un qualsiasi partito - e non è una novità. Ma, se è sempre rispettabile che qualcuno eserciti l'obiezione di coscienza quando vengano approvate leggi  contrarie ai suoi principi, qui viene delineato l'obbligo di appartenenza, il contrario esatto dell'obiezione di coscienza. Dov'è finita la coscienza personale dei cattolici? Un cattolico è chiamato a pensare con la propria testa, o dev'essere soltanto un replicante diretto da qualcun altro? E questo plumbeo conformismo non è all'origine di tanta cultura autoritaria, nemica della libertà di coscienza? Sarà anche per questo che in Italia c'è così poca democrazia e, soprattutto, incapacità di pensare autonomamente?
Io sono convinto che in Italia siamo così poco democratici e così poco evoluti, rispetto agli altri popoli protestanti, perché siamo cattolici. E un cattolico non è tenuto a utilizzare la propria coscienza. I risultati si vedono: anche in campo economico, dove conta l'iniziativa personale, la capacità di pensare con il proprio cervello, al di là delle convenzioni e dei luoghi comuni.

giovedì 24 gennaio 2013

Aborti clandestini


Ormai tutte le legislazioni del mondo regolamentano l'aborto - ed è giusto che sia così. Ma non c'è nessuna legislazione che regolamenti quell'altro genere di aborto che è ancora più diffuso: l'uccisione delle natura originale del bambino. Eppure nella maggior parte delle famiglie, si pratica questo rituale cruento che consiste nel soffocare certe tendenze del bambino fino a ucciderne la spontaneità.
Come siamo indietro, noi esseri umani! Regolamentiamo tutto ciò che è visibile, ma ci disinteressiamo della dimensione psicologica. Eppure abortire fisicamente un bambino non è più grave che uccidere la sua natura e farne un pappagallo ammaestrato, un cittadino conformista, un individuo alienato, un piccolo egoista senz'anima. I delitti che non sono materiali non vengono puniti.
Diceva bene George Bernard Shaw: "The vilest abortionist is he who attempts to mould a child’s character - il più vile abortista è colui che cerca di plasmare il carattere di un bambino".

lunedì 21 gennaio 2013

La meditazione di quiete


Perché è così importante nella pratica della meditazione lo stare tranquilli, lo stare seduti semplicemente senza reagire in modo condizionato? Perché, se pratico questo tipo di meditazione, cresce ogni giorno la familiarità con la spaziosità, con una sensazione di libertà. Pratico il tornare al presente, al centro. Lascio cadere, lascio andare… creo uno spazio intorno alla mia ansia, alla mia voglia di agire e di reagire. Riscopro il nucleo sereno di me stesso, il mio equilibrio. Non devo più tormentarmi per salvare me stesso o il mondo. In realtà, tutto va bene così com'è, anche se sto naufragando, anche se sono infelice. Posso sorridere anche sull'orlo dell'abisso. Che cosa può succedermi di più terribile di ciò che sto già facendo a me stesso facendomi travolgere dall'angoscia, sforzandomi di essere diverso da ciò che sono?
Io pratico la distensione. Che è il contrario della tensione. Di tensione ci si ammala, di stress si muore. C'è un'emergenza? E io sto tranquillo. C'è una crisi? Ma quando mai non c'è una crisi? Crisi significa soltanto cambiamento.
Questo non significa che non devo fare niente. Stando tranquillo e in silenzio, sto già facendo molto: sto volgendo le forze evolutive, le forze cosmiche, a mio favore.
Ma devo meditare. Devo sforzarmi di non sforzarmi, devo fare della quiete il risultato di una pratica... il che è già un pensiero sbagliato, un pensiero che mi pone nella logica "produttivistica" di raggiungere un obiettivo. No, devo semplicemente essere ciò che sono, qui e ora.
Nella meditazione non devo "dovere", devo soltanto essere.
Non proponiamo né una fede né una tecnologia. Piuttosto un riconoscimento, un'accettazione, una forma di amore. Ma soprattutto pace.
La chiamiamo meditazione di quiete (shamata), ma potremmo paragonarla ad un reset che riporta un dispositivo alle condizioni originali di fabbrica.
"Per colui che non medita non c'è pace" dice la Bhagavad Gita.

sabato 19 gennaio 2013

Medjugorje


Nonostante i due ultimi vescovi della diocesi di Mostar-Duvno dichiarino concordi che le presunte apparizioni della Madonna a Medjugorje siano "una messinscena ordita dai frati francescani erzegovinesi", certa gente non ne vuol sapere e continua a credere a chissà quali miracoli. Non c'è niente da fare: la parte più primitiva degli uomini sente ancora bisogno delle apparizioni degli dèi. E la Chiesa? La Chiesa fa la furba: non si pronuncia - ognuno creda quello che vuole. Il fatto è che l'affare è colossale e molti si sono fatti ricchi - insomma un miracolo c'è pur stato. Non c'è stata la moltiplicazione dei pani e dei pesci, ma qualcosa si è moltiplicato. Il che andrebbe anche meglio, se non fosse una delle tante truffe a sfondo religioso. Non c'è solo questa; ce ne sono centomila. Quante organizzazioni caritatevoli, per esempio, riescono ad arricchire, non i poveri, ma coloro che fanno la carità?
Resta questo bisogno infantile di credere che gli dèi esistano e scendano ogni tanto sulla Terra... a far che cosa? Non si sa: a diffondere messaggini banali. D'altronde, non è questa l'essenza del mito cristiano? Dio è sceso in questo mondo e, come il buon vecchio Zeus, ha messo incinta una donna ebrea, duemila anni fa. Dopo, non se ne è più saputo niente.

venerdì 18 gennaio 2013

Le varie tecniche di meditazione


Non bisogna credere che in meditazione basti eseguire qualche pratica, come seguire il respiro, cercare la calma, fare il vuoto mentale, concentrarsi sull'hara, dirigere l'energia o ripetere un mantra. Tutte queste tecniche hanno un loro valore, ma non esauriscono la gamma delle possibilità. C'è anche il problema di affrontare se stessi, le proprie paure, le proprie ansie, i propri difetti... per sapersi correggere, per vedersi, per conoscere se stessi. E non è finita: bisogna poi considerare il proprio ego come qualcosa che va superato, varcandone i confini. L'ego, infatti, non è solo il nostro veicolo fondamentale, ma anche la nostra prigione.
Tutti questi metodi non vanno visti come alternativi, ma come tanti aspetti di un'unica faccia.
Per esempio, la calma serve perché senza di essa non si vede chiaro. La tranquillità è utile per essere equanimi. La concentrazione sul respiro serve per diventare calmi e lucidi. Gli esercizi energetici servono a migliorare la salute e l'equilibrio. La conoscenza di sé è importante per superare i blocchi nevrotici e i difetti. Fare il vuoto mentale serve ad entrare in contatto con il fondo del proprio essere. Essere attenti serve ad essere più consapevoli. Essere più consapevoli serve a conoscere se stessi... E superare i confini dell'ego serve a percorrere la via della trascendenza.
Insomma esistono tante tecniche che vanno integrate, e l'una non esclude affatto l'altra. Anzi.
Massimo Bucchi ha disegnato su "Il Venerdì" del 18-01-2013 una vignetta in cui un uomo che medita prima dice: "Quando vi accorgerete che state diventando voi stessi..." e poi aggiunge: "quello è il momento esatto in cui dovete lasciar perdere." Ma non è una battuta: è proprio così. Quando avrete capito chi siete, dovrete lasciar cadere l'ego intero.
Dogen diceva: "Apprendere il buddhismo è conoscere se stessi. Conoscere se stessi è dimenticare se stessi. Dimenticare se stessi è risvegliarsi alla realtà".

giovedì 17 gennaio 2013

Lavorare sulle emozioni: la rabbia


In precedenza abbiamo parlato dell' "etichettatura" delle emozioni, che significa cercare di prender nota dello stato d'animo del momento: "Questo è odio, questa è paura, questa è ira, questa è rabbia, ecc". Parliamo della rabbia. In quali occasioni veniamo colti dalla rabbia? Cerchiamo di osservare questa forte emozione. Qualche volta sembra essere giustificata, altre volte non lo è, soprattutto se coinvolge blocchi nevrotici, ossia nostri problemi personali (per esempio un senso di inferiorità o l'identificazione di una persona o di una situazione con qualcosa di odiato). In questo casi sorgono in noi emozioni collaterali: indignazione, irritazione, impazienza, sdegno, frustrazione, ecc. Prendiamo nota di queste sensazioni, proprio nel momento in cui le proviamo. La prima cosa che notiamo è un afflusso di energia, un rilascio di adrenalina, un sensazione di aggressività, la voglia di menare le mani o il desiderio di gridare parole dure. Tutto questo ci fa perdere l'equilibrio emotivo e comporta una mobilitazione di energia, per prepararci all'azione. Ma spesso non possiamo agire, anzi reagire; e siamo costretti a reprimere il tutto, con danni  per il nostro organismo e sicuramente per il nostro benessere.
Se osserviamo attentamente, molte volte ce la prendiamo tanto perché le cose non vanno nel modo in cui vorremmo, perché le persone o le situazioni non si adattano alle nostre pretese, ai nostri ideali, ai nostri desideri. Ma dovremmo essere così saggi da sapere che il mondo non si preoccupa mai né delle nostre immagini ideali né dei nostri desideri - di questo dovremmo renderci ben conto. La realtà va per conto suo. Come reagiamo allora? Se crediamo che la rabbia sia giustificata, la esprimiamo; se crediamo che sia sbagliata, la reprimiamo. In entrambi i casi dobbiamo impiegare molta energia. Infatti, sia l'espressione sia la repressione comportano uno sforzo esteriore ed interiore. E, interiormente, è un macello, un caos, un'esplosione, uno spreco.
In entrambi i casi, non siamo in grado di osservare quello che ci succede. Noi esplodiamo, ma non facciamo una vera esperienza di questa emozione. E quindi non sappiamo come inizia, come si svolge e come finisce.
Nella cultura della meditazione, la cosa più importante è fare esperienza delle emozioni, osservarle, conoscerle. Dobbiamo in altri termini essere attenti a ciò che ci capita e percepire chiaramente la nostra reattività. £Questa è rabbia, questa nasce per un determinato motivo e questo è il mio comportamento: difesa, offesa, ritirata, attacco, umiliazione, voglia di distruggere, voglia di piangere..." Esaminiamo con precisione l'emozione. Con questa semplice operazione, incominceremo a prendere le distanze e creeremo uno spazio intorno ad essa. Allarghiamo sempre di più il senso di spaziosità. Se per esempio siamo di fronte ad un'ingiustizia, chiediamoci: sarà meglio reagire immediatamente sull'onda dell'emozione o sarà meglio agire in un secondo momento con efficacia e con lucidità?
Il problema di fondo è che noi ci identifichiamo sempre con il nostro piccolo ego, che sentiamo continuamente minacciato. Siamo quindi dominati dalla paura e continuiamo a richiuderci, a difenderci o ad attaccare. Rilassiamoci, facciamo un respiro profondo, rimaniamo consapevoli, cerchiamo di avere una visione più ampia degli avvenimenti. Usciamo dal nostro angusto carcere.
In realtà, la rabbia non è mai giustificata (perché nessun squilibrio emotivo è positivo), ma può essere utile se riusciamo a incanalarne le energie. E a questo mira il nostro lavoro.

lunedì 14 gennaio 2013

L'io indiviso


Crediamo di essere individui ben definiti, nettamente separati, autonomi, compiuti, esseri viventi che non devono rispondere a nessun altro, che non sono collegati a nessun altro. Ma non è così: anzi, c'è da mettere in dubbio che esistano veri individui. D'altronde, anche il termine individuo significa "indiviso", "non diviso" - "non diviso da che?
Dalla rete di altri individui che gli sono più vicini - e, in realtà, da tutti gli altri. Esiste infatti una rete in cui i singoli sono soltanto nodi. Ogni nodo è un individuo, ma ogni individuo è unito a tutti gli altri. Al punto che si potrebbe parlare di "persone collettive", di cui i singoli individui sono varie manifestazioni.
La natura non fa grandi salti. Esiste un continuum innegabile tra gli esseri umani. Se non ci fosse stata questa continuità, noi non ci saremmo. Attraverso la generazione, i nostri progenitori hanno mantenuto la continuità. E dunque ognuno di noi è un'espressione, non del tutto diversificata, di questo continuum. Naturalmente, la cosa è più visibile nelle famiglie, dove si nota chiaramente che ogni individuo è un'espressione di un continuum particolare. Allargando poi la visuale, si scopre che esiste un continuum del paese, della città, della regione, della nazione, del continente e così via.
Quando noi parliamo, pensiamo o agiamo, ci sembra di esprimere esigenze soltanto individuali, ma in effetti manifestiamo aspetti particolari di una personalità collettiva più complessa.
Questo per dire che gran parte di ciò che pensiamo o decidiamo non è veramente nostro, che noi stessi non siamo veramente noi, che il nostro ego non è un vero io isolato e che siamo tutti "alienati", "altro da ciò che siamo".
Pirandello diceva che ogni individuo è "uno, nessuno e centomila", ma, molto tempo prima, in Oriente (e in realtà anche in Occidente) si era già parlato di reincarnazione.
Però, non si tratta tanto di un io che si reincarna, ma di un fiume di esistenza che sfocia in tanti emissari- che si "individua".

domenica 13 gennaio 2013

Piacere e felicità


Il piacere tende a sfruttare al massimo il momento presente, l'occasione. La felicità invece è un'altra cosa: è il tentativo di far durare a lungo lo stato di benessere. E fra i due può crearsi un contrasto. Se, per esempio, mangio fino a crepapelle, certamente pagherò quel piacere stando male in un secondo momento. La felicità comporta dunque una strategia a lungo termine e, inevitabilmente, un fattore di riflessione e di saggezza.
Talvolta, anche la rinuncia ad un piacere immediato aiuta ad essere felici.
Ecco un punto su cui devono meditare coloro che credono che la felicità sia semplicemente la massimizzazione del piacere.

sabato 12 gennaio 2013

Sotto il mito cristiano


Il cristianesimo, ovviamente, non è che un mito. E ha vari significati. Qui vorrei ricordare il più sfuggente: quello del delirio di onnipotenza dell'uomo stesso. Non vi ricordate una delle massime dei Padri della Chiesa: "Dio si è fatto uomo perché l'uomo si facesse Dio"? Ecco il punto: se Dio si fa uomo, se Dio fa un tale onore all'uomo, se Dio ha tanta considerazione dell'uomo - allora vuol dire che l'uomo è un Dio potenziale, è davvero un "figlio di Dio". Dunque, quel mito nasconde un'ambizione non da poco. E infatti una delle critiche che vennero rivolte a Gesù fu: "Ma  tu sei un uomo, perché vuoi farti passare per Dio?" Altro che umiltà!
Certo, si può anche dire che l'uomo sia divino (non un Dio). Ma lo è nel senso in cui tutte le cose hanno un'origine divina: anche una formica.
Se l'uomo si ferma e medita, se fa silenzio dentro di sé, se fa tacere i pensieri e le ambizioni più terrene, scopre il divino che è in sé. Ma scopre anche che non è Dio, scopre che Dio stesso è un mito.

giovedì 10 gennaio 2013

Gli alienati



Da una parte sembra molto difficile riuscire a meditare nella vita moderna, organizzata proprio per non farci riflettere, per essere delle trottole in continuo movimento. Dall'infanzia alla vecchiaia, tutto è predisposto per riempire il nostro tempo, per trasformarci in studenti-lavoratori-pensionati che devono correre da mane a sera. Tra lavoro e famiglia rimane ben poco tempo per noi stessi. Al punto che, quando ci rimane del tempo libero, ci sentiamo smarriti - chi sarà quell'estraneo con cui abbiamo improvvisamente a che fare? Anzi, se non facciamo qualcosa, ci vergogniamo. In tal senso, siamo come morti viventi. “Molte volte sono tentato di chiedere a chi incontro: 'Da quanto tempo siete morto?'” diceva M. Maertenlinck.
Ma è proprio la morsa di questa vita che ci spinge a desiderare un attimo di tregua, un momento in cui stare in compagnia di noi stessi. Da qui nasce la necessità e la pratica della meditazione.
Dobbiamo riappropriarci di noi stessi.
Per riappropriarci di noi stessi - non solo del tempo che ci viene tolto, ma anche di intere parti della nostra personalità che vengono sacrificate sull'altare del lavoro e della famiglia -  dobbiamo imparare a ritornare spesso dentro di noi. Infatti, come diceva sant'Agostino, "riconosci, dunque, quale è la cosa che più ti conviene. Non uscire fuori da te, ritorna in te stesso. La verità abita nell'interiorità dell'uomo."
Questo è il punto. A contatto con gli altri e con la società, sviluppiamo certe parti di noi stessi, mentre altre rimangono del tutto in ombra - e di solito sono i lati più sensibili e più profondi. La società ci fa duri, combattivi e competitivi, ma anche superficiali e materialisti. Siamo costretti a combattere per la sopravvivenza. E ci sembra che l'esistenza sia tutta lì. Tuttavia dentro di noi sentiamo che siamo insoddisfatti, che ci dev'essere qualcos'altro, qualche altra esperienza, qualche altra dimensione. Che senso ha la vita?
Per rispondere a questa domanda, dobbiamo smettere per un po' di muoverci e dobbiamo volgere l'attenzione non più sulle cose esterne.  "La gente guarda sempre di fronte; io ripiego la mia vista al di dentro, la fisso, la trattengo lì" scriveva Montaigne.
Questo è il processo della meditazione: far tornare alla luce ciò che era sepolto, trovare un senso della vita che non sia semplicemente un fare, riscoprire il nostro essere integrale. "Impara ad essere ciò che sei" cantava Pindaro.

martedì 8 gennaio 2013

La dimostrazione dell'esistenza di Dio


Una delle ossessioni della mente umana è sempre stato il tentativo di dimostrare con la sola logica l'esistenza di Dio. Oggi ci riprova il matematico Harvey Friedman, riprendendo un argomento di Kurt Gödel. Tutto parte dalla vecchia dimostrazione ontologica di Anselmo di Aosta, il quale diceva: se concepiamo Dio come l'essere perfettissimo, non può mancargli la caratteristica positiva dell'esistenza. Già questa partenza è sbagliata per almeno tre motivi: primo perché non è detto che Dio sia perfettissimo, secondo perché qualunque cosa da noi concepita come perfettissima dovrebbe essere esistente (quindi se noi pensassimo ad un asino con le ali "perfettissimo", questi dovrebbe necessariamente esistere) e terzo perché l'esistenza in sé non è detto che sia una qualità positiva. Dio potrebbe anche essere il non-essere, il nulla o il vuoto. Infine nessuna dimostrazione puramente logica è mai valida finché non arriva la controprova empirica: non è così che funziona la scienza? E dov'è la controprova empirica?
Come scrive Piergiorgio Odifreddi, in Repubblica.it, "Gödel definì Dio come un 'essere positivissimo', cioè avente tutte le proprietà positive. E dimostrò facilmente che, nel caso di un universo finito, Dio esiste e ha esattamente tutte e sole le proprietà positive. Il caso di un universo infinito è più complicato, ma Gödel dimostrò che anche in quel caso Dio esiste, purché si faccia un'ipotesi aggiuntiva: che 'essere Dio' sia anch'essa una proprietà positiva.
"L'ipotesi è controversa, naturalmente, visto che un seguace della teologia negativa, o un ateo, potrebbero pensare esattamente il contrario. Ma, soprattutto, l'ipotesi aggiuntiva rende banale la dimostrazione, perché equivale a dire che le proprietà positive sono appunto tutte compatibili fra loro: dunque, è solo un modo mascherato di postulare che l'essere perfettissimo esiste.
"Il problema era che l'ultrafiltro usato da Gödel, come si è detto, è banale. Si trattava dunque di trovarne uno che fosse teologicamente rilevante come quello, ma allo stesso tempo matematicamente non banale, in modo da permettere una dimostrazione di consistenza. Il modo per farlo (che è troppo complesso per essere riassunto qui) venne a Friedman al congresso di Heidelberg su 'Il dialogo tra scienza e religione: passato e futuro' dello scorso ottobre, in onore del centenario della nascita di John Templeton."
Ma si tratta di pasticci logico- matematici che lasciano il tempo che trovano. Questi studiosi partono da un presupposto sbagliato: che Dio risponda alla nostra logica. Invece un Dio che rispondesse o utilizzasse la nostra stessa logica, non sarebbe affatto perfettissimo. Sarebbe una mezza cartuccia, più o meno come l'essere umano. La trascendenza è tale proprio perché trascende la nostra limitata logica dualistica. Oggi come oggi, Dio non può essere pensato dall'uomo. Per ragionare di Dio bisogna che prima l'uomo sviluppi un'altra mente.
In ogni caso, i credenti se ne facciano una ragione. Anche se un matematico dimostrasse l'esistenza di Dio, non sarebbe nessun Dio storico: sarebbe una pura idea della mente.

lunedì 7 gennaio 2013

La misura della felicità


Da recenti studi di psicologia risulta quello che la sagezza di tutti i tempi ha sempre detto: che i picchi di felicità (ma anche di infelicità) durano poco e che la natura ci ha fatto per una via di mezzo tra gli estremi. Questo perché l'organismo tende a mantenere in equilibrio tutte le nostre funzioni, sia fisiologiche sia psicologiche. L'euforia e la depressione sono stati estremi che ben presto vengono riequilibrati - e che devono essere riequilibrati, in quanto una specie che fosse sempre felice non sopravviverebbe a lungo. D'altronde, noi ci abituiamo presto a tutto, e ciò che dà all'inizio una grande felicità (o infelicità), a poco a poco si attenua. Di conseguenza, più che puntare su brevi momenti di estasi, è meglio cercare mete più modeste.
Quanto alla religiosità, si sfata il luogo comune della fede. È più felice un ateo convinto di chi ha una religiosità incerta. La soddisfazione nella religione non viene tanto dalla preghiera, quanto dalla partecipazione a riti comuni; insomma è di origine sociale più che spirituale.
Infine, mai affidare la propria felicità al possesso di qualche oggetto o persona. Primo, perché non sappiamo se, una volta ottenuto, ci farà felici davvero; e, secondo, perché l'assuefazione distrugge presto la gioia. Ciò che conta, il momento più felice, non è il momento del possesso, ma il momento prima, quando si pregusta ciò che otterremo.
In conclusione hanno ragione quelle spiritualità che ci spingono, più che a cercare la felicità o l'estasi, l'equilibrio e la serenità. Tutto il resto è il frutto di esperienze che passeranno presto.
"Al mondo non vi sono né felicità né dolore assoluti; la vita di un uomo felice è un quadro dal fondale d'argento con stelle nere: la vita di un uomo infelice è un fondale nero con stelle d'argento." Honoré de Balzac

domenica 6 gennaio 2013

Sadismo religioso


Sappiamo che in Italia, a causa dell'opposizione della Chiesa, non è possibile fare una legge sull'eutanasia e, anzi, si fanno leggi sempre più autoritarie per impedire ai cittadini di poter scegliere come morire. Così, chi soffre senza speranza, per malattie fisiche o per malattie mentali, è costretto a buttarsi dalla finestra o, se è ricco, ad andare in Svizzera. Sotto i colpi della propaganda clericale, la stessa parola "eutanasia" (che significa "buona morte") viene considerata con orrore e viene censurata. Da noi si è costretti a morire con lunghe agonie, dimenticati da tutti... perché così vogliono i preti. Ha dunque ragione l'attore Carlo Cecchi a dire: "I cattolici sono un club di sadici di fronte alla morte (ma anche di fronte alla vita)" [Il Venerdì del 4-01-2013].
Il fatto è che, poiché il loro Dio è morto tra atroci sofferenze, loro vogliono farci morire tutti nello stesso modo: crocifissi. Questi sono i grandi nemici della vita e della morte, i nemici del senso comune.
Eppure, da noi pontificano dalla mattina alla sera in tutte le radio e le televisioni per diffondere la loro cultura ammorbante. Gli italiani saranno un popolo migliore il giorno in cui incominceranno ad aprire gli occhi e ad accorgersi che si sono affidati a una religione che vuole perpetuare la sofferenza.

La religione negativa


Tra i frutti avvelenati della "cultura" cattolica c'è un'assurda legge sulla fecondazione assistita che vieta analisi genetica pre-impianto e fecondazione eterologa. Così, chi avesse problemi di malattie genetiche o chi volesse farsi impiantare un ovocita o uno spermatozoo da donatori non può farlo. Per fortuna, la legge 40 è stata in parte picconata, eliminando l'obbligo di produrre un massimo di tre embrioni a tentativo e di impiantarli tutti subito, ma non basta. Nonostante la condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo, chi volesse fare un'analisi genetica dell'embrione deve ancora passare attraverso un tribunale, con perdite di tempo e spese. Ecco perché nel 2011 quattromila coppie italiani si sono dovute recare all'estero per ottenere quelle prestazioni che in Italia vengono negate da una legge voluta fermamente dalla Chiesa. Con quali costi? E, più in generale, quanto ci costa questa sudditanza ai voleri del Vaticano, che si traduce in leggi medievali che gettano sul paese una cappa di piombo? Quanto ci costano i quarantamila insegnanti di religione nominati dai vescovi ma pagati dallo Stato? Quanto ci costa l'opposizione ad un divorzio breve? Quanto ci costa la gesuitica legge sull'otto per mille, che regala alla Chiesa anche i fondi di chi non si è espresso nella dichiarazione dei redditi? Questa legge è stata concepita da Tremonti, lo stesso che adesso ha fondato un suo partitino e che pontifica di moralità.
Eppure i nostri uomini politici sono ancora lì a fare a fare a gara a dichiararsi cattolici e ad offrire i loro servizi alla Chiesa, sotto forma di nuovi fondi alle scuole private e di regalie varie. A proposito, che fine ha fatto la legge che doveva far pagare le tasse agli immobili commerciali del Vaticano? Sarà mai applicata?
Purtroppo, tra i tanti costi della politica, dobbiamo mettere anche questi costi. L'intera cultura italiana è arretrata e crede ancora, condizionata dai mass-media nazionali (al servizio permanente della Chiesa), che la religione cattolica diffonda valori positivi. Gli italiani non hanno ancora capito che debba intendersi per religione. Credono che si tratta di adorare un Dio sceso sulla Terra (a fare non si sa che cosa). Scambiano la religione per la superstizione e per la sottomissione all'autorità. Il risultato è sotto i nostri occhi: un paese tra i più corrotti del mondo e - quel che è peggio - un paese tra i più creduloni dell'intera Galassia, pronto ad eleggere il primo truffatore che si presenti sul palcoscenico.

venerdì 4 gennaio 2013

Il valore della calma



La via e la vita dell'uomo comune si basano sull'agitazione. Agitarsi è spesso il contrario di agire. Chi si agita, vorrebbe fare tante cose, ma non riesce a farne una bene. Chi si agita, spreca energie; e, al momento dell'azione, è già sfinito. Agitarsi vuol dire muoversi a casaccio, non avere un'idea chiara di ciò che va fatto. Questo è il punto. Agitazione è confusione, agitazione è agire male. Solo quando vediamo con chiarezza ciò che dobbiamo fare, e come dobbiamo farlo, possiamo agire efficacemente. Ma questo non è possibile se non si raggiunge la calma.
La calma serve dunque sia nella vita di tutti i giorni, sia nel cammino evolutivo di ognuno. È perciò una qualità pratica e spirituale. Da coltivare ad ogni costo.
Come diceva Cesare Cantù, "il male sopportato con ragionevolezza e calma è già diminuito della metà, mentre l'impazienza raddoppia tutti i pesi, infistolisce tutte le piaghe."
Inoltre la calma è una condizione più naturale dell'agitazione. "È certo che lo stato naturale è il riposo e la quiete, e che l'uomo anche più ardente, più bisognoso di energia, tende alla calma e all'inazione continuamente in quasi tutte le sue operazioni." (Giacomo Leopardi, Zibaldone).
E, se credete che la calma e la quiete siano contrari alla passione, vi sbagliate. "Il vero amore è una quiete accesa" diceva Giuseppe Ungaretti.
Del valore della calma le nostre religioni non parlano. Si sa, loro esaltano la passione. C'è perfino la "passione di Cristo".
In ogni caso, la calma non è il frutto di una grazia divina, ma è coltivabile con varie tecniche meditative.

martedì 1 gennaio 2013

Il padrone dell'uomo


Nel "Dhammapada", un noto testo buddhista, troviamo scritto:

"Ognuno è padrone di se stesso -
d'altronde quale altro padrone ci dovrebbe essere?"

Già, questo è il punto: quale altro padrone dovremmo avere?
Ma le religioni teistiche risponderebbero: "No, Dio è il tuo padrone!"

Ed ecco delineata tutta la differenza tra una religione che vuole liberare l'uomo e le altre che vorrebbero asservirlo. Se Dio è il padrone di ognuno di noi, se si insinua perfino nel nostro più intimo sé... della nostra libertà, della nostra autodeterminazione che cosa rimane? Siamo schiavi. E non possiamo fare nulla per sfuggire a questo stato di sudditanza.

Se poi aggiungiamo che quelle stesse religioni ci impongono qualche istituzione, qualche Chiesa, qualche organizzazione umana come voluta da Dio, il Padrone, il Signore... la conseguenza è che dovremmo essere schiavi anche di quella. Per carità di Dio!

Ha ragione Meister Eckhart: "Preghiamo Dio di liberarci d'ogni idea di Dio!"
Chi ha introdotto quella idea ha introdotto l'idea che l'uomo sia uno schiavo - e vuole l'uomo schiavo. Ovviamente, è il prete.

Botti di Capodanno


Chissà perché i botti di Capodanno piacciono tanto. Perché piace il rumore, la confusione e lo scoppio?
Forse perché impediscono di pensare? Che sia questa la ragione profonda?
Gli uomini hanno il terrore di stare soli e in silenzio perché sarebbero subito assaliti dall'evidenza della loro inconsistenza. Hanno il terrore di vedersi - come mostri in uno specchio.
Ma anche questa può essere un'illuminazione.
E, allora, forza: prima o poi bisognerà guardarsi per ciò che si è.

Sacro e sacrifici


Tutte le religioni antiche, in Occidente e in Oriente, si basavano su i sacrifici: chi voleva chiedere un intervento da parte di qualche divinità, prendeva un certo numero di animali (e magari di uomini) e li offriva in sacrificio. Come mai? Che idea avevano della divinità? L'idea era quella di un potente che bisognava ingraziarsi offrendogli qualcosa in cambio: la vita di esseri viventi. Do ut des. Uno scambio di favori: tu mi aiuti e io ti offro questo.
Purtroppo ad una simile idea si arriva partendo dalla convinzione che si possa mercanteggiare con Dio, un Dio che è inevitabilmente concepito a misura d'uomo, pronto a trattare.
Ai tempi di Gerusalemme antica, il Tempio era un enorme mattatoio, dove il credente comprava dai mercanti gli animali da macello e li offriva sull'altare. Gesù se la prese con questi mercanti. Ma in realtà se la prendeva con i sacerdoti del Tempio e con quella religione dei sacrifici che pretendeva di mercanteggiare con Dio. I religiosi del suo tempo lo capirono e da quel momento decisero di farlo fuori.
Il paradosso è che i cristiani interpretarono la sua morte, proprio come un sacrificio voluto dallo stesso Dio.
È finita questa mentalità? Non direi proprio. Ancora oggi, nel credente c'è l'idea che, se vuole ottenere qualcosa da Dio, deve offrirgli in cambio qualcos'altro - un sacrificio appunto. "Non farò questo, farò quello..." insomma uno scambio di favori, una trattativa.
Ecco perché io sostengo che alla base delle religioni monoteistiche vi sia l'economia, il mercanteggiamento. Anche la religione si è piegata alla logica economica, tant'è vero che oggi il nuovo e vecchio Dio si chiama Denaro. E ci domina tutti, dalla mattina alla sera. Pensateci un po': passate più tempo e impiegate più energie per guadagnare denaro o per pregare Dio?

L'educazione della coscienza: attenzione!

Quando il Papa parla di "educare la coscienza", siamo perfettamente d'accordo. Non può esserci né un'etica né un progresso evolutivo senza una simile educazione della coscienza. Ma, attenzione! L'educazione della coscienza che viene diretta da istituzioni totalitarie, come le religioni o certi stati, assume un altro nome: diventa condizionamento, diventa una spaventosa dittatura. Lo vediamo nei regimi musulmani e lo abbiamo visto nei regimi comunisti. Solo istituzioni laiche, che non abbiano come scopo né l'arricchimento né volontà di dominio, possono operare questa educazione. Se lo fa la Chiesa diventa un tentativo di assoggettare gli uomini in ciò che essi hanno di più intimo: la coscienza stessa. Qui bisogna stare molto attenti: ogni individuo deve operare da solo, o con l'aiuto di gente disinteressata, prima il proprio decondizionamento (dai valori acquisiti, molti dei quali completamente sbagliati o fuorvianti) e poi il proprio addestramento mentale, così come propone la meditazione senza fini di lucro o di potere. In questo caso - e solo in questo caso - si parla di liberazione. Ma quando agisce un'istituzione, religiosa o laica, che ha fini di dominazione, quando lo si fa in nome di una fede che non può essere dimostrata, allora siamo di fronte al tentativo di rendere ancora più schiavi gli uomini. Stiamo dunque ben attenti, vigiliamo! Qui è in gioco la libertà dell'uomo.