lunedì 7 gennaio 2013

La misura della felicità


Da recenti studi di psicologia risulta quello che la sagezza di tutti i tempi ha sempre detto: che i picchi di felicità (ma anche di infelicità) durano poco e che la natura ci ha fatto per una via di mezzo tra gli estremi. Questo perché l'organismo tende a mantenere in equilibrio tutte le nostre funzioni, sia fisiologiche sia psicologiche. L'euforia e la depressione sono stati estremi che ben presto vengono riequilibrati - e che devono essere riequilibrati, in quanto una specie che fosse sempre felice non sopravviverebbe a lungo. D'altronde, noi ci abituiamo presto a tutto, e ciò che dà all'inizio una grande felicità (o infelicità), a poco a poco si attenua. Di conseguenza, più che puntare su brevi momenti di estasi, è meglio cercare mete più modeste.
Quanto alla religiosità, si sfata il luogo comune della fede. È più felice un ateo convinto di chi ha una religiosità incerta. La soddisfazione nella religione non viene tanto dalla preghiera, quanto dalla partecipazione a riti comuni; insomma è di origine sociale più che spirituale.
Infine, mai affidare la propria felicità al possesso di qualche oggetto o persona. Primo, perché non sappiamo se, una volta ottenuto, ci farà felici davvero; e, secondo, perché l'assuefazione distrugge presto la gioia. Ciò che conta, il momento più felice, non è il momento del possesso, ma il momento prima, quando si pregusta ciò che otterremo.
In conclusione hanno ragione quelle spiritualità che ci spingono, più che a cercare la felicità o l'estasi, l'equilibrio e la serenità. Tutto il resto è il frutto di esperienze che passeranno presto.
"Al mondo non vi sono né felicità né dolore assoluti; la vita di un uomo felice è un quadro dal fondale d'argento con stelle nere: la vita di un uomo infelice è un fondale nero con stelle d'argento." Honoré de Balzac

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